Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 Il baron della Trocciola, Napoli, A spese di Nicola di Biase, 1736
 a cura di Giovanna Peduto
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino, con vago Pergolato in prospetto. Portici dall’un de’ lati: Dall’altro aspetto interiore della casa del Barone, con porta, e Balconi. OLIMPIA, e PAOLINA dal Pergolato.
 
 OLIMPIA
 
    Son dell’età nel fiore,
 È tempo di godere,
 Non vuo’ più affanni al core,
 Vuo’ prendermi piacere
5In pace, e libertà.
 
 PAOLINA
 
    E chi no ’l può vedere
 Gl’occhi si turi, e crepi,
 Che non c’importerà.
 
 Così bisogna fare,
10Per viver molto, e sana. Allegramente
 Signora. Vuol burlare
 Quel villan rivestito
 Del suo Signor marito.
 OLIMPIA
                                            Paolina?
 Ah non gridar così, che s’ei t’ascolta
 PAOLINA
15E come? Egl’è sortito
 Al suo solito, un’ora avanti giorno,
 Per poi tornar in casa
 A far il guarda uh l’ho voluto dire.
 OLIMPIA
 Ah! mel fossi possuto imaginare,
20Prima mi sarei scelto di morire.
 Il Genitor v’ha colpa.
 PAOLINA
                                         È fatto, e al fatto
 Non v’è rimedio. Avete visto mai
 Quel Signor Forastiero
 OLIMPIA
                                            Chi quel matto
 Che venne appunto jeri ad alloggiare
 PAOLINA
25Dirimpetto al Palazzo, e andò rondando
 Tutto ’l dì intorno ad esso?
 OLIMPIA
                                                   L’ho veduto.
 PAOLINA
 Mi fe intender co cenni il suo Volante,
 Che v’avrebbe da fare un’ambasciata
 Da parte del Padrone: Ei vostro Amante
30Sarà senz’altro.
 OLIMPIA
                               E che per questo?
 PAOLINA
                                                                  Uditelo,
 Che ci perdete mai?
 Servirà, se non altro,
 Per tenerlo in pastura
 E spassarvi burlandolo.
 OLIMPIA
                                             Ma come?
 PAOLINA
35Lasciate a me la cura
 Di servirvi in maniera,
 Che il vostro buon marito
 Non se n’avveda. In ogni caso poi,
 A noi non mancherà qualche partito.
40Perch’ei resti col peggio.
 OLIMPIA
                                               Onestamente
 Lo farò.
 PAOLINA
                  Ci s’intende, che altrimente
 Io me ne guardarei.
 Nè sarete già sola:
 Non v’è Donna
45Che almen non abbia
 Un par di Cicisbei.
 
    Lo vogliono tutte
 Il suo Cicisbeo,
 Le belle, le brutte,
50Riparo non v’è.
    Di certe più antico
 Non è il Colosseo,
 Ed uno che dico!
 Vi è fin chi n’à tre.
 
 SCENA II
 
 OLIMPIA poi LAVINIA.
 
