Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 Amore ed amistade, Napoli, a spese di Nicolò di Biase, 1742
 a cura di Luigi Caiazza
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Riva di Mergeliina, con veduta di Mare, e poggi alla sponda di esso. Da una parte fabriche antiche, che rappresentano un Palazzo mezzo diruto con la loggia, che sporge su l mare. Dall’altra, veduta di Giardini con Osteria avanti.
 
 JENNARONE, e URZOLINA, che vengono contrastando con ORTENZIO, e CAMILLO.
 
 JENNARONE
 
 Ve capesco sì signore.
 
 URZOLINA
 
 V’aggio ntiso signor sì.
 
 JENNARONE
 
 Le Guagnastre songo bone.
 
 URZOLINA
 
 Ma la cosa no mme sona
5Si lo fatto no sprecate.
 
 JENNARONE
 
 Si cchiù chiaro non parlate.
 
 URZOLINA
 
 Via sentimmo Jennarone.
 
 JENNARONE
 
 Urzolina lassa dì.
 
 ORTENZIO
 Non tanta scortesia, che in questo luogo
10Non vennimo a turbar la vostra pace.
 CAMILLO
 Indugiate un momento
 A formare l’idea, in finchè almeno
 I nostri sensi vi sian noti appieno.
 JENNARONE
 Ecconce ccà; via su jate decenno.
 ORTENZIO
15Udite: Un Galant’uomo,
 Che in cotesto palazzo
 Venne a divertimento
 Chiamato D. Giancola hà due sorelle.
 URZOLINA
 Lauretta, e Fraviella.
 ORTENZIO
                                         Or noi di queste
20Di onesto foco accesi,
 Ne aspirammo alle nozze. In varie guise
 femmo al dilor germano
 Proponerne l’accordo: Egli, che vanta
 Un’umor stravagante
25Con diversi raggiri
 Hà le nostre richiese al fin deluse,
 E per torci ogni speme
 Quì venne ad abitar.
 JENNARONE
 Vuje mo vorrissevo
30Pe farle no despietto saporito
 Da Mergoglino mannarlo a Cornito?
 URZOLINA
 Maramè, che bregogna!
 CAMILLO
                                              O scipidezza!
 ORTENZIO
 Tutto ancor non udiste. Or noi vogliamo
 Nella vostra Osteria
35Dimorar qualche tempo: Infin che reso
 Quell’umor sì fantastico
 Più dolce, e più trattabile
 Col spesso conversar; Alfin conceda
 Le desiate nozze.
 CAMILLO
                                  Un tal desìo
40All’oprato ci spinse.
 URZOLINA
                                       Ih bella cosa!
 Ve l’avite agghiustata.
 JENNARONE
                                           E cchi mme dice
 ca co la scusa de lo matremmonio
 vuje po
 ORTENZIO
                 Non più garir. Prendi quest’oro
 Per ora, ed indi aspetta
45Ricompenza più grande.
 JENNARONE
 Uh mme volite confondere.
 (Urzolina leva rimmo, ca nce manteca nchino!)
 URZOLINA
 Signure mieje, scusate
 La mpertenenzia. Mo ncevò! L annore
50Mme faceva parlà. Si vuje da primmo
 Mme decivevo tutto
 Fatto non se sarria zinno, ne mutto.
 
    Io so na fegliolella
 Scornosa, e nzemprecella
55Saccio ca de malizie,
 De trapole, e trestizie
 So l’Uommene compennio:
 E cchi non è trottata
 Spisso se fa gabbà.
 
60   Io mo ch’aggio a paura
 De n’essere gabbata,
 No stongo maje secura,
 Se non se parla chiaro:
 E nzi che non mme mparo
65Nesciuno mme la fa.
 
