Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 L'Alidoro, Napoli, Nicola di Biase, 1740
 a cura di Carmen Blasi
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 Atto Primo
 
 Scena Prima
 
 FAUSTINA, poco dopo LUIGI, che ascolta non veduto.
 
 FAUSTINA
 Le mie voci accogliete, o colli, o prati:
 Ascoltate, vi prego, i miei lamenti
 Or che a voi narro i miei martir spietati.
 LUIGI
 
    Ma i colli, e i prati
5Sordi saranno,
 Né ascolteranno;
 Voi spargerete
 All’aure, a i venti
 Voci, e lamenti;
10E resterete
 Bella, e delusa,
 Trista, e confusa
 Credete a me.
 
 FAUSTINA
 Sicché Luigi...
 LUIGI
                             Ascanio, per servirla.
 FAUSTINA
15A i soliti tuoi scherzi.
 LUIGI
                                         Ma ricordavi,
 Che ’l nome di Luigi in quel d’Ascanio
 In Genova cangiai, e cangiai anche
 La mia condizion, quando a servigj
 Di colui, che condurvi
20In Napoli dovea, e ch’or degnissimo
 Vostro sposo esser dee, mi accomodai.
 FAUSTINA
 Sì ben me ne ricordo.
 LUIGI
                                          E ’l tutto io feci
 Per seguir voi, non conosciuto, in Napoli,
 Ove foste chiamata
25Dal Padre dello Sposo, o sia Germano
 Del vostro morto Padrigno.
 FAUSTINA
                                                    Or quai cose
 A narrar tu mi stai?
 LUIGI
                                       Come? Io vi narro
 La dolorosa istoria...
 FAUSTINA
                                        Tu in somma,
 Ancorché in mezzo a’ guai,
30D’umor non cangi mai! Sempre festante,
 Sempre lieto
 LUIGI
                           Ma veda, o mia Signora...
 FAUSTINA
 E pur? Luigi...
 LUIGI
                              E vuol Faustina, ch’io
 Tragga mestizia da’ spietati colpi
 Della mia fiera sorte?
35Or questo no: mi affretterei la morte.
 FAUSTINA
 Dunque, al tuo dir, non debbo io sentir pena,
 Accorarmi non debbo or, che mi veggo
 Destinata in isposa ad uom sì fatto
 Com’è Marcello? ad uom così stravolto,
40Così mal costumato?
 LUIGI
 Ah meschinetta! Il caso è assai spietato.
 FAUSTINA
 O Dio! tu mi dileggi.
 LUIGI
 O Dio! tu mi fai ridere.
 FAUSTINA
 Di più?
 LUIGI
                  Ed è credibile,
45Che tu possi a Marcello esser mai sposa?
 FAUSTINA
 Come a dir?
 LUIGI
                          Chi mai vide
 Nozze più sconcertate?
 Marcello tu non ami,
 Te non ama Marcello;
50Tu sei presa di me, Ei sì invischiato
 Di questa Ostessa è nell’amor, che cieco
 Fa le pazzie per lei;
 Dunque...
 FAUSTINA
                      Ma sai, che ’l Padre
 Cerca a tutto poter piegare il Figlio
55Ad obedirlo, e ad accettarmi?
 LUIGI
                                                        E sai,
 Ch’anche a tutto potere il Figlio cerca
 Non obedire al Padre, e rifiutarti?
 FAUSTINA
 Sì bene...
 LUIGI
                     E, quando poi
 Altro manchi, saprò coll’opra mia
60Renderlo ostinatissimo: gli sono
 Sempre a’ fianchi per ciò...
 FAUSTINA
                                                    Luigi, viene
 Elisa qui: mutiam discorso.
 
 SCENA II
 
 ELISA, e i suddetti.
 