 OLIMPIA
55Vuo’ provarci, chi sa! Forse in tal forma
 Del mio strambo consorte
 Mi riuscisse curar la gelosia,
 Facendogli veder, che quando avessi
 Mal talento, il suo zel vano saria.
60Ma chi s’appressa?
 LAVINIA
                                      Amica.
 OLIMPIA
                                                      Mia Signora (si baciano.)
 E che grazie son queste,
 Che così di buon ora
 Si degna compartirmi?
 LAVINIA
                                             A riverirti
 Venni, se t’è in piacer.
 OLIMPIA
                                            O a divertirti
65Da qualche cura tormentosa?
 LAVINIA
                                                        No.
 OLIMPIA
 Vi son sdegni, lo so,
 Col tuo Fabrizio.
 LAVINIA
                                 E chi te ’l disse?
 OLIMPIA
                                                                 In volto
 Ti lessi il core, in rimirarti.
 LAVINIA
                                                    È vero.
 Tormelo dal pensiero
70Io voglio, Olimpia, e a questo fin qui venni,
 Per teco trattenermi
 Qualche dì, se il permetti
 OLIMPIA
                                                 La Padrona
 Tu sei, ma mi dispiace,
 Che per poco godrò d’una tal sorte.
 LAVINIA
75Perché?
 OLIMPIA
                  Fra poco tornarete in pace.
 LAVINIA
 Prima m’incenerisca
 OLIMPIA
                                         No, Lavinia,
 Non t’avanzar a tanto: Io so, che l’ami.
 LAVINIA
 L’amai no ’l niego, un tempo.
 OLIMPIA
 Ed ora?
 LAVINIA
                  È l’odio mio:
80Sparsi d’eterno oblio
 L’antica fiamma
 OLIMPIA
                                 Il crederò, se vuoi,
 Per compiacerti; ma
 LAVINIA
                                        Ma che?
 OLIMPIA
                                                          Lo sdegno
 Degl’Amanti svanisce
 Ad un tratto.
 LAVINIA
                           No: senti
 OLIMPIA
                                              A miglior agio
85Parlar potremo in casa,
 Favoriscimi sopra.
 LAVINIA
                                     Olimpia mia
 Lasciami in libertà.
 OLIMPIA
                                       Come t’aggrada;
 Ma sola non vorrei,
 Che in preda del dolor
 LAVINIA
                                            Non lo temere,
90Vanne.
 OLIMPIA
                 Ti placherai.
 LAVINIA
                                          Non lo sperare.
 OLIMPIA
 Ah! fossero così gl’affanni miei.
 LAVINIA
 Quali affanni?
 OLIMPIA
                              Co tuoi
 Oh quanto volentier lo cambiarei.
 
    Almen tu serbi intero
95Sul tuo voler l’impero,
 Almen da lacci tuoi
 Ti puo’ sottrar, se vuoi,
 Ch’è quel, ch’a me infelice
 Non lice di sperar.
100   A me, che porto al core
 Laccio sì duro, e forte,
 Che per mio mal, da morte
 Solo si può spezzar.
 
 SCENA III
 
 LAVINIA, poi FABRIZIO.
 
 LAVINIA
 No, non fia mai, ch’io ceda
105Alle lusinghe, a i vezzi
 Di quell’anima ingrata:
 Di giusto sdegno armata,
 Benché tutto lo sforzo del mio core
 Costar mi debba (ahi vista, oh incontro, oh amore!) (vedendo all’impensata comparir Fabrizio.)
 FABRIZIO
110Lavinia?
 LAVINIA
                    (Oh Dio! qual gelo
 Per le vene mi scorre!)
 FABRIZIO
                                            Anima mia?
 LAVINIA
 (Ma si punisca.) Oblia.
 Il mio nome, il mio volto. Indegno sei
 Di più mirarmi: Fuggi,
115Sgombra dagl’occhi miei,
 Perfido, traditore.
 Che pretendi da me? Con nuovi inganni
 Schernita vilipesa
 Vedermi, e aggiunger sorte
120Onta novella alla passata offesa?
 FABRIZIO
 No, Lavinia, io non venni
 Il mio fallo a scusar. Non so, non oso
 Cercar, pietà perdono:
 La vittima dovuta a sdegni tuoi
125Venni a recarti al piede, e quella io sono.
 LAVINIA
 (Oh Dei? che assalto è questo!)
 FABRIZIO
 Ti tradii, lo confesso,
 Fisando in altro volto,
 Contro il voto del cor, gl’incauti rai:
130Con disprezzo il mirai
 Più, e più fiate; ma poi
 Cangiossi, mio mal grado,
 Il disprezzo in amore,
 E dagl’occhi il velen passommi al core.
135Dovea dal bel principio
 LAVINIA
                                             Ah taci. È questa
 La vendetta, che m’offri?
 FABRIZIO
                                                Eccoti il seno,
 Trafiggilo, puniscimi, m’invola
 A miei rimorsi. In odio a te, ben mio
 Più viver non poss’io.
 LAVINIA
                                          No, vivi, ingrato;
140Ma vivi al tuo rossore:
 Non curo una vendetta:
 Che mi viene da te: Già dal mio core
 Strappai lo stral funesto:
 M’involerò per sempre agl’occhi tuoi:
145La mia vendetta, il tuo castigo è questo.
 