 SCENA II
 
 ORTENZIO, CAMILLO e JENNARONE
 
 CAMILLO
 ? molto graziosa! ? tua sorella?
 JENNARONE
 ? lo frate, è la sore
 So schiavottielle vuoste
 (Co lo figlio de Nufrio.) Ma ecco
70D. Giancola, che bene da lo Capo
 Co le Ssegnure.
 ORTENZIO
                               Oh giusto a tempo.
 JENNARONE
                                                                    Via
 Decite, se ve pare
 Comm’avimmo da dì?
 ORTENZIO
                                            Lasciane il peso
 A noi: Ei non conosce
75Chi siam.
 CAMILLO
                     Saprem portarci:
 E delle sue sciocchezze ancor burlarci.
 
 SCENA III
 
 ORTENZIO, e CAMILLO sedono ad un poggio, D. GIANCOLA, FLAVIA, e LAURA, che Vengono in barca, e JENNARONE avanti all’Osteria.
 
 D. GIANCOLA
 
 Rennenella varca l’onna
 Va dall’una all’autra sponna
 Corre, vola E po che ffà
80Fraviella dì che ffa.
 
 Bonora jeva buono:
 Con na rimma corrente
 Avea nzertata n’aria:
 Onna, sponna, llà, e ffà. E po a lo mmeglio
85Mme so mbrogliato. Via siammo nterra,
 Ca mme mena no po’de feleppina.
 Chiano, chiano, Chiappino,
 Che dejantene faje?
 Vuoje mmertecà la varca? fa scennimmo. (cala, e si accorge d’Ortenzio e Camillo.)
90Ma chia, chesso che d’è? Sti spataccine
 Che bonno da cca ttuorno? Fremma, fremma
 No ve movite ancora
 Vedimmo chi so cchiste.
 CAMILLO
                                               (Egli di noi
 Si accorse, e trattenere
95Fè le sorelle in barca.)
 ORTENZIO
                                           (Or tu seconda
 Amico l’opre mie.) (piano frà loro.)
 FLAVIA
                                      Laura deh mira
 Ecco Ortenzio e Camillo.
 LAURA
 Son d’essi: o noi felici!
 ORTENZIO
                                            Il mio Signore
 Sia pur il benvenuto. (a D. Giancola.)
 CAMILLO
                                          Anch’io li faccio
100Umile riverenza.
 D. GIANCOLA
 Schiavo: aggiate pacienza
 Ca mme trovo provisto.
 (Jennarò, chisse lloco creo ca vorranno stà pe Cammariere.) (piano a Gennarone.)
 JENNARONE
 (Gnernò, so Passaggiere,
105Ch’anno pegliato alluoggio la taverna)
 D. GIANCOLA
 L’aggio sgarrata tonna.
 ORTENZIO
                                            (Or qui bisogna
 Dimostrar con costui spirto, ed ingegno.
 Sieguimi.) (a Camillo.) Non và bene
 Che tanto incommodate
110Sian dal moto dell’onde
 Le povere Signore. A noi permesso
 Dia di farle calar.
 D. GIANCOLA
                                   Nò Patro mio
 Stanno commete assaje. No ve pegliate
 Tanto fastidio (volendoli trattenere.)
 ORTENZIO
115Eh vuol burlar. Calate. (spingendo D. Giancola, Ortenzio dà la mano a Flavia e Camillo a Laura, e Le fanno calare.)
 D. GIANCOLA
 Chesso, che
  a ddì? Tu te nne ride
 Piezzo de caperrone; E io mo crepo?
 JENNARONE
 E ssi l’ausanza è chessa
120De li frostiere. Vuje non canoscite
 Ca chisse so de fore.
 D. GIANCOLA
                                        E so benute
 Apposta a sto pajese?
 FLAVIA
                                          Ortenzio mio
 ORTENZIO
 Fingi o cara per or. (piano fra di loro.)
 LAURA
                                       Camillo addio.
 Qual sorte inaspettata?
 CAMILLO
                                             Ad altro tempo
125Tutto saprai.
 D. GIANCOLA
                           Saglimmo
 Ncoppa fegliò: ccà bascio
 Commenza a ffà freschetto.
 ORTENZIO
                                                    E perché tanta
 Fretta o Signor? Privarci così presto
 Di vostra compagnia,
130Tanto dolce, ed amata,
 Senza darci contezza
 Delle vostre persone,
 ? cattiva creanza.
 JENNARONE
 Non t’aggio ditto ca chessa è l’ausanza:
135Mo se fa cammarata a primma vista.
 D. GIANCOLA
 Gnernò, non mme pejace.
 Io non so nnato all’uso.
 ORTENZIO
                                            Or venga meco,
 Se mi stia ad ascoltar.
 JENNARONE
                                           (Vo esse bella !)
 D. GIANCOLA
 Che pacienzia! Fra tanto
140Saglitevenne Laura, e Fraviella.
 ORTENZIO
 Perché? Col mio compagno
 Staranno a divertirsi quelle ancora.
 D. GIANCOLA
 Nò nvà buono mmalora!
 Mo mm’avite frusciato.
 ORTENZIO
145Che termini son questi? Malcreato!
 