 LUIGI
                                                     Eh via
 Stia pur lieta, Signora;
 Siamo in Poggioreale, e a divertirsi
65Qui venne al fin.
 ELISA
                                  Sorella (che ben tale
 Posso chiamarti, se qual propria figlia
 Il mio Padre t’amò) cagion d’affanno
 Non v’ha pur chi non abbia. (Ah se sapessi (fra sé.)
 Quanta ne ho io!) Ma è d’uopo,
70Qualor tempo è di spasso,
 Ogni affanno sbandir.
 LUIGI
                                           Così mi pare,
 Che la Signora Elisa
 L’intenda ben.
 ELISA
                              Ma, Ascanio mio...
 LUIGI
                                                                  Con voi
 Son conforme io d’umore.
 ELISA
75(Ah ti vorrei conforme anche di core,
 E di condizion.)
 FAUSTINA
                                Cerch’io tal volta
 Far forza in cerca guisa all’alma afflitta,
 Ma è vana ogni opra: ella è talmente oppressa,
 Che ogni sollievo esclude.
 ELISA
                                                 Eh cesseranno
80Cotante angustie; a segno al fin Marcello
 Si porrà.
 LUIGI
                    Suol col tempo accomodarsi
 Ogni cosa.
 ELISA
                      Or sediam su questi poggi,
 E del piacer godiamo,
 Che ne dà questa vaga, amena vista. (siede.)
 FAUSTINA
85Mi siedo, come vuoi. (siede.)
 ELISA
 Ascanio, accanto a noi. (Cieli in qual punto
 Vidi costui, che m’ha l’alma sconvolta!)
 LUIGI
 Guardate: viene l’Ostessa
 Col Mugnajo trescando a questa volta.
 
 SCENA III
 
 MEO, che vien sonando il colascione, con esso ZEZA, e i suddetti.
 
 MEO
 
90   Dapò ch’ammore mpietto mm’ha feruto
 E mm’ha sto core conzomato, e arzo
 Mme tenemente, e rride lo cornuto;
 E sse sta co na tubba, e cco no sfarzo.
    Io so’ ffatto cchiù scuro de paputo,
95E ssempe stongo de salute scarzo;
 E, ppe n’avere a cchi cercare ajuto,
 Strillo com’a na gatta quann’è Marzo.
    E cquann’è Marzo, e mmare:
 E bieneme tu, Nenna, a conzolare.
 
 ZEZA
 
100   A cconzolare, e sole:
 Ca non è mmorta chi bene te vole.
 
 LUIGI
 Ne piace, bravo, bravo.
 MEO
                                             Oh tu si’ ccane?
 Ched’è, staje sulo? E chella fina pezza
 De lo Segnore? Lo si Don Marciello?
 LUIGI
105Sarà qui intorno.
 MEO
                                  Tu stive aspettanno
 A cchesta cca pe qua’ mmasciata, creo.
 ZEZA
 (Comme sta sospettuso nzanetate!)
 LUIGI
 Sei curioso, sai?
 MEO
                                 So’ coreuso?
 LUIGI
 E ridere mi fai.
 MEO
                                Te faccio ridere?
110E ba joquanno va. Via, ammarcia dinto (a Zeza.)
 A la Taverna tu.
 ZEZA
                                Perché ssa cosa?
 Che lloteno mo’ è cchisso?
 LUIGI
                                                  Io sto servendo
 Le mie Signore qui, non già per quello,
 Che pensi.
 MEO
                       E buono. Schiavo a llor Segnore. (a Faustina e ad Elisa.)
 FAUSTINA
115Addio, Meo.
 ZEZA
                          Bemmenute,
 Segnore meje.
 ELISA
                              O Zeza, addio.
 ZEZA
                                                          Che? state
 A ppeglià area?
 MEO
                                Perché non trasite
 Dinto, ca ve spassate a gghì vedenno
 Llà chell’antechetà.
 FAUSTINA
