Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 Gl'amanti generosi, Napoli, A spese di Niccolò di Biaso, 1735
 a cura di Giovanna Peduto
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA I
 
 VESPINA con un canestrello, cogliendo fiori; CIANFRONE zappando.
 
 VESPINA
 
 Vaghe rose belle siete;
 Ma le spine che tenete,
 Fan paura a quella mano,
 Che le punte ne provò.
 
 CIANFRONE
 
5Patrejote no rredite:
 Toscheggià si me sentite
 Io porzì a parlà Romano
 Mpoche mise m’imparò.
 
 VESPINA
 
 Siete simili ad Amore;
10Voi la mano, quello il core,
 Puncicaste, puncicò.
 
 CIANFRONE
 
 Puncicaste, puncicò.
 
 Puncicò ell, e le
 Annevina che d’è.
 VESPINA
15Come sei sciocco! Puncicar vuol dire
 Pungere.
 CIANFRONE
                    Ah, ah, sì, sì, pognere
 VESPINA
                                                             Pognere (cranfacendolo.)
 Punger si dice. E quando,
 Quando t’imparerai
 A parlar con un po’ di pulizia?
 CIANFRONE
20Pognere.
 VESPINA
                    E siam da capo.
 CIANFRONE
                                                   Sore mia,
 Co sto pparlà Romano,
 Tu me stroppìe
 VESPINA
                               Tu (come sopra.)
 CIANFRONE
                                       Lei. (caricando.)
 VESPINA
                                                 Ah.
 CIANFRONE
                                                          Appoco appoco,
 All’utemo sò povero pacchiano.
 VESPINA
 Sono più mesi ormai,
25Ch’io colla mia Padrona,
 La Signora Rosalba,
 Fuggendo, come sai,
 Da Cipro, ove vendute
 Fossimo da Corsari, in quella Casa,
30Dalla pietà del tuo Padrone accolte,
 Insieme dimoriamo.
 CIANFRONE
 Mbe che vuoje di pe chesto? oh Sia Vespina
 Vi che te fà lo maro? va a li Ciele: (s’accostano alla marina.)
 Vi llà senza le bbele,
35Ch’a perdere se và chillo Vasciello.
 VESPINA
 Già sta per affondarsi, poverello!
 CIANFRONE
 Mo’ se scassa, mo’ sbatte
 De fronte a chillo scuoglio. Ah bravo bravo
 Mo’ se nne vene ad arrenà cca nterra. (arrena un bastimento.)
40Corrimmo ad ajutare
 Chi nce sta dinto.
 VESPINA
                                   Andiamo. (mentre s’accostano sbarcano marinari.)
 CIANFRONE
 Oh bonora! so’ Turche.
 VESPINA
 Turchi? alla larga. Addio Cianfrone Addio. (entra.)
 CIANFRONE
 Assarpa (sale sopra un albero.) Da cca ncoppa
45Meglio pozzo vedè lo fatto mio.
 
 SCENA II
 
 DALISO, e LUCINDA da schiavi de’ Turchi, che calano dal Vascello, e CIANFRONE sopra l’albero.
 