    A un par mio così rispondi?
 Corpo di La pagherai.
 Guarda ben: Ah non sia mai
 Che t’avvenga un’altra volta,
150Che in quel punto trema, e ascolta:
 Ti potrei precipitar.
 
    Ad un moto del mio ciglio.
 Ad un sguardo mio sdegnato;
 Ti vedresti col periglio
155Già ridotto a contrastar.
 
 SCENA IV
 
 D. GIANCOLA, FLAVIA, LAURA, CAMILLO, e JENNARONE
 
 D. GIANCOLA
 Vide che mbruoglio è cchisso!
 CAMILLO
                                                         Eh Signor mio
 Si faccia più trattabile, che allora
 Quest’inconvenienti
 Non li succederanno.
 FLAVIA
                                         Il vostro umore
160Incivile, e indiscreto
 A noi molto pregiudica. Conviene
 Trattar con ogni sorta di persone,
 Esser lieto, e giocondo,
 Mentre per conversar si stà nel mondo.
 D. GIANCOLA
165Tu puro si resciuta? Oh manco male
 Tutto nziemo la capo
 Cacciaste da lo sacco.
 LAURA
                                         Ma soverchio
 ? cotesto rigor. Par che vogliate
 Seppellirci vivendo.
 D. GIANCOLA
                                       Bravo, bravo.
170Datele mo, ch’è tiempo: Ma si sferro
 Scennere ve farraggio lengua ncanna.
 CAMILLO
 Sò ben, che scherza adesso,
 E se sembra sì fiero in apparenza
 Mite assai lo farà l’esperienza.
 JENNARONE
175(Comme te lo pasteggia!)
 CAMILLO
                                                 Ora ci dia
 Permesso di portarci a divertire
 Lungo del mar, già ch’è si vago il giorno.
 D. GIANCOLA
 Chisso è n’altro taluorno.
 JENNARONE
 Jate coll’ora bona.
 D. GIANCOLA
                                    E tu, che nc’intre?
 JENNARONE
180Che fuorze non mmolite?
 D. GIANCOLA
                                                 A passeare
 Nc’aggio da ire io puro.
 CAMILLO
                                             Eh no: si stia:
 Di divertirle sarà cura mia.
 
    Ritorneran più liete
 Dopo sì bel passeggio,
185E sarà vostro preggio
 L’esser cortese ognor.
 
    Il vostro umor galante
 Avrà mille amatori,
 Avrà ben mille onori,
190E riverenze, ancor. (parte portando per mano Flavia e Laura.)
 