    Oggetto sol d’orrore,
 Perfido, a me tu sei,
 Fuggi dagl’occhi miei.
 (Ah! che nol soffre amore,
150Ah! ch’ei mi fa pietà.)
    Quel cor che ti donai,
 Rendimi, a me t’invola,
 E non sperar più mai
 Di rivedermi, ingrato.
155(Ah che d’averlo amato
 Scordarsi il cor non sa.)
 
 SCENA IV
 
 FABRIZIO.
 
 FABRIZIO
 Se il desio non m’inganna,
 Io vidi nel fervor de’ sdegni suoi,
 Nel dubio volto, e ne’ furtivi sguardi,
160Del primo antico amore
 Un lampo balenar. Speranza, o core:
 Si placherà; che dove
 Spento ancora non è d’amore il foco,
 O l’ira non alberga, o dura poco.
 
165   Di qual tempra sia lo sdegno
 Nel bel Regno degl’Amanti,
 Voi lo dite, alme costanti,
 Che languite per amor.
    Un sol guardo passaggiero
170Dalle care luci amate
 Basta a rendervi placate,
 A sedar l’ire del cor.
 
 SCENA V
 
 BARONE da i Portici, poi MEUCCIO da casa.
 
 BARONE
 Mannaggia quanno maje ne fu pparola,
 Sempe aggio da sentì nove, e novelle.
175M’ave ditto uno mo’
 Ca mogliema facea le gguattarelle
 Co no cierto Milordo arrojenato.
 Chi te l’avesse ditto sio Barone
 D’addeventà nzorato
180Co cchi? co na mmalora,
 Che te la vo’ fa nuarva
 E no le puoje di’ a pecché è Signora.
 Te la volive sbattere
 Sta tanta Signoria? (vede uscir di sua casa Meuccio.)
185(Ma da la casa mia Chisso che bbo’!)
 MEUCCIO
 (Meuccio all’erta.) (vedendo il Barone che lo guarda.) Lei
 Che guarda mio Padrone?
 Che va cercando?
 BARONE
                                   Niente.
 MEUCCIO
                                                   Come niente?
 BARONE
 Sapissevo s’è asciuto lo Barone?
 MEUCCIO
190Non lo conosco.
 BARONE
                               No ne?
 MEUCCIO
                                               No.
 BARONE
                                                         (Bellissemo.)
 MEUCCIO
 Ho inteso dir, che sia
 Un villanaccio rozzo
 BARONE
 Io puro.
 MEUCCIO
                  Benché ricco.
 BARONE
                                             (Uh facce mia.)
 MEUCCIO
 Che perciò è divenuto
195Sposo a una gentil donna del paese,
 La più bella, e cortese,
 Che si possa trovar
 BARONE
                                      Pe cchesto ntanto
 Se le pò dà st’avanto.
 (Maro me, che me tocca de sentire!)
 MEUCCIO
200Pare che vi dispiaccia
 BARONE
                                          Non signore.
 MEUCCIO
 Gli siete Amico?
 BARONE
                                 Ajebbò. Famme faore:
 Ussia è sagliuto ncoppa?
 MEUCCIO
                                               Certamente.
 BARONE
 E la sia Baronessa?
 MEUCCIO
 Molto garbatamente
205M’ha ricevuto.
 BARONE
                              È na bbona Signora.
 MEUCCIO
 Per verità. E la Cameriera?
 BARONE
                                                    Puro:
 Che ppuca d’oro!
 MEUCCIO
 È un poco bruttarella,
 Ma garbata
 BARONE
                        E lo ve’: la poverella
210È serviziante assaje.
 MEUCCIO
 Subito, ch’ha sentito,
 Ch’io voleva parlare alla Signora,
 Da parte del Padrone,
 Di botto l’ha chiamata.
 BARONE
215E ussia?
 MEUCCIO
                   Ed io gl’ho fatta l’ambasciata.
 BARONE
 Ne, ne?
 MEUCCIO
                  Da franco.
 BARONE
                                       E che ll’avite ditto?
 MEUCCIO
 Che volea il Signor Conte
 Seco cicisbear: onestamente
 Però.
 BARONE
             Ente co! Have fatto
220A primmo la sgrignosa.
 MEUCCIO
                                             Niente affatto;
 Ma s’è gettata subito al partito.
 BARONE
 (Ah ccana perra.)
 MEUCCIO
                                   Pare
 Che vi turbiate.
 BARONE
                                No.
 MEUCCIO
                                          Solo m’ha detto,
 Che bisogna guardarsi dal marito,
225Ch’è geloso.
 BARONE
                         Spreposeto.
 E lo Patrone vuosto
 Chi è?
 MEUCCIO
                Quel Signor Conte forastiero,
 Che alloggia
 BARONE
                          Facce fronte a chesta via?
 MEUCCIO
 Ah ah, quello. Buondì a Ussignoria.
 BARONE
230Schiavo vuosto.
 MEUCCIO
                               Eh? sentite:
 Non ne faceste motto con alcuno.
 BARONE
 Oh!
 MEUCCIO
           Perché risapendosi un tal fatto,
 La povera Signora
 Potrebbe passar guai, per cansa mia,
235Col suo marito, e mi dispiaceria
 