 DALISO
 Lod’al Cielo, siam salvi.
 LUCINDA
 Daliso? Al piè, che langue,
 Porgi cortese aita.
 DALISO
 Qui t’affidi, o Lucinda, e omai rinfranca (la fa sedere sopra un sasso.)
50Dal sofferto timor l’alma smarrita.
 CIANFRONE
 (Lucinna! Fosse chesta la Nepote
 De lo Patrone mio,
 Che stea mmano de Turche!)
 DALISO
                                                        Il lido è questo
 Di Partenope bella,
55Meta de’ tuoi sospiri.
 LUCINDA
                                          E questo, oh Dio!
 Se il caro Fabio in lui, fedel non trovo,
 Il termine sarà del viver mio.
 CIANFRONE
 (Jammoncenne scennenno.)
 DALISO
 Con sì bella speranza
60Puoi lusingare almeno
 Il tuo dolor; ma che sperar poss’io,
 Se il caro Idolo mio
 Geme fra lacci ancora
 Di schiavitù penosa?
65Ahi dura rimembranza, e tormentosa?
 LUCINDA
 Avessi almeno a chi cercar del Zio
 CIANFRONE
 Bella Gente buon giorno; cca stongh’io.
 LUCINDA
 Dimmi, buon uom, la spiaggia
 Di Portici è lontana?
 CIANFRONE
70Puortece? chist’è isso.
 LUCINDA
                                           Un tal Ortensio
 Foresi
 CIANFRONE
               Chisso è lo Patrone mio,
 E vecco lo Palazzo
 LUCINDA
 Oh sorte?
 CIANFRONE
                     Fosse uscia
 La Neposcella soja? la Sia Lucinna?
 LUCINDA
75Son dessa.
 CIANFRONE
                       Uh che prejezza, mamma mia.
 Trasite, ca mo vao
 A chiammarelo. (in atto di partire.)
 LUCINDA
                                 Senti
 CIANFRONE
 Mo torno.
 LUCINDA
                     Dimmi prima. (s’alza.)
 CIANFRONE
                                                  Po parlammo.
 LUCINDA
 Ferma, m’ascolta, oh Dio!
80Un certo Fabio Ortensio
 CIANFRONE
                                               Mo’ lo chiammo. (entra in fretta.)
 LUCINDA
 Andiam, Daliso, a ristorarne.
 DALISO
                                                       Il Cielo
 Fausto arride ai tuoi voti.
 LUCINDA
 Par, che voglia la sorte
 Cangiar per me d’aspetto:
85Ma pur mi sento in petto
 Un non so qual non conosciuto affanno,
 Che dell’anima mia si fa tiranno.
 
   So, che dovrei godere,
 So, che sperar dovrei;
90Ma, in mezzo a dubj miei,
 Un gelido timore
 Impallidir mi fa.
   Sento, che dalle vene,
 Lasciando il corso usato,
95In freddo gel cangiato,
 Sen fugge il sangue al core.
 Cieli, che mai sarà! (entra servita di braccio da Daliso.)
 
 SCENA III
 
 ROSALBA, e FABIO.
 
 ROSALBA
 Celio?
 FABIO
               Rosalba?
 ROSALBA
                                  Oh Dio! Fuor dell’usato
 Mesto ti veggo in volto!
100Svelane la cagion.
 FABIO
                                   Premer mi sento
 Da incognito tormento
 L’anima amante. Ah voglia,
 Voglia il Ciel, che non sia
 Presaga d’un gran mal la pena mia.
 ROSALBA
105Cessi l’augurio amor. Caro, se m’ami,
 Serena il dolce ciglio, e
 
 SCENA IV
 
 ORTENSIO, CIANFRONE, e detti.
 