 SCENA V
 
 D. GIANCOLA, JENNARONE e poi URZOLINA
 
 D. GIANCOLA
 Tiene mmano. Addo’ jate? Eilà fegliole
 Ajuto, Gente ccà.
 JENNARONE
                                  Che d’aje, ch’è stato,
 Che t’è socciesso?
 D. GIANCOLA
                                   Comme? che te pare?
 Va buono? so squagliate?
 JENNARONE
                                                 Arrasso sia!
195Vanno no poco a spasso,
 E tornarranno priesto.
 D. GIANCOLA
                                            Ed io fra tanto
 Che ffaccio?
 JENNARONE
                          Nfrà de nuje
 Nce potimmo spassà.
 D. GIANCOLA
                                          Co cchi? Co ttico,
 Che ssi n’urzo marino! Già ch’è cchesso,
200Chiamma soreta ccà: Voglio co essa
 Spassarme.
 JENNARONE
                         Mo faje buono
 (Io lloco te volea; ca si’mmattuto
 A bone mano.) Jesce Urzolina, jesce
 Spassame D. Giancola.
 D. GIANCOLA
                                            A lo mmacaro
205Non crepo pe li scianche.
 URZOLINA
                                                Che bolite?
 Addo’ so le Segnure?
 D. GIANCOLA
                                         Au sciorta mia!
 Non ghi sapenno.
 JENNARONE
                                   Songo jute a spasso,
 E ttornano mo mmò. Ccà ncè nfratanto
 D. Giancola, e se vole divertire,
210Io lo consegno a te, che si masta
 De sfuoglie, e faje menà bona la pasta.
 
    Si contento? (a D. Giancola) Spassamillo. (a Urzolina)
 (Vi che piezzo de nzertone!)
 Si volite ncrusione
215No sciacquitto, n’arrustillo
 Ccà nc’è tutto: spassamillo:
 Urzolina facce fà.
 
    (E bozzacchio, o sporteglione,
 E facc’ommo, o coccovaja
220A lo truglio pò de Vaja,
 Portamillo a trafecà.) (ad Urzolina.)
 
 SCENA VI
 
 D. GIANCOLA, e URZOLINA.
 
 D. GIANCOLA
 Embè facce de fata
 Tu mm’aje da fa passà lo malummore.
 URZOLINA
 Ch’avite l’antecore nzanetate:
225Decite, spapurate; Ca si maje
 (Che fosse annante craje.)
 Dinto se nchiude chessa brutta cosa:
 Farrissevo na botta forejosa.
 D. GIANCOLA
 Dice buono: Ora sacce
230Ca io so nnammorato
 De sse bellizze toje.
 URZOLINA
                                      Uh niscia mene!
 Comme mme lo decite a ttuosto a ttuosto.
 D. GIANCOLA
 E ssi mm’hà ditto frateto
 Ca mò s’usa accossì. Mperzò speduto
235Mme songo ndoje parole.
 URZOLINA
 Giacchè chessa è l’ausanza
 Io paro ndoje parole
 Responno,  pe non fà mala creanza.
 D. GIANCOLA
 Via dì sciatillo mio.
 URZOLINA
240Veditevuje e io
 D. GIANCOLA
 Non te fremmare, secoteja appriesso.
 URZOLINA
 Vorria
 D. GIANCOLA
                Che ccosa?
 URZOLINA
                                      Che mmorisse ciesso.
 D. GIANCOLA
 Chesso che ncentra?
 URZOLINA
                                        E comme non t’adduone
 Ca si na brutta smorfeja,
245Che te potrisse mettere
 Mponta de n’arteficio a lo mercato?
 Specchio non hàj? o proprio si’cecato?
 D. GIANCOLA
 
    Io saccio Nenna bella
 Ca mme vuoje dà martiello
250Pe ffareme sperì.
 Ma niente mme ne curo
 Si mbè mm’avisse puro
 Da rompere la capo,
 E farme piezze piezze:
255Chiss’uocchie, e chesse trezze
 Mme fanno ascevolì.
 