                                      Già le vedemmo
120Altre volte.
 ZEZA
                       Uh so’ state tanta vote
 Cca ste Segnore.
 MEO
                                 Già lo ssaccio. E buje
 Ve ntertenite a lo molino mio:
 Puro è bello a bedè.
 ELISA
                                       Sì sì, più tardi
 Verremo a darti incomodo.
 MEO
                                                    Abborlate!
125Mm’è faore. E bolimmo
 Fa quatto maccarune priesto priesto
 Ncoppa a no tavolillo.
 ZEZA
                                          Oh che sciasciucco
 Che ssi’! Che baje decenno?
 MEO
                                                      Ah si bergiovene. (accorgendosi di Luigi, il quale si è fatto vicino a Zeza, mentre Meo ha ragionato con Faustina, e con Elisa.)
 Signore.
 LUIGI
                   Dici a me?
 MEO
                                         Sì; rente a cchessa
130Tu che nce faje?
 LUIGI
                                 Io sto...
 MEO
                                                 Sì te lo ddico,
 Ca è mmoscia la fico.
 LUIGI
                                         Ma tu, parmi...
 MEO
 Che te voglio parè?
 ZEZA
                                      Via Meo...
 MEO
                                                           Via cuorno:
 Parlanno co ccreanza de la facce
 De ste Segnure.
 FAUSTINA
                                (Egli sospetta molto
135Per cagion di Marcello.) (ad Elisa.)
 ELISA
                                               Ma ti dissi,
 Ascanio, che tu stassi accanto a noi.
 MEO
 E cchillo ha mpigno de sta rente a cchella;
 Vuje che bolite?
 LUIGI
                                 Bene, (si fa vicino a Faustina, e ad Elisa.)
 Mi starò qui.
 MEO
                           E ttu t’aje puosto ncapo
140De fareme magnà propeo la mappa!
 ZEZA
 E ttu t’aje puosto ncapo
 De farme stare ncontinolo moto!
 E ssempe, arrasso sia,
 Co sto sospetto, e cco sta gelosia!
 MEO
145Eh mmalora... Segno’, vuje ve ne jate
 A Napole sta sera?
 FAUSTINA
                                     Senza dubio.
 ELISA
                                                               Venute
 Siamo qui per quest’oggi.
 MEO
                                                  E be’ ne suppreco,
 Portateve co buje Don Marciello,
 E sto sio Cammariero. Ssi mercante,
150Sti juorne, che so’ state a sto casino,
 M’hanno puosto a procinto de scasareme
 Pe l’ammore de chesta... Che, che nfruceche (Luigi parla segreto con Elisa, e Faustina.)
 Tu mo’ a ste Segnure? Isso, isso
 Lo sbia a cchillo Giovene; isso nfetta
155A cchesta co mmasciate, e mmasciatelle.
 Ze’, parla tune.
 ZEZA
                               Chiste so’ ttaluorne,
 E ste Segnore propeo so’ benute
 Cca, pe ssentì taluorne. Secotammo
 A ccantà, e a rrevertirece, e ffacimmo
160Revertì a lloro puro.
 MEO
                                       Aggio auto ncapo,
 Che ccantà.
 ELISA
                        Sì sì, Meo:
 L’avremo a grado.
 ZEZA
                                    Via n’esse cozzale:
 Sona tu, ca cant’io. Chella canzona,
 Che ddice: La Campagna mo’ ch’è bella.
 MEO
165Che ffreoma che nce vo’! Segno’, scosateme:
 Perché lo sacco è cchino,
 E all’utemo lo nzerro lo molino. (e si mette a sonare.)
 ZEZA
 