 ORTENSIO
                                            Celio, Celio?
 Curre bonora.
 FABIO
                             Dove?
 ORTENSIO
 Ncoppa.
 FABIO
                   Perché?
 ORTENSIO
                                    È benuta
 Soreta.
 FABIO
                 Come quando! (con agitazione.)
 CIANFRONE
                                              Io ll’aggio vista
110Mo’ nnante cca, se ne sarrà sagliuta,
 FABIO
 (Ahi, colpo!)
 ORTENSIO
                          Jammo.
 FABIO
                                            Vada,
 Ch’ora la sieguo.
 ORTENSIO
                                 Eh priesto.
 FABIO
                                                        Signor Zio
 Vada, ch’io vengo subito.
 ORTENSIO
                                                M’abbio. (entra con Cianfrone.)
 FABIO
 (Ah me ’l predisse il mio timor. Lucinda
115Degg’io veder! e con qual fronte oh Dio!
 Sosterrò i sguardi suoi! Con qual coraggio
 Rinfacciarmi udirò la rotta fede,
 Chiamarmi traditor!)
 ROSALBA
                                           Ma Celio mio,
 Che parli fra te stesso!
120Che vuol dir quel pallore,
 Quel sospirar sì spesso! Io mi confondo.
 In vece di godere, allor che il Cielo
 Ti rende una Germana
 FABIO
                                             Ah mia Germana
 Costei non è, io non son Celio: Ortensio
125Non è mio sangue.
 ROSALBA
                                     Tu deliri.
 FABIO
                                                         Ascolta:
 Nel dì, che il mio destino,
 (Ahi destino crudel) mi trasse a questo
 Lido per me funesto,
 Ti vidi, t’ammirai,
130Piacesti agl’occhi miei
 ROSALBA
                                           Pena ne senti!
 FABIO
 No Rosalba. Cangiai
 Nome per adorarti, (con agitazione.)
 Qual non sono io mi finsi.
 ROSALBA
                                                  E tant’affanno
 Ti reca, o caro, un innocente inganno?
135Sarà chi lo produsse
 Amore, Amor sarà la tua discolpa.
 FABIO
 Ah, che più d’una colpa
 Reo mi fa del tuo sdegno.
 Sappi, ch’io (ma che fo!) no non curarti
140La serie investigar de falli miei:
 Odioso agli occhi tuoi,
 Quanto amabil ti sembro, io diverrei.
 No, no deggio morir.
 ROSALBA
                                         Ben mio, racchetta
 I tumulti del cor. L’offesa io sono?
145Spiegati, parla, o caro, e ti perdono.
 FABIO
 
   No, che parlar non posso,
 Sì, che morir degg’io,
 L’amor la fede oh Dio!
 Lascia, ch’io taccia, o cara
150E lasciami morir.
   Il duol, che porto in petto,
 La colpa, c’hò nel core,
 Leggi nel mio rossore,
 Nel fiero mio martir.
 
 SCENA V
 
 ROSALBA.
 
 ROSALBA
155Che m’avvenne, ove son! Da i tronchi accenti,
 Con cui mi favellò, comprendo, oh Dio!
 Che infido è l’Idol mio,
 Chi sarà mai costei, che sua Germana
 Non è, qual ei la finse! Ah, ch’io pavento
160La mia rivale in essa,
 Per cui, posta in oblio,
 Qual fu da me Daliso,
 Pianger debba al suo fato, uguale il mio.
 
   La bella calma
165Dell’alma mia
 Crudel pensiero
 Di gelosia
 Sento, che fiero
 Turbando va.
170  E nel tiranno
 Dubio geloso
 Perde la speme,
 S’agita, e teme,
 Non à riposo,
175Pace non à.
 
 SCENA VI
 
 VESPINA, poi CIANFRONE, tutti due dalla casa.
 