    È l’amore un certo male,
 Che s’attacca, come rogna,
 Né ricetta di speziale
 Può guarirlo, ci bisogna
240Compatir la gioventù.
    Oggi dì non si condanna,
 Chi lo chiama bizzarria,
 Chi lo fa per cortesia,
 Che per verzo, e v’è taluno,
245Che lo stima per virtù.
 
 SCENA VI
 
 BARONE, poi REMIGIO.
 
 BARONE
 Ll’haje ntiso si Barone? agliutte, e zitto.
 Si t’avisse pigliata
 Na para toja, mo’ non sarrisse a cchesto,
 Ca si no poco poco jesse storta,
250A bbotta de mazzate,
 La lassarrisse nterra meza morta.
 Co chesta, ch’è Signora,
 Non te puoje freccecare.
 Sa che ccosa può fare?
255Che che? mannarennella a la bbonora.
 Non c’è autro remmedejo,
 Mo’ vao a trovà lo Patre,
 E le dico, ca io n’ogne mmanera
 Voglio fa lo devorzejo,
260Né cchiù me voglio aonì co ssa trammera.
 Ma zitto teccotillo,
 Che bbene a chesta via.
 Bongiorno a Ussignoria.
 REMIGIO
 Oh, oh, ohi,
 BARONE
                         Mo’ se nfada, e i l’abbio
265Na testa int’ a la facce.
 REMIGIO
                                           Quante volte
 V’ò j detto me Padrone;
 Che, quando ragionate
 Meco i termini usiate,
 Che si denno a un me Pari?
 BARONE
                                                     Sì Signore.
 REMIGIO
270I titolo diamice
 I titolo.
 BARONE
                 Ah! lustrissimo gnorsì.
 Faciteme favore (si pone il cappello in testa.)
 REMIGIO
 (Glielo leva di testa.) Quando si parla a un superiore, i capo
 Non si deve coprir, s’ei non lo dice.
275Ah.
 BARONE
          Ecco cca, bellissemo.
 Ora facce Usseria (Remigio va in colera.)
 Ussia lustrissemo.
 Si Remiggio mio caro (Remigio come sopra.) Embe’ ch’è stato?
 REMIGIO
 Vo’ avete i capo duro
280Più di un felce, possibile,
 Che la non vi ci voglia
 Entrar per verun conto?
 Canchitra?
 BARONE
                        Ch’aggio fatto?
 REMIGIO
 I rispetto comanda,
285Che non si chiami a nome
 Un ch’è da più di voi.
 BARONE
 Comme co’?
 REMIGIO
                          Se gli dice
 Brevemente Signore.
 BARONE
 Ora sio Brevemente, faccia Ussia
290Che la mogliere mia
 REMIGIO
                                        Ohi, ohi, ohi.
 BARONE
 (Mannaggia.)
 REMIGIO
                            La me moglie, la me moglie!
 BARONE
 Comme non m’eje mogliere?
 (Volesselo lo Cielo.)
 REMIGIO
 La v’è; ma, essendo nobile,
295La non si può da voi
 Chiamar con un tal titolo.
 BARONE
 (Mannaggia tanta nobbertà) ma comme
 Ll’aggio da di’ (Che freoma!)
 REMIGIO
                                                       La Signora.
 BARONE
 Buono. Ora sta Signora
300Se vaga a ffa li fatticielle suoje,
 Che io no la voglio cchiune,
 Voglio fa lo divorzejo.
 REMIGIO
                                          E la cagione?
 BARONE
 Mo’ la dico: SacciateUssia lustrissemo.
 Che la figliola vosta La signora
305Me va facenno ntapeche,
 Pe ffareme, atta d’oje,
 Addeventà no voje.
 REMIGIO
 Come, come! no ntendo.
 BARONE
                                               Ussia lustrissemo
 Mettiteve l’acchiaro, magna cca,
310Vace trovanno de me fa portà
 Sta nzegnetella nfronte.
 REMIGIO
                                              Affè d’i zio!
 BARONE
 De lo vavo porzì
 REMIGIO
                                La non può stare.
 Vo’ siete uno mpostore,
 Seco avete i ma cuore,
315Vo’ v’andate ’nventando (co colera.)
 Codeste sole, e mi farete un giorno
 Scappar fuori d’i manico sapete?
 Corbezzole!
 BARONE
                         Ussia senta.
 REMIGIO
 La me figlia è onorata.
 BARONE
320Sì Signore; ma stace nnammorata
 De chillo sio milordo,
 Che abbeta lloco nfacce.
 REMIGIO
 D’i Conte di Melato!
 BARONE
 Ah, ah, fusse squartato,
325Chillo, chillo: mo’ nante le mannaje
 Na certa mmasciatella
 Pe lo criato.
 REMIGIO
                         Ed ella?
 BARONE
                                          Responette
 REMIGIO
 Che mai?
 BARONE
                     Ch’è lo Patrone.
 REMIGIO
 Oh vo’ avete ragione,
330S’egli è così. Io porrò in chiaro i tutto:
 Andate in casa, e non ne fate motto
 Con alcuno, che or ora
 Sarò con esso voi.
 Ate inteso?
 BARONE
                        Gnorsì che bbella sciorte!
335Chi me l’avesse ditto
 D’avere da portà le ffusa storte.
 