    La Campagna mo’ ch’è bella,
 Vienetenne, o Rennenella,
170Si lo nido te vuoje fa.
 
 ZEZA - MEO
 
 E ttitiritì tiritommola.
 
 ZEZA
 
    Mo’ ch’è bella la Campagna,
 A ttrovare la Compagna,
 Palommiello, puoje volà.
 
 ZEZA - MEO
 
175E ttitiritì tiritommola.
 
 ZEZA
 
    E buje autre nnammorate;
 Ch’abbrosciate co lo core:
 Mo’ l’ammore è bello a ffa.
 
 ZEZA - MEO
 
 E ttitiritì tiritommola.
 
 SCENA IV
 
 DON MARCIELLO, ch’è stato ad ascoltare, e detti.
 
 DON MARCIELLO
 
180   E ssì è bello a ffa l’ammore,
 Mo’ l’ammore io voglio fa. (e si pone in mezzo a Zeza ed a Meo.)
 E ttitiritì... (Meo lascia di sonare.)
 
 Non suone?
 So’.
 ZEZA
           Lo si Don Marciello nce mancava,
185P’essere tutte.
 MEO
                             E mmo’, che ssimmo tutte,
 Mo’ bonanotte a tutte.
 DON MARCIELLO
                                           Comm’a ddicere?
 ZEZA
 (A benì a ttiempo!)
 MEO
                                       A josa, cuoglietella,
 Feglio’.
 ZEZA
                 (S’avesse rotta la nocella.) (s’avvia.)
 DON MARCIELLO
 E mme a cche sserve? Addonca
190Tu non vuoje cchiù cantà?
 ZEZA
                                                  Aggio cantato. (entra.)
 DON MARCIELLO
 Né ttu vuoje sonà cchiù?
 MEO
                                               Aggio sonato. (entra.)
 LUIGI
 (Ed ei freddo è restato!)
 DON MARCIELLO
 Ma chisso è ncuntro a mme; e io so’ ommo
 De screstà... Ascanio, afferra chillo là...
195No, acchiappa chesta cca...
 LUIGI
                                                  Via, via, Signore,
 Quetatevi.
 DON MARCIELLO
                       (A sta cancara (segretamente a Luigi.)
 Tu ll’aje parlato, o no?)
 LUIGI
                                             (Non ho potuto
 In niun conto: v’era Meo.
 DON MARCIELLO
                                                 (Io a Meo
 Lo scancareo.)
 ELISA
                             Dovresti vergognarti,
200Marcello, omai: il passatempo altrui
 Disturbar non conviene.
 FAUSTINA
                                               Eh che vergogna
 Ei non conosce; ed io starei per dire...
 Ma sia meglio per me di qui partire. (via.)
 DON MARCIELLO
 Buon veaggio.
 ELISA
                             Non sempre
205Egli è un tempo, o Marcello;
 Cangia costume omai, cangia cervello.
 DON MARCIELLO
 E n’auto buon veaggio. (Pe non dicere
 Jatevenne a mmalora.)
 ELISA
 Ascanio, vien con noi.
 LUIGI
                                          Vengo, Signora. (via.)
 
 SCENA V
 
 DON MARCIELLO.
 
 DON MARCIELLO
210Vi’ che bonno da me ste ddoje Maddamme!
 Veda osseria che lloteno!
 A mmorì justo justo Zi Lammierto,
 Pe lassare ssa figlia, e ssa fegliasta.
 Eh, s’io sapea, ca Patremo avea ncapo
215De dareme Fraostina pe mogliere,
 Va, ca mo’ jeva a Genova a ppegliarele,
 Ddo isso me mannaje. Ver’è, ca Ziemo
 Perché volea gran bene a ssa Fegliasta,
 Ll’avea lassata commeta,
220E non sarria pe mme tristo neozio;
 Ma nuje comme facimmo, ca lo ggenio
 No sta llà, ma sta cca? (addita l’osteria.) Sta Tavernara
 Mme fa propio morì. Mme sape a mmale,
 Ca no mme pò bedere: e puro io pozzo
225Farele motà stato; e ppo speresce,
 Pe cchì? Mmalosca! Pe no molenaro,
 Pe no mpiso. Ma che? N’è maraviglia:
 La donna al fin sempre al piggior s’appiglia.
 
 SCENA VI
 
 GIANGRAZIO, ch’è stato ad ascoltare, e ’l sudetto.
 