 VESPINA
 Precipizii, fracassi,
 Uh, uh, che ci vo’ essere!
 CIANFRONE
 Ch’è stato?
 VESPINA
                        Sai chi è quel ch’è venuto,
 Colla nipote del Signor Ortensio.
180Nel legno, che poc’anzi s’è arrenato?
 CIANFRONE
 Si Uscia no mme lo ddice.
 VESPINA
 Della Padrona mia l’innamorato.
 CIANFRONE
 Ne, ne?
 VESPINA
                  Certo.
 CIANFRONE
                                Me scusa
 La Sia Rosarba mo’, è de male genio.
 VESPINA
185Perché?
 CIANFRONE
                  Te pare cosa
 Cagnare chillo bello mascolone,
 Propio co no mozzone
 De fescena?
 VESPINA
                         Io non so
 Quel, che diavolo dici.
 CIANFRONE
                                           T’aggio ditto
 VESPINA
190T’aggio ditto (cranfacendolo.)
 CIANFRONE
                           Ch’è mmeglio ciento vote.
 VESPINA
 Ciento vote. (come sopra.)
 CIANFRONE
                          (Che freoma!)
 Chist’utemo
 VESPINA
                          Chist’utemo. (come sopra.)
 CIANFRONE
                                                    (Mo’ sbotto.)
 De chillo fragagliuozzo.
 VESPINA
 Fragagliuozzo,
 CIANFRONE
                             Ah Sia Vespi’?
 VESPINA
195Ah Sia Vespi’?
 CIANFRONE
                              M’haje rutto
 Sette corde, ma si mo’ è guittaria.
 VESPINA
 S’io non v’intendo affatto,
 Parete tanti Ebrei ’ncoscienza mia.
 CIANFRONE
 Ah ah.
 VESPINA
                Vuoi dir che no?
 CIANFRONE
200Mo’ te lasse soperchio.
 Vi’, ca si faje sferrà sta serpentina,
 Te nne piente.
 VESPINA
                              Bestemia a gusto tuo,
 Ch’io te ne faccio una bella girata,
 Per altrettanti.
 CIANFRONE
                              Vi’ ca dico.
 VESPINA
                                                    E sia
205L’ultima.
 CIANFRONE
                    Si’ Romana, e tanto basta.
 VESPINA
 Romana, e me ne glorio. Un altra Roma,
 Dove la vuoi trovar pezzo di bestia?
 CIANFRONE
 Che ve vaga la gliannola.
 Si è tanto bella Roma, a Roma stateve
210Co li cancare vuoste. Atta de nnico:
 A Nnapole a sbrammareve venite,
 E po male de Napole decite.
 
   Simmo nuje tant’anemale,
 Che ve dammo sta grannezza,
215Comm’a ciuccie pe ccapezza,
 Nche bedimmo na Frostera,
 Ce facimmo    strascenà.
   Alloccute    nzallanute
 Jammo appriesso a chi ce spoglia,
220Quanto havimmo ce scorcoglia,
 E pe jonta ce coffea:
 Quelli Napolitanacci
 Sono tanta gallinacci,
 No lo ppozzo sopportà.
 
 SCENA VII
 
 VESPINA, e poi ORTENSIO.
 
 VESPINA
225Zitto: ài da far con me, ma giusto a tempo
 Viene il Vecchio all’astuzia. Forfantone
 Questo tratto a Vespina! (verso la Scena dov’è entrato Cianfrone.)
 Affè di Dio Baccone
 Te ne farò pentire.
 ORTENSIO
                                     Nenna mia
230Che d’haje che?
 VESPINA
                                Niente, niente.
 ORTENSIO
 None no: tu l’haje havuta co qquarcuno:
 Dimmello.
 VESPINA
                       Lo dirò, se promettete
 Di no pigliarvi colera.
 ORTENSIO
                                          Te juro
 Me guard’a tte, che serve?
235Pe st’uocchie marejuole, caccia core?
 VESPINA
 Non Signor, non Signore
 V’avesse da venire,
 Per mia cagione, qualche malatìa:
 Vogl’io morir più presto.
 ORTENSIO
                                                Gioja mia
 VESPINA
240(Non è schiattato ancora.)
 ORTENSIO
 Dillo, si me vuo’ bbene.
 VESPINA
                                              Ahi. (sospira.)
 ORTENSIO
                                                         (Mo’ so’ juto.)
 Parla, bellezza, di’.
 VESPINA
                                     Quel bricconaccio
 Del vostro Giardiniero
 M’à dette mille ingiurie su ’l mostaccio.
 ORTENSIO
245Ah guitto!
 VESPINA
                      È ver, che voi
 Per vostra cortesia,
 Colla Padrona mia,
 Per più mesi c’avete
 Mantenute, ed ancor ci mantenete
 ORTENSIO
250Che ddice! vuoje burlare.
 Vuje site le Ppatrone.
 VESPINA
                                          Per grazia vostra.
 Ma che un birbo ce l’abbia a rinfacciare,
 Con dirci, uh che vergogna!
 Che siam venute qui per ci sfamare
 ORTENSIO
255Cianfrone ha ditto chesto?
 VESPINA
                                                   Si; Cianfrone.
 ORTENSIO
 Ah nfammo, lazzarone,
 Mo’ lo vao a scannà. (in atto di partire.)
 VESPINA
                                        Non tanta furia. (lo trattiene.)
 Mi basta sol, che lo mortifichiate,
 Acciò s’impari, per un altra volta,
260A rispettar le femine onorate,
 ORTENSIO
 Si co lo fronte ’nterra
 Non te cerca perduono,
 Lo ffaccio dessossare, e ne l’abbio
 Malenato frabbutto (con agitazione.)
 VESPINA
265Zitto, zitto, amor mio.
 Non v’alterate più.
 ORTENSIO
 Lassame Spapurare,
 Fatella de sto core.
 Ah! Ca, si ll’aggio mmano,
270Ne faccio piezze, piezze.
 Che rraggia! (si morde le mani.)
 VESPINA
                           (Questo è spasso da Signore.)
 