    Patremo lo ddeceva:
 Figlio, non te nzorà.
    Ah! isso lo ssapeva,
340Che puro int’a sti guaje
 Ncappato nce sarrà.
 
 SCENA VII
 
 REMIGIO, poi DULCINDO.
 
 REMIGIO
 Come diamin può star, ch’a un tratto, a un tratto
 Abbia perso i cervello la me Pimpa!
 Io vo’ cavarne j netto
345Di codesta facenda: oh appunto appunto.
 Me Padron? Signor Conte?
 La faccia grazia.
 DULCINDO
                                Eccomi, qui comandi,
 Son tutte al tuo piacer mie voglie pronte.
 REMIGIO
 La dica: favorisca,
350Coprasi.
 DULCINDO
                   Oh.
 REMIGIO
                             Si serva.
 DULCINDO
                                               Non conviene.
 REMIGIO
 Via.
 DULCINDO
           Ah.
 REMIGIO
                    Con cento diavoli, si copra,
 M’ha fatto venir male nelle rene.
 DULCINDO
 Non s’alteri, non s’alteri.
 REMIGIO
                                               Ma s’ella
 Mi ristucca con tante cirimonie.
 DULCINDO
355Per ubbidirla. (si copre.)
 REMIGIO
                              Dica in cortesia:
 Ella sa chi son io?
 DULCINDO
                                   Non ho tal sorte,
 Son forastier (finger m’è duopo: questi
 Mi sembra il Genitor d’Olimpia mia)
 REMIGIO
 Non puol esser di manco,
360Ch’ella non abbia inteso ragionare
 Di Remigio, i Signor di Malmantile.
 DULCINDO
 Sì: L’udii predicare
 Per uomo illustre, e forte.
 REMIGIO
 Questi son io.
 DULCINDO
                            Me ne consolo assai.
 REMIGIO
365E quella Signorina:
 Che dimora costì.
 DULCINDO
                                   Non ho l’onore
 Di conoscerla. (All’erta.)
 REMIGIO
 Non la conosce? e come!
 S’ella ci fa all’amore.
 DULCINDO
370Io! ah ah ah (ride.)
 REMIGIO
                          La ride!
 Mi faccio maraviglia
 D’i fatto suo, canchitra! la me figlia
 È giovine onorata,
 Né so com’ella ardisca
375Di farci i falimbello.
 DULCINDO
                                        Compatisca.
 La sua Signora figlia
 Per ombra io non conosco.
 REMIGIO
                                                  E siam da capo.
 La non mi faccia i semplice:
 Gli torno a dir, che la me figlia è quella,
380Ch’abita in questa casa,
 È maritata
 DULCINDO
                       Ed io
 Amoreggio con ella!
 REMIGIO
                                       Padron sie,
 Mi vien detto così.
 DULCINDO
                                     Mente chi ’l dice
 Ed io son pronto a sostener col brando,
385Ch’è un pazzo, un mentitore
 Chi tal fatto asserisce:
 Son Cavalier d’onore,
 So quel, che mi convien.
 REMIGIO
                                               Dunque è menzogna?
 DULCINDO
 Certamente. I miei pari
390Non son capaci d’una azzion sì vile.
 Io tentar l’onestade
 Di chi gode il vantaggio
 D’esser figlia al Signor di Malmantile!
 Giuro
 REMIGIO
               Non più, la credo: Mi perdoni
 DULCINDO
395No: Vuo’ saper da lei
 Quai sia costui, che ardi d’imposturarmi
 Così sfacciatamente,
 Per far veder, ch’ei mente,
 Se sia mestieri, al paragon dell’armi.
 REMIGIO
400Non si prenda travaglio.
 Ch’io lo castigherò.
 DULCINDO