 GIANGRAZIO
 N’è maraviglia certo pe na donna,
230Se lo si Don Marciello,
 Ch’è omo, e galantomo,
 Figlio de galantomo
 Comme so’ io, che galantomo ancora
 Aggio avuto il mio Patre, e galantomo
235Il mio vavo, il bisavo, e tutta quanta
 L’antica strippa: lo si Don Marciello
 Dico, comme a no lazzaro,
 No mascalzone, s’è appigliato al pessimo.
 DON MARCIELLO
 Gno’, te nne si’ benuto ammolatissimo.
 GIANGRAZIO
240Non ti piace sentire le ccalenne.
 Tu non la vuoi finire
 Con questa Tavernara?
 DON MARCIELLO
                                             Che ffenire?
 Io n’aggio accommenzato.
 GIANGRAZIO
 Mo’ nnanze, qua ch’è stato?
 DON MARCIELLO
245Ch’è stato?
 GIANGRAZIO
                        M’hanno ditto
 Già il tutto le figliole.
 DON MARCIELLO
                                         Le figliole
 So’ doie bosciarde.
 GIANGRAZIO
                                     Si’ un busciardo tune,
 Che non ne dici nulla pe deritto.
 DON MARCIELLO
 E qua boscia aggio ditto:
250Se sa? Oie Gno’, co mmico ll’aie pegliata
 Tropp’auta a ccuollo? Benaggia pescraie,
 E pescrigno, e prescruotto.
 GIANGRAZIO
                                                   Ma che lazzaro!
 Che avesse na sghizzella di civile.
 Né meno a lo parlà.
 DON MARCIELLO
                                      Vide che storia!
 GIANGRAZIO
255Puro ha l’esempio mio, che mi studejo
 De parlà polituccio.
 DON MARCIELLO
                                      Vi’ che lloteno!
 GIANGRAZIO
 Addonca a che servie, ca pe ndrizzarelo
 A la via del civile
 Nci spesi il bello, e il buono?
 DON MARCIELLO
                                                      Vi’ che bernia!
 GIANGRAZIO
260Speso a Masti di ballo,
 Speso a Masti di musica,
 Speso a Masti di lingua, speso a cento
 Mastri, e Mastricchi. Ahù denari perzi.
 DON MARCIELLO
 Comme denari perze? Che ffuorz’io
265D’abballo no nne saccio? Vuoie vedere
 Na crapeola? Te: no pirolè? (fa il tutto sconciamente.)
 GIANGRAZIO
 Ahù denari perzi!
 DON MARCIELLO
                                    Nquanto a museca,
 No nte puoie lamentà: saccio sonare
 A maraveglia la chitarra a ppenna.
270Ti to, ti to...
 GIANGRAZIO
                        Ahù denari perzi!
 DON MARCIELLO
 A la lengua franzese pigliaie papara,
 E cca aie raggione; perrò puro a mmente
 N’aggio paricchie cose.
 Votre valè Monsù,
275Comman vu porte vù,
 For bien pur vu servir... quanto mme vasta.
 GIANGRAZIO
 Ahù denari perzi!
 DON MARCIELLO
 Perrò non puoie negare, ch’a la scherma
 Nce so’ resciuto fino.
 GIANGRAZIO
280Pe gghì meglio facenno il malantrino.
 Quello, ch’io non voleva.
 DON MARCIELLO
                                               Io mme la vedo
 Co cchi vuoie co la bianca.
 GIANGRAZIO
 Ora venimo al quatino. Tu a Napoli
 Stasera venarrai nziemo co noi.
 DON MARCIELLO
285Stasera no; mme stongo
 N’autre quinnece juorne.
 GIANGRAZIO
                                                 Ne? Ti tira
 Sta Taverna di qua?
 DON MARCIELLO
                                        Eh quacche bota
 Mme nce la sciacquo na meza.
 GIANGRAZIO
                                                         Che porco!
 DON MARCIELLO
 E, quanno accorre, co sti Padulane
290Mme la joco a la mmorra, che ssacc’io?
 A le ppalle; ca che?
 GIANGRAZIO
                                      Che porcaglione!
 Che belle cose fa il Sior Don Marciello!
 Non vide, ca lo Donno
 Te piange in collo.
 DON MARCIELLO
                                    E cchi lo vo’ sso donno?
295La ggente mme lo danno, io mme lo piglio.
 GIANGRAZIO
 Tornamo a noi. Pe la Taverna io ntenno
 La Tavernara.
 DON MARCIELLO
                             Zeza?
 GIANGRAZIO
                                          Zeza.
 DON MARCIELLO
                                                      Canchero!
 È na bella fegliola.
 GIANGRAZIO
 Perzò ti tira.
 DON MARCIELLO
                          E a cchi non terarria?
300Si vuie a pede fermo nce parlate,
 Gno’, ve tira a buie puro.
 GIANGRAZIO
                                                S’io ncrinassi
 Al basso, come tu.
 DON MARCIELLO
                                    Oh vaie trovanno
 Vascio, e auto co ammore.
 GIANGRAZIO
                                                  Ora son chiacchiare
 Queste lloco: stasera andiamo a Napoli,
305E poi dimano uldimaremo il tutto
 Ncirca il tuo matrimonio co Fraustina.
 DON MARCIELLO
 Fraostina? Non parlà de ssi neozie.
 GIANGRAZIO
 E cchi te vuoi piglià? la Tavernara?
 DON MARCIELLO
 Una, che mme va a ggenio.
 GIANGRAZIO
                                                    Ha da annare
310A genio a me.
 DON MARCIELLO
                            Lo figlio
 S’ha nzorare, e a ggenio de lo Patre
 Ha da esse la sposa?
 Ah Gnore, e addo’ s’è bista maie sta cosa?
 
    Si ncapo aie sso frato,
315La sgarre, si affè.
 Mme voglio nzorare
 Co cchi pare a mme.
 Si no, te lo ddico
 Cantanno, e ssonanno:
320Lo scioglio io sto ntrico:
 Mme vao a ffa sordato.
 Te lasso, te chianto;
 E a Lucca mme te parze de vedere.
    Mme mporta a mme tanto,
325Ch’è para, o ch’è spara,
 Ch’è ricca, o pezzente,
 Cevile, o vellana?
 Lo punto sa addo’ sta?
 A lo ppiacere.
 
 SCENA VII
 
 GIANGRAZIO.
 