   Tremo, smanio, per timore.
 Che non t’abbj ad ammalare:
 Se veder potessi il core,
275Giust’un pizzico s’è fatto.
 (Se lo crede, vecchio matto)
 Cioccio mio, non t’inquietar.
   A un sol piccolo dolore,
 O di stomaco, o di testa,
280Che ti venga, ah non sia mai,
 Mi vedrai,
 Qual cera al fuoco,
 Liquefar a poco, a poco,
 Tutta, tutta in fumo andar.
 
 SCENA VIII
 
 ORTENSIO.
 
 ORTENSIO
285Puozze campà mill’anne.
 E bbiva Nenna mia:
 Pe l’allegria non capo int’a li panne.
 
   Oh che docezza
 Te dà l’ammore!
290Che contentezza!
 Me fa lo core
 Comm’argatella,
 M’hà mozzecato
 La tarantella:
295Chesto che d’è?
   Abballo, zompo
 Pe l’allegria:
 Nennella mia
 More pe mme.
 
 SCENA IX
 
 DALISO, poi ROSALBA.
 
 DALISO
300E Sar ver! la mia Rosalba anch’essa
 Sciolta da lacci suoi!
 Rosalba in queste soglie! Ah dove oh Dio!
 Dov’è? Chi a lei mi guida?
 Ma, o m’inganna il desio,
305O Rosalba è costei, ch’a me s’appressa:
 Sì, co’ risalti suoi
 Già me’l dice il mio cor, sì, questa è dessa.
 Mia vita, anima mia. (Corre ad incontrarla.)
 ROSALBA
 (Stelle! Daliso qui!)
 DALISO
                                       Come scampasti
310Da lacci rei, chi li disciolse? Io vivo
 Ancor nel tuo bel cor? pensasti mai
 Al tuo fedel Daliso?
 Al nostro amor? Rammenti,
 Allor che ne divise
315Barbara sorte, i pianti,
 I sospiri, gl’amplessi,
 Le tenerezze estreme,
 Il nodo, che dovea stringerne insieme?
 ROSALBA
 (Misera! Che dirò!)
 DALISO
                                       Ma tu, ben mio.
320Sospiri, non mi guardi,
 Taci, arrossisci! In guisa tale accolto
 Son io da te! con tal freddezza!
 ROSALBA
                                                          Oh Dio!
 Non più, Daliso, per pietà: Nel volto
 Già mi leggesti il cor: non so, non posso
325Celarlo a te, che, per lung’uso, troppo
 Troppo, per mio rossor l’intendi. Io sono
 Infida all’amor tuo: scemar non tento
 Con mendicate scuse,
 La colpa mia: Da te lontana io vidi
330Altra beltà, mi piacque,
 L’ammisi entro del cor. Fargli dovea
 Resistenza, lo so,
 Ma, o non potei volendo,
 O potendo non volli. Io son la rea,
335Ne vuoi vendetta? ecco la mano: stringi,
 Stringi il nodo funesto,
 Ma sappi ancor, che l’ultimo momento
 Del viver mio, del tuo godere è questo.
 DALISO
 Dunque più della morte
340Odioso ti son io?
 ROSALBA
 No; ma più della vita,
 M’è caro il tuo rival. Io non potrei
 Viver senza di lui.
 DALISO (pensa.)
                                    Mal mi conosci
 Rosalba, e mal mi tenti. Io sono amante,
345Del mio non già, del tuo piacer: Va, godi
 In libertà del nuovo amor, che tanto
 Piace al tuo cor; nol turberò. Sol bramo,
 Che tu volga tal’ora
 Uno stanco pensiero alla mia fede,
350E dica fra te stessa (Ah non mi lice
 Tanto sperar:) Che barbara mercede
 Ebbe in amor da me quell’infelice!
 