    Ma saccio ca no juorno
 Mm’aje da venire attuorno
 Comm’a no Cacciottiello,
260Che abbaja, e bbà sautanno,
 E te derraggio tanno,
 Te gioja mia ccì ccì.
 
 SCENA VII
 
 URZOLINA, poi FLAVIA, ed ORTENZIO.
 
 URZOLINA
 Chisto è no pasto nobele!
 Vedite s’è possibele,
265Che le pozza portà niente d’ammore,
 Io che non ssaccio ancora
 Che bene a dì. Ah Jennarone! E pure
 No juorno mme la faje. Io che cresciuta
 Te songo comm’a sore: Mo che saccio
270Ca no mme si cchiù Frate: a poco a poco
 Sento cagnarme mpietto
 Chillo semprece affetto
 Co na cosa cchiù doce. O sciorte mia!
 Che fosse ammore chisto, nce vorria.
275Ma veneno a sta banna
 Chillo Frostiero, e la fia Fraviella.
 Le boglio lassà sule
 Li scure nnammorate:
 Ca chi vo bene è digno de piatate. (parte.)
 FLAVIA
280Ortenzio, or che siam soli
 Spiegarmi tu potrai
 ORTENZIO
 Sì per tormento mio tutto saprai:
 A tale oggetto io fei
 Trattenere lontani Laura, e Camillo. Odi: a costui degg’io
285Vita, beni, ed onor. Egli mi accolse
 Solo, e senza sostegno,
 Ramingo, e fuggitivo
 In Genoa, e ancor di ogni speranza privo.
 FLAVIA
 Oh Dio che mi rammenti! In Genoa io trassi
290Le mie prime aure vitali.
 ORTENZIO
                                                 E tù non sei
 Nata in queste contrade?
 FLAVIA
                                                Ogn’un lo crede:
 Ma pur non è così: Bambina io fui
 Colla mia Genitrice
 Dalle sponde natie
295Da Legno allor nemico
 Rapita: Ella che allora
 Vedova, benché ancora
 Di fresca età: passò a seconde nozze
 Col Padre di costui, ch’oggi si vanta
300Mio German, ma non è: Ma poi la sorte
 La trasse in pochi mesi a cruda morte.
 ORTENZIO
 O sciagura! E lasciasti
 In Genoa alcun de tuoi congionti?
 FLAVIA
                                                                Intesi,
 Che un Germano restasse
305D’un lustro a me maggior: Né mai contezza
 Ebbi di lui.
 ORTENZIO
                        O quanto a tuoi simili
 Sono i miei casi: E rammentarli adesso
 Inutil fora. Assai più grave cura
 Oggi mi affligge: Or sappi
310Che di te forte acceso
 Camillo, ignaro affatto
 De nostri amori; per mio mezzo spera
 Possederti consorte.
 FLAVIA
 Lo spera invan; che tormi
315A te solo Idol mio, potrà la morte.
 ORTENZIO
 O amicizia! O dover! Almen sospendi
 Per qualche tempo, o cara
 Le tenerezze tue! Finger dobbiamo
 Finché arrida il destin. Mostrati ignara
320D’amor: Ora l’affida,
 Or la dispera. In differenza sia
 La nostra scorta.
 FLAVIA
                                 E s’ei fra tanto avanza
 Colle dubbiezze mie la sua speranza?
 ORTENZIO
 Il ciel, la forte allora
325Qualche aita darà? Fra tanto ancora
 Impegnati con Laura debolmente
 Io mostrerò gli affetti.
 FLAVIA
                                           E come oh Dio!
 Finger tanto io saprò?
 ORTENZIO
                                           Ma tu non m’ami?
 FLAVIA
 Più di me stessa.
 ORTENZIO
                                  E possedermi brami?
 FLAVIA
330Ah! questa speme
 Solo in vita mi serba.
 ORTENZIO
                                          Or dunque è d’uopo
 Armarti di costanza, e di valore.
 FLAVIA
 Le debbolezze mie supplica Amore.
 