 GIANGRAZIO
330Io nci averrò, che sta co sto birbante,
 Pe ffarlo scrapiccià del suo crapiccio.
 Ora veda osseria, ddo’ mi sonnava
 De crescermi no figlio
 Così malincrinato! Eh la fortura
335Mme volette fa perdere
 Quell’altro mio figliolo! Quillo, quillo,
 Si be’ era peccirillo, dimostrava
 A la frisonomia,
 Ch’aveva da riuscire un buon rampollo;
340No un mpiso, com’a quisto, un rompicollo.
 
 SCENA VIII
 
 MEO, e ’l sudetto.
 
 MEO
 Fegliu’, né nch’è scomputa ssa partita (parlando dentro la scena.)
 De grano de Cetà, auzate mano:
 E mmettite lo ggrano
 De lo si Fonzo. Oh si Giangrazio.
 GIANGRAZIO
                                                             Schiavo.
 MEO
345Nzomma lo figlio vuosto...
 GIANGRAZIO
                                                  Saccio, saccio
 Quanto vuoi di’.
 MEO
                                 Mo’ nnanze ll’aggio avuto
 Da fa no ncuntro.
 GIANGRAZIO
                                   Il saccio.
 MEO
                                                     Già se nn’era
 Venuto tinco tinco a rremescarese
 Co Zeza.
 GIANGRAZIO
                   Tu l’avive
350Da sfracassare ncapo il calascione.
 MEO
 Eh segno’, cierte bote abbesognante
 Lo cano respettà pe lo patrone.
 Mme pische? Io mo’ respetto a llor segnure.
 GIANGRAZIO
 E io te n’averrei ringraziato,
355Se l’avisse fiaccato.
 MEO
 Perrò no juorno, si non leva mano
 Co Zeza, nce soccede
 N’accedetorio.
 GIANGRAZIO
                             (Birbo!)
 MEO
                                               Isso se fida,
 Ca è ttuosto co la spata;
360Ma no mm’agliotte a mme, ca io so’ niespolo;
 E lo maglio ferrato
 Sa comme l’arvoleo? Le do a lo suonno:
 Bello vi’.
 GIANGRAZIO
                   Figlio indegno!
 Veda osseria a che impegno che si mette
365Pe una Tavernara!
 MEO
                                     Compiatiteme,
 Mo’ nce vo’, s’io mo’ parlo
 De ssa conformetà. Chello, ch’io passo
 Co Zeza, isso lo ssa; che pesta vole
 Da chella? Dice, fosse para soia,
370Pare, ca te.
 GIANGRAZIO
                       Ca questo è il vermicello,
 Che mi rosica il core. Ma sta baja
 Fuorz’io la levarrò; sta sera a Napole
 Nne lo porto con me.
 MEO
                                         Facite buono,
 Perrò sentite: lo veaggio è a ccurto,
375Pò tornà; chi lo tene? Ca l’ammico
 Nce sta ncanato.
 GIANGRAZIO
                                 Or’io vorrei sapere
 Se Zeza le dà niente accasione?
 MEO
 Comme mo’ accaseone?
 GIANGRAZIO
                                              Voglio dire,
 Le corresponne a niente.
 MEO
                                                Essa mme dice,
380Ca no, che saccio po?
 GIANGRAZIO
                                         Senti qua, Meo:
 L’omo è omo.
 MEO
                            Ente cosa.
 GIANGRAZIO
 E la femina è femina.
 MEO
 E no nce se pò di’ manco no callo.
 GIANGRAZIO
 E diaschinci fallo,
385Che bedennosi n’omo
 Da na femina in tutto ributtato,
 Voglia tanto incoccià.
 Pò esse puro, ma...
 MEO
                                     (Vi’, che bespone
 Mme mette chisto ncapo.)
 GIANGRAZIO
390Comme dice?
 MEO
                             Dico... che boglio dicere?
 Ogne ccosa pò essere.
 GIANGRAZIO
 E cchi sa?
 MEO
                      (Benaggioie!)
 GIANGRAZIO
                                                  Bisognarebbe
 Scanagliare un po’ Zeza.
 MEO
                                               E cchi nce dorme?
 Io n’aggio autro neozio.
 GIANGRAZIO
                                             Ed io puro
395Voglio fa quarche prattica; e, ssi tale
 Cosa è mai, s’arrimedia.
 MEO
                                               E, ssi maie
 Tale cos’è, maressa che n’cè schiusa.
 GIANGRAZIO
 Io dico, ca non è; ma senti: è femina
 Come dissi; ha potuto fa penziero
400Mutà stato co figliemo;
 Ondecché facilmente...
 MEO
                                            Si Giangrazio,
 Tu no nte ll’aje joquato lo cerviello.
 GIANGRAZIO
 Bisogna penzà a ttutto, Meo mio bello.
 