   Dirai, qual’or dal labro
 Del tuo novello amore
355Spiegar ti sentirai
 Le fiamme del suo core,
 I pregi di quel viso:
 Il povero Daliso
 Pur mi dicea così.
360  Perché a turbar non giunga
 I dolci affetti tuoi,
 Dillo, se dir lo vuoi;
 Ma fa, che non t’ascolti
 Colui, che t’invaghì.
 
 SCENA X
 
 ROSALBA, poi FABIO, indi ORTENSIO e LUCINDA.
 
 ROSALBA
365Numi! Qual nuova foggia
 Di combattere un cor! quasi ma viene
 Il caro bene a me: cessi ogni dubio,
 Si perda ogni memoria:
 Ecco, in quel vago volto,
370Ecco la mia difesa e la vittoria.
 FABIO
 Rosalba! oh Dio vedesti?
 ROSALBA
 Chi mai? forse colei, di cui ti fingi
 Germano?
 FABIO
                       Sì.
 ROSALBA
                               No: non la vidi ancora.
 Ma senti: Io (parlano fra di loro.)
 ORTENSIO
                           Videtillo, (a Lucinda.)
375E chella è la Signora
 Soja.
 LUCINDA
             (Coraggio alma mia.) Ecco a tuoi piedi
 Germano amato (Mentre se gli vuol gettare a piedi, per domandargli scusa della sua fuga, s’avvede esser l’amante quel, che credea Fratello, e resta attonita.) (Ahi vista!)
 FABIO
 (Oh incontro! Io gelo, io smanio.)
 ORTENSIO
                                                               E mbè ch’è stato?
 ROSALBA
 (Ah gelosia crudel!)
 LUCINDA
                                       Dunque costui
380(Ma no: si finga e all’ira
 Del Zio s’involi.)
 ORTENSIO
                                 Comme!
 Lucinna? non è chisso
 Frateto?
 LUCINDA
                   Sì: pur troppo
 Egl’è desso l’ingrato:
385Nel volto sfigurato
 Dal fallo suo, no’l ravvisai.
 FABIO
                                                  Qual fallo?
 (Secondiam la finzione.) E chi più rea
 Di te, Lucinda?
 LUCINDA
                               Io rea!
 FABIO
                                              Una Donzella
 Sola, fuggir dalle paterne mura,
390La Patria abbandonar, porre in periglio
 La vita insieme, e l’onestà
 ORTENSIO
                                                  Ha raggione.
 LUCINDA
 Ma de trascorsi miei, tu ben lo sai,
 Chi fu mai la cagione?
 Barbaro cor, perché la taci?
 FABIO
                                                    (Oh Dio
395Formo io stesso il processo al fallo mio.
 ROSALBA
 (Crescono i dubj miei.)
 LUCINDA
                                              Non fu l’amore,
 Crudel, ch’io porto a te?
 ORTENSIO
                                              So’ Frate, e Sore. (a Rosalba che smania.)
 LUCINDA
 Per te, per te lontana,
 Anima senza fede,
400Dalla paterna fede,
 Quella misera vita all’onde irate
 Commisi, e per tuo amore,
 Scopo infelice di nemica sorte,
 Soffersi, in stranio lido
405Barbara schiavitù, ceppi ritorte.
 ORTENSIO
 (Mo’ chiagno) veramente
 Ne nnattemo corrette
 Lo poveriello cca
 Co di deta de vela, pe trovarese,
410E la desgrazia toja cca la sapette.
 LUCINDA
 Ma, in vece di pensare a riscattarmi
 Dalle mani de barbari,
 Sparse d’eterno oblio
 La memoria di me, donando ad altra
415Tutto il suo cor (quel cor, che fu già mio.)
 ORTENSIO
 Lo scuro è compatibbole,
 È gioveniello ancora:
 Vedette sta Signora,
 Che puro è stata schiava
420Comm’a ttene, ed io cca l’arrecettaje,
 E se ne n’ammoraje.
 FABIO
 (Ahi tormento!)
 LUCINDA
                                 Compiango (a Rosalba.)
 La tua sventura. Misera! non sai
 Di qual tempra è quel core,
425A me lo chiedi, ascolta, e lo saprai.
 