    Così smarrisce, e cede
335Nuovo guerrier, se vede
 Di Marte il primo aspetto:
 E quel feroce oggetto
 Impallidir lo fa.
 
    Ma coll’esempio poi
340Della fortezza altrui;
 S’accende a poco a poco:
 E l’armi, il campo, e’l foco
 Più paventar non sà.
 
 SCENA VIII
 
 ORTENZIO, e poi LAURA.
 
 ORTENZIO
 Tanto soffrir convien: Che dura legge
345È quella, che prescrive
 I termini all’amore, e all’amistade
 Di nostra prima etade
 Quanto mai son felici
 L’ore, e i momenti, in cui scevro d’affanni
350Ne vive in libertade il nostro core.
 Pena non hà, se non conosce amore.
 LAURA
 Ortenzio alfin poss’io
 Dirti, che per te peno,
 Che degl’affetti miei
355Il solo oggetto, e la cagion tu sei.
 ORTENZIO
 Bella, se ignoto Amore
 Non fosse all’alma mia
 Forse solo per te m’accenderia.
 LAURA
 Dunque sperar non deggio?
 ORTENZIO
                                                     E quando mai
360La speranza si niega? Un solo istante
 Opra forse assai più, che un lustro intero.
 LAURA
 Si confonde il pensiero
 In questi enigmi tuoi. Prima mi uccidi,
 Indi mi avvivi: Ingrato!
365Finor fosti insensato
 Agl’infocati sguardi,
 A miei tronchi sospiri.
 Alfin rompo ogni legge
 Ti spiego i miei martiri.
370E tu mostrando in volto
 D’indifferenza i segni
 Non mi accogli, non m’ami, e non mi sdegni.
 ORTENZIO
 
    Se a tuoi detti io non rispondo!
 Se ti guardo, e mi confondo!
375Sai perché? De tuoi bei lumi
 Resto oppresso allo splendor.
 
    Cogli sguardi tuoi vivaci
 Tu mi alletti, tu mi piaci:
 Ma non desti ancora amor.
 
 SCENA IX
 
 LAURA sola.
 
380Che strano caso è il mio? Amo un’oggetto,
 Che non m’odia, né m’ama: A un punto istesso
 Mi adula, e mi disprezza. Ei si confessa
 Vago del mio sembiante:
 Ma sdegna poi di dichiararsi amante.
 
385   Or bella speranza
 Lusinga quest’alma
 Or privo di calma
 L’amante mio core
 Tra speme, e timore
390Si sente agitar.
 
    Almen risplendesse
 In questa procella
 Benigna una stella,
 Che poi mi togliesse
395All’ire del mar.
 
 SCENA X
 
 JENNARONE, ed URZOLINA.
 
 JENNARONE
 Fegliù spacca ssi purpe,
 Coverna sse palaje:Ee ffà, che llesta
 Sia ogne cosa. E mbe lo sio Giancola
 Voleva sgargejà?
 URZOLINA
                                  Lo babuino
400Se volea remescà.
 JENNARONE
                                   Ma tu nfra tanto
 Nc’avive sfizio?
 URZOLINA
                                E ba te stipa, e torna
 Co cchiù commodetà.
 JENNARONE
                                          Vh vespetella!
 Mme faje la contegnosa: e puro tiene
 La malizia annascosa dint’all’uocchie.
 URZOLINA
405Jennarò mo si ghiaccio: Aje proprio gusto
 De repassareme.
 JENNARONE
                                  Nò, benaggia aguanno,
 Non te repasso: Tu mm’aje puosto mpietto
 No focolaro de cravune ardiente
 O da lontano, o rente
410Io sempe penzo a ttè: si propio bona
 URZOLINA
 Zitto nò cchiù, ca si zia se n’addona
 Ca t’aggio confedata la facenna,
 E t’aggio ditto ca no mme si ffrate
 Mme ne pozzo foì.
 JENNARONE
                                    Ma chi nce sente?
415Nuje parlammo ntra nuje.
 URZOLINA
                                                   Ncè lo Garzone,
 E ppò farce la spia.
 JENNARONE
 Nperzò fatella mia
 Dimmelo zitto, zitto.
 Quanto bene mme vuoje?
 URZOLINA
                                                  Comm’a no frate.
 JENNARONE
420E nniente cchiù?
 URZOLINA
                                  Che ssaccio!
 Quanta sciorte de bene
 Nce stanno? Io nò stò ntesa.
 JENNARONE
 Mo mme repasse tu facce de mpesa!
 Ma sienteUh te bonora!
425Mo vene D. Giancola.
 URZOLINA
                                          E cche scajenza!
 Quanno da cca nnabbissa
 Chisso brutto taluorno.
 