                                      Sì? bene, bene.
 Lei resta, o pur sen viene?
 REMIGIO
 S’ella non mi comanda
 Altrimenti, vorrei
405Salir dalla fanciulla
 DULCINDO
                                      A suo piacere.
 Dunque se n’entri, vada.
 REMIGIO
                                                Oh vada lei.
 DULCINDO
 Mi burla.
 REMIGIO
                     Mi corbella.
 DULCINDO
 La supplico.
 REMIGIO
                         La priego.
 DULCINDO
 Per grazia
 REMIGIO
                      Per favore.
 DULCINDO
410Oh.
 REMIGIO
           Uh.
 DULCINDO
                     M’onori.
 REMIGIO
                                       (Oimè!)
 DULCINDO
                                                         Meco si mostri
 In questo sol gentile.
 REMIGIO
 La vada.
 DULCINDO
                   Salga.
 REMIGIO
                                 Ora mi vien la bile.
 
    Per levar le cirimonie
 Venga qua, facciam così:
415Questo è i mezzo: Eccoci qui
 Dividianci a un tempo istesso.
 Le son servo, andiamo. Appresso
 La mi vien? corpo di nulla
 Già si scalda, già mi frulla
420I me capo, la m’à morto,
 La m’à fradicio, non più.
    Bene stiamoci: è un furfante
 Chi si move, tenga i posto,
 Stia pur sodo, stia pur tosto,
425La si chini un po’ più giù.
 
 SCENA VIII
 
 DULCINDO poi LAVINIA.
 
 DULCINDO
 Pur la vins’io. Restar qui volli ad arte,
 Per attender se mai
 Si facesse al balcon la mia diletta,
 E in quel volto gentil, che i cuori alletta,
430I famelici rai
 Fisar una sol fiata,
 Per bearli così. Chi sarà mai
 Quel fellon, che à svelato
 Il mio bambino amore
435Al di lei Genitore!
 Se ’l sapessi vorrei
 Ma qual ventura è questa!
 Che vedete occhi miei;
 Ecco il sol, che già spunta, ad adorarlo
440Corri Dulcindo, oh mia (Ma con chi parlo!
 Non è quest’il mio sol.) Scusi Signora
 Il contumace ardire.
 LAVINIA
 (Chi sarà questo pazzo!)
 DULCINDO
                                               Il mio desire
 M’ingannò: Vuol punirmi?
445Ecco il ferro, ecco il seno,
 Mi passi il cor.
 LAVINIA
                              (Vuo’ seco divertirmi.)
 Signore? io son sorpresa
 Dalla sua cortesia. Di quale offesa
 Mi dimanda il castigo?
 DULCINDO
                                             Le dirò:
450D’averla con soverchia confidenza
 Nomata mia, e le veloci piante,
 Avanzate con impeto amoroso
 Presso all’altar del suo Divin sembiante.
 LAVINIA
 Intendo, intendo: Ella mi prese in cambio
455Della sua Cicisbea.
 DULCINDO
                                     D’una vuol dire
 Delle molte, che ambiscono il favore
 Della mia grazia
 LAVINIA
                                 (Oh stravagante umore!
 Ma s’appressa Fabrizio: A secondarlo
 M’accingo per sua pena.) Mi figuro,
460Che saran molte, al certo.
 DULCINDO
                                                 L’assicuro
 Signora, che non posso
 Resistere a gl’assalti, che mi danno
 Le più belle Signore del Paese,
 Ove capito: veda:
465In poco più d’un mese
 Io girai la Toscana, e in iscompiglio
 Tutta la posi: Giunsi
 Jeri l’altro in Pistoja, e son già presso
 Ad arruotar l’artiglio
470In più d’una colomba.
 