    Questa cosa va accossì:
405Visto hai maie na ciucciarella
 Da na vespa mozzicata;
 Comme zompa, e comme sauta,
 Vota, gira, cauci tira,
 Ti stordisce co arraglià?
410Così è na femminella,
 Se la luna l’è afferrata
 De volersi mette in su.
    Io so vecchio più di te:
 Saccio il monno mo’ comm’è.
415Mozzicata ciucciarella
 Femminella stralunata,
 Non c’è quasi differenzia;
 Poco meno, o poco più.
 
 SCENA IX
 
 ZEZA discorrendo tra sé, e MEO, che sta pensoso.
 
 ZEZA
 Comme restaie chiaruto Don Marciello!
420Ma nce voze, che bo’? Lo facce tuosto
 Già mmiezo s’era puosto!
 MEO
                                                 No, sto viecchio
 Dà a lo chiuovo; e cco Zeza non va netta;
 Sarria stracquato Don Marciello, s’essa
 Nne l’avesse vottato veramente.
 ZEZA
425A ddicere, ca propio sta ostenato!
 E io pe mme non saccio
 Cchiù che ffa, pe llevarmelo da tuorno!
 MEO
 No, nc’è qua ffilo d’erva; io vao penzanno
 Mo’ a le ccose passate: a mme m’è parzo,
430Che Zeza quacche bota...
 ZEZA
                                               Ched’ha Meo?,
 Che parla sulo?
 MEO
                               Sine, e ajermatino
 Pe cchiù curto, no cierto sgregnolillo...
 Chillo se mese a rridere... Mmalora!
 Cca nc’è mbruoglio... Oh cca staje. (colerico.)
 ZEZA
435Cca stongo; e ttu che d’aje?
 MEO
 Niente.
 ZEZA
                 No, comme niente?
 Tu no staje tutto.
 MEO
                                  Oh lassam’ì.
 ZEZA
                                                           No, parla.
 Passasse quacche guajo co lo Molino?
 MEO
 Mannaggia ll’ora, che n’è nabbessato.
 ZEZA
440Arrasso sia! E non vuoje di’, ch’è stato?
 MEO
 È stata la mmalora, che mme torca,
 E scontorca a mme sulo.
 ZEZA
 Ah mara mene! Tu mme faje percotere!
 Avisse avuto niente
445Co Don Marciello?
 MEO
                                     Sto sio Don Marciello
 Troppo te stace mmocca!
 ZEZA
                                                Che bo’ dicere
 Mo ssa cosa?
 MEO
                           Vo’ dì, ca sso sfelenza
 Avarrà da ngrassare
 Quacche chiuppo de chisse.
450Che d’è? Nn’aje despiacenza? ca te vedo,
 Ca cagne de colore.
 ZEZA
                                      E cche nne voglio
 Avè gusto? Mme spiaciarria securo
 De te vedere a tte precepetato.
 MEO
 O de vedere a cchillo ammasonato?
 ZEZA
455Ll’uno, e ll’autro.
 MEO
                                  Vi’ si è comme dich’io.
 ZEZA
 E comme dice tu? Che ssongo torca.
 O che, ch’aggia d’avere sfazeone
 De vedè n’acceseone?
 MEO
                                          E non vuoje dicere,
 Ca tu te staje teranno a ccoppe. e a mmazze.
 ZEZA
460Ah Meo, Me’, tu che parlà mme faje?
 MEO
 Ah Zeza, Ze’, te cride
 Ca io non saccio?
 ZEZA
                                  Saje? Che ccosa saje?
 MEO
 Ca non vedo, non sento?
 ZEZA
                                               Uh annegrecata
 Scura me! Tu che ssiente, tu che bide?
 MEO
465Eh mmalora quernuta!
 ZEZA
                                             Parla, Meo.
 MEO
 Oh Ze’, vattenne, ca, si parlo, è ppeo.
 ZEZA
 Che ppeo, che mmeglio? Parla, ch’io non aggio
 Nesciuna macchia, e ssaccio
 Lo core schetto mio, saccio quant’aggio
470Fatto p’ammore tujo. Siente, io non dico
 Pe te la venne cara,
 Né pe bantarme: tutto
 Pocereale mm’è benuto appriesso;
 E io, mo’ nce vo’, pe tte non aggio dato
475Audienzea a nnullo.
 MEO
                                       Ma sarranno state
 Tutt’uommene ordenaree
 Comme songh’io; no nt’è benuto appriesso
 Maje no Segnore comm’a Don Marciello.
 ZEZA
 E Ssegnure, Segnure... Ora su, Meo,
480Nuje nce sapimmo; e cquanno qua’ storzillo
 Te vene ncapo, saccio nzi’ addo’ arrive.
 Nnevina mone che ssuonno, che ombra
 Te va pe lo cerviello, e a lo ssoleto
 Cirche darme cottura; ma te parlo
485Chiaro: a sso muodo non facimmo bene;
 Tu da vero vuoje fareme
 Jetteca addeventare,
 E io sta vita no la pozzo fare.
 