 SCENA XI
 
 D. GIANCOLA, e detti.
 
 D. GIANCOLA
 Stongo tanto storduto
 Che manco saccio, si mo è notte, o juorno
430E che mmè ntravenuto?
 Non trovo cchiù le ssore:
 Ammore mme consumma:
 Mme repassa Urzolina
 JENNARONE
 Chi vò na meza de lagrema fina,
435No cefaro, na treglia.
 D. GIANCOLA
 O che bella pareglia!
 URZOLINA
 Se simmo belle, o brutte
 Non avimmo da dà cunto a nesciuno.
 D. GIANCOLA
 E sse nfada de cchiù?
 JENNARONE
                                          Ne D. Giancola
440No nso benute ancora
 Le ssegnorelle, che sso ghiute a spasso?
 D. GIANCOLA
 Io non llaggio trovate;
 L’avisse viste tù?
 JENNARONE
                                  Creo ca so gghiute
 A Niseta, o a Pezzullo.
 D. GIANCOLA
                                          Oh sbregognate!
445O vetuperio mio! N’aggrisso cierto
 Nc’aggio da fa venì.
 JENNARONE
                                       Ma lo frostiero
 Non saje ca te le ssona?
 D. GIANCOLA
 E io jarraggio a la jostizea.
 JENNARONE
                                                   O bona!
 Site n’ommo de spireto,
450Ve valeno le mmano.
 D. GIANCOLA
 Io so ommo norato, e sso pacchiano.
 M’avite autro che dì?
 URZOLINA
                                          Sti cunte uscia
 A chi le bene a ffà? fuorz’a sto scuoglio?
 D. GIANCOLA
 Le ffaccio co buje proprio.
 URZOLINA
                                                  È vuoglio, è vuoglio.
455Sbignatella, va te nforchia.
 D. GIANCOLA
 
 Presentosa!
 
 JENNARONE
 
                         Sporchia, sporchia.
 
 D. GIANCOLA
 
 Io ve mparo de creanza.
 
 JENNARONE
 
 Ora mò chest’è sopierchio
 Faccio ll’ascio, lo campierchio;
460Ma si po mme dongo fuoco
 Faccio comm’a na carcassa,
 Che s’abbamba, e se sfracassa
 Saglie nn’aria, torna nterra,
 Terramoto, sango, e guerra
465Addo’ cade sempe fa.
 
 URZOLINA
 
 Io po so no zorfariello,
 Che s’allumma a poco a poco
 Primmo fà na vamparella,
 Po dà fuoco tutto nziemmo
470De la mbomma a lo mortaro,
 E bà dalle cchiù reparo
 Ca la bomma è ghiuta già.
 
 D. GIANCOLA
 
 Nigro me! ddo’ so mmattuto;
 So no furno de scontiente,
475Co na preta de tormiente,
 Che l’appila, e lo ntompagna:
 Tene ncuorpo na magagna,
 Che l’affumeca, e l’abbotta;
 Pare friddo; ma pò scotta,
480E non pò manco sbafà.
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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