   Senza legge, e senza fede,
 Nido è sol d’inganno, e frode:
 Infelice chi gli crede,
 Core indegno, traditor.
430  Tu la prima no, non sei,
 Né pur l’ultima sarai,
 Che delusa resterai
 Dall’infido, ingannator.
 
 SCENA XI
 
 ORTENSIO, ROSALBA, e FABIO.
 
 ORTENSIO
 Celio? Lassala dì,
435È femmena, è ammorosa, e l’affechenzeja
 La sporta. Sia Rosarba?
 Tu no le dasse aodienzeja,
 Ca Celio è bbuono figlio.
 ROSALBA
 Ah che in colei
440La mia rivale io vedo.
 ORTENSIO
 Maro mene l’è ssore. Allegramente
 Celio mio, ca volimmo
 Nnzemmora fa lo nguadio. Non saje niente?
 Vespina
 FABIO
                   Deh lasciatemi
445In pace un sol momento.
 ROSALBA
 Ah Celio?...
 FABIO
                        Per pietà Rosalba
 ORTENSIO
                                                          Via
 Jammoncenne da cca,
 Lassammolo sbottare.
 ROSALBA
 Son tradita.
 ORTENSIO
                         Si’ pazza figlia mia. (entra portando seco Rosalba.)
 
 SCENA XII
 
 FABIO.
 
 FABIO
450Misero! dove fuggo, ove m’ascondo!
 Se a Lucinda mi volgo,
 Sento chiamarmi ingrato,
 Se al caro bene amato,
 Vedo, che, irato in volto,
455Mi sgrida, mi minaccia,
 E la mia infedeltade ò sempre in faccia.
 Numi del Ciel consiglio.
 Chi per pietà m’invola al mio periglio.
 
   In solitaria selva
460Smarrito passaggiero
 Sto in mezzo a un serpe fiero,
 E al rapido torrente,
 Dove fuggir non so.
   Certo del mio periglio
465Movo tremante il piede,
 Volgo dubbioso il ciglio,
 Scampo trovar non so.
 
 SCENA XIII
 
 ORTENSIO portando per petto CIANFRONE.
 
 ORTENSIO
 Lazzarone frustato
 Viene cca.
 CIANFRONE
                      Si Patrone
470Scumpela mo’, sta appasto co le mmano,
 Levamelle da pietto,
 Statte, vi’ ca te perdo lo respetto.
 ORTENSIO
 Ch’haje ditto stammatina
 A la nennella mia?
 CIANFRONE
                                     A chi?
 ORTENSIO
                                                   A Bbespina.
 CIANFRONE
475Nennella toja Vespina?
 ORTENSIO
 Tanto bbello.
 CIANFRONE
                           Si Patro’? me faje ridere.
 ORTENSIO
 Te nne ride de cchiù?
 CIANFRONE
 Chesta è cosa da chiagnere
 Vuoje di tu mo’.
 ORTENSIO
                                 Pecché?
 CIANFRONE
480Pecché! mmano de chella si mattuto!
 ORTENSIO
 Embe ched’è?
 CIANFRONE
                             Patrone mio si’ juto.
 Tu si’ biecchio!
 ORTENSIO
                               Che biecchio!
 Tieneme mente te:
 Comme sto arditolillo,
485Forte, gagliardo, e zompo, comm’a rillo. (balla.)
 CIANFRONE
 (Oh maro te scasato.)
 