 SCENA IX
 
 FABRIZIO in disparte, e detti.
 
 LAVINIA
                                           Oh fortunata
 Colei, che d’un sì vago predatore
 Preda divien!
 FABRIZIO
                            (Che fai sentirmi Amore!)
 DULCINDO
 (È caduta ancor questa ah ah) Proviene
 Da una virtù attrattiva,
475Ereditaria nel mio sangue. Avea
 Lo stesso pregio il volto
 Della quondam Signora
 La Contessa mia madre, che sepolto
 Ne’ cadaveri ancora
480Spirava amor.
 FABRIZIO
                             (Pazzo è costui.)
 LAVINIA
                                                             Ne fanno
 Fede, pur troppo i sguardi suoi.
 FABRIZIO
                                                            (Che ascolto!)
 LAVINIA
 Ed io, misera, già ne sento il danno.
 DULCINDO
 (Lo dissi)
 FABRIZIO
                     (Ahi fiera pena!)
 LAVINIA
 (Smania il perfido, io godo.) Conte mio
485Dissimular non giova,
 Per te m’accendo anch’io.
 DULCINDO
                                                 Piano, Signora,
 Non tanta confidenza.
 LAVINIA
 Scusi la troppo ardenza
 D’un alma, che sospira,
490Tocca per lei da amor.
 FABRIZIO
                                           (Costei delira.)
 DULCINDO
 Signora mi dispiace,
 Ch’ella è giunta allo scorto;
 Son presi i posti. Il primo,
 Che vacherà, fia suo, non gli fo torto.
 FABRIZIO
495(E lo soffre! ahi viltà! con mio rossore
 L’ascolto, oh sesso, oh debolezza, oh amore!) (entra.)
 DULCINDO
 Fin d’adesso le imprimo,
 Con questo dolce sguardo,
 L’onorato carattere
500Di nostra Cicisbea;
 In qualità però
 Di sopranumeraria.
 LAVINIA
                                       Oh Dio! chi sa
 Quanto penar dovrò,
 Pria d’ottener mercede!
 DULCINDO
505Pazienza mia Signora
 Forse avverrà più presto, che non crede.
 
    Bisogna compatir,
 Tengo un sol core in sen:
 Egl’è ben grande; ma
510È ancora così pien,
 Che non vi può capir
 Un altro amore.
    Ma per farle veder,
 Ch’io la vuo’ consolar,
515Lo slargherò un tantio,
 Se ben m’ha da costar
 Pena, e dolore.
 
 SCENA X
 
 LAVINIA.
 
 LAVINIA
 Grazioso umor! Ei si lusinga, e gode
 Della lusinga sua. Giunse opportuno
520Alla vendetta mia.
 Con qual piacer per lui quel traditore
 Vidi smaniar d’affanno, e gelosia!
 
    Vidi con mio contento
 Quell’empio core ingrato,
525Cagion del mio tormento
 Languire, e sospirar.
    È ver, che l’alma mia
 Finge per altro ogetto;
 Ma fida al primo affetto
530Desio cangiar non sa.
 
 SCENA XI
 
 MEUCCIO da strada, poi REMIGIO, ed il BARONE da casa.
 