 SCENA XIV
 
 VESPINA, e detti.
 
 VESPINA
 Viva il mio Cicisbeo
 ORTENSIO
                                        Oh! attiempo a ttiempo.
 Addo’ si’ tu? Addenocchiate cca ’nterra, (a Cianfrone.)
 E basale li piede.
 CIANFRONE
                                  A chi?
 ORTENSIO
                                                A Bbespina.
 CIANFRONE
490(Lo guajo, che te stencina)
 E pecché?
 ORTENSIO
                      Tu lo ssaje.
 VESPINA
                                             Che mi dicesti
 Poc’anzi?
 CIANFRONE
                     Sore mia,
 La veretà decette.
 Si no ll’havesse ditto,
495Ciento, e mille aute bbote lo dderria.
 ORTENSIO
 Ah bribbante? addenocchiate te dico.
 CIANFRONE
 Na cufece.
 ORTENSIO
                      O mo’ spogliate, e bbattenne,
 CIANFRONE
 So llesto. N’ato Napole
 Non ce sta no: so’ llotane:
500Che Roma, e Roma.
 ORTENSIO
                                       Abbia.
 VESPINA
                                                      Noi qui veniamo?...
 CIANFRONE
 A sbrammareve: sì, ca scauze e nnude
 Vuje cca ve ne venite,
 E cca po ve mettite nsignoria.
 ORTENSIO
 Frabbutto sfratta mo’.
 CIANFRONE
                                           Mo ce ne jammo
505Nesciuno me fa filo:
 Se tratta de la Patreja cancherusse!
 Parite tant’Abbreje! (a Vespina contrafacendola.)
 VESPINA
                                         Della gentaglia
 O inteso di parlar, che gl’altri poi
 Son tanti Principotti.
 ORTENSIO
                                         Benedetta.
 CIANFRONE
510Abbona mo’, chi non te conoscesse.
 ORTENSIO
 A la forca vastaso.
 CIANFRONE
 So’ ggalantommo sa, oh! mo’ me saglie
 Lo senapo a lo naso.
 ORTENSIO
 Ammarcia, o te traviso.
 CIANFRONE
515Che travesà? sta facce
 Me schiaffaraje addo’ non mpò lo Ssole.
 ORTENSIO
 Lassa lassa Vespina.
 CIANFRONE
 Che bbuo’ lassà? guallecchia.
 ORTENSIO
                                                       Ah schefienzeja.
 VESPINA
 Via zitto ch’è vergogna.
 CIANFRONE
520Vi’ chi bbo’ fa l’ammore.
 ORTENSIO
 Pù pù va a ffa lo sbirro.
 CIANFRONE
 Vance tu.
 ORTENSIO
                     Pedocchiuso.
 CIANFRONE
 Smorfia.
 ORTENSIO
                    Chiappo de mpiso.
 CIANFRONE
 Vi’ che facce d’aloja!
 ORTENSIO
                                        Facce d’acciso.
 
525Si t’afferro, te spetaccio
 Felle felle te ne faccio.
 
 CIANFRONE
 
 Si me lasso, le bbodella
 M’arravoglio a ste ddetella.
 
 VESPINA
 
 Via via, che vernia è questa?
530Mi fa male entro la testa.
 
 ORTENSIO
 
 Po vedimmo.
 
 CIANFRONE
 
                            Vedarimmo.
 
 A DUE
 
 Chi songh’io, e chi si’ tu.
 
 VESPINA
 
 Non ne posso proprio più.
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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