 MEUCCIO
 L’ò fatta la frittata: A i contrasegni,
 Che mi diè il mio Padrone,
 Quello, con cui parlai, era il marito
 Della sua cara. Che villan briccone!
535Mi facea lo stordito.
 Ma à da far con Meuccio,
 Gli renderò ben io pan per focaccia,
 Che non per niente ora ne vado in traccia
 Sento scender le scale. Alla veletta. (si ritira.)
 REMIGIO
540Vien qui, vien qui, bestiaccia maladetta,
 Vien, che ti roda i fistolo,
 I canchero ti mangi
 MEUCCIO
                                       (Oh bona.)
 REMIGIO
                                                              I Conte
 Fa all’amore con Pimpa? egl’à mandata
 Per i Lacchè poc’anzi un’ambasciata?
 BARONE
545Ah, ah.
 REMIGIO
                 Ve’ con che faccia!
 Or non andar in colera;
 Ma se non è possibile, ma canchitra,
 Ma non se ne puol più, diavolo, diavolo.
 MEUCCIO
 (Che spassetto!)
 BARONE
                                 Gno’ Pà?...
 REMIGIO
                                                       Taci.
 MEUCCIO
                                                                   (Ora è tempo
550Di rimediar da bravo.) (si pone in mezzo.) miei Padroni,
 Mi saprebbon dar nuova
 Dal Conte di Melato?
 BARONE
 Cammaratone mio (l’abbraccia.) Lo Cielo è stato,
 Che t’à mannato cca (a Meuccio.) Mo’ siente. (a Remigio.)
 MEUCCIO
                                                                                    Lei
555Con chi parla! con me?
 BARONE
                                             Co ttico. Ussia
 M’ha scanosciuto già!
 MEUCCIO
 Ed a qual osteria
 Insieme abbiam mangiato?
 BARONE
 (Oh chisso è n’ato deaschence.)
 REMIGIO
                                                           Fanciullo?
560È pazzo i poverino,
 Lasciatel dire. I Conte se n’è andato.
 MEUCCIO
 Mille grazie. (in atto di partire.)
 BARONE
                           Addo vaje? non te partire.
 MEUCCIO
 Si vorrà divertire
 Un po’ meco. Signor lo lasci fare.
 BARONE
565Dimme na cosa: Tu non si’ sagliuto
 Lloco ncoppa mo’ nnante?
 MEUCCIO
                                                  Io!
 BARONE
                                                          Sì Signore.
 MEUCCIO
 Mi scusi, Padron mio, che à fatto errore.
 Questa è la prima volta,
 Ch’io venni qui.
 BARONE
                                 (Mannaggia!) E nn’aje portata
 MEUCCIO
570Che cosa?
 BARONE
                      Na mmasciata,
 Nnomme de lo sio Conte a la mogliere,
 Non sa, de lo villano?
 MEUCCIO
                                         Io, Io!
 BARONE
                                                       Tu, sì.
 MEUCCIO
 Mi meraviglio bene
 De’ fatti suoi, m’à preso per Ruffiano?
575Averta, come parla,
 O gli faccio provar questo bastone.
 REMIGIO
 Adagio me Padrone.
 Porti rispetto a me.
 MEUCCIO
                                      Ma qui si tratta
 Di stima, Signor mio.
 REMIGIO
                                          Ma s’egli è pazzo.
580Tu che ci fai?
 MEUCCIO
                            S’è pazzo,
 Lo mandi a i mattarelli
 REMIGIO
 Va, va pe fatti tuoi.
 BARONE
 Vi’ che facce de cuorno.
 MEUCCIO
                                             Ohe? parla bene
 O ch’io ti rompo il grugno.
 BARONE
                                                   A chi?
 MEUCCIO
                                                                 A te.
 BARONE
585Viene, viene
 MEUCCIO
                          Cospetto d’un Giudio!
 Non mi tenete.
 REMIGIO
                               Bambolone mio
 Va, va.
 BARONE
                Lassalo,
 REMIGIO
                                 Zitto,
 Ti venga i morbo.
 BARONE
                                   E bide,
 Si te lo smerzo, comm’a manechitto.
 
590Ah si mme niene mmano.
 
 MEUCCIO
 
 Si scanzi mio Padrone.
 
 BARONE
 
 Non me tenere cano.
 
 REMIGIO
 
 Adagio co i bastone.
 
 BARONE
 
 Lassame.
 
 REMIGIO
 
                     Taci.
 
 BARONE
 
                                 Ciento
595Ne voglio, comm’a tte.
 
 MEUCCIO
 
 Zitto, hai da far con me.
 
 REMIGIO
 
 Io non mi reggo in piè.
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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