    Soperchia mo’ è la collera,
490Che mme vuoje dare tu;
 Lo bedo, ca vuoje fareme
 Cadè malata già.
 E cchesso a Zeza toja?
 Ca si’ no turco cano,
495Mo’ lo ccannosco vi’.
    Accideme, e ffeniscela,
 E scumpe tanta storie.
 O aje gusto de vedereme
 Morire chiano chiano
500Pe ffarme chiù stentà?
 Va va, facce de boja,
 Va, ca sarrà accossì.
 
 SCENA X
 
 MEO.
 
 MEO
 Io so’ mbrogliato! Ahù che chiena d’acqua
 Che mmena lo canale
505De li penziere mieje! E co cche furia
 Vota la rota de sto cellevriello!
 Non saccio a cche penzà, si a cchesto, o a cchello.
 
    Chiano, Meo, no nte nfoscà,
 Ca sto cunto lo puoje fa.
510Tu già saje, ca sta guagliona
 Sempe è stata fedelona.
 Signorsì, no nc’è che ddi’.
 E be’ mo’ che baje trovanno?
 Ma pò esse... Che bo’ essere?
515Perché chella... Chella che?
 Pare a mme... Che bo’ parè?
 Sì bonora... No mmalora.
 Uh mme so’ già nzallanuto;
 Quanto cchiù nce vao penzanno,
520Cchiù mme mbroglio, e nfosco cchiù.
    Viene cca parlammo a nnuje...
 Che parlà, che nuje, che buje,
 Io so’ muorto, so’ speduto,
 Atterrateme via su.
 
 SCENA XI
 
 LUIGI, ed ELISA.
 
 LUIGI
525Signora, io ben conosco, che vuol meco
 Divertirsi burlandomi; mi burli,
 Come l’è a grado; io godo esser cagione
 Del suo divertimento.
 ELISA
 Ah non ti burlo, Ascanio; e tu anzi sei,
530Credilo pur, cagion del mio tormento.
 LUIGI
 O Dio! che vuol, ch’io creda?
 ELISA
                                                      Io finor tacqui,
 Come ti dissi; e dentro il seno ascosa
 Mi consumò la fiamma;
 Ma oimè! più non potendo
535L’interno ardor soffrire,
 Fui costretta a spiegarti il mio desire.
 LUIGI
 Dunque un uom di sì bassa
 Condizion qual io, potè svegliare
 Amoroso desir nel cor d’Elisa,
540E tal, che la costringe
 A consumarsi, a struggersi?
 Eh Signora, mi burla.
 ELISA
 Ahi Ascanio mi uccidi; ed io non merto
 Tal fierezza da te; pensa, che degna
545Di pietà sono; e, se pietà non hai
 Tu di me, uom non già, mostro sarai.
 LUIGI
 Vuol, che la dica pur? Sa così bene
 L’ideate sue pene
 Dipinger vive, e vere; che se accorto
550Non fuss’io, come sono,
 Dovrei darle credenza.
 ELISA
 Dunque tu stimi...
 LUIGI
                                     Eh ch’io non so ingannarmi;
 So misurar me stesso, e non son uso
 A prender di me boria, e lusingarmi.
 ELISA
555Orsù, Ascanio dicesti
 Finor, ch’io vo’ burlati; ed io conosco
 Or con qual arte burlar tu mi vuoi.
 LUIGI
 Io, Signora...
 ELISA
                           No, sappi,
 Ch’io t’amo, e che non burlo, e che non fingo;
560Corrispondenza bramo: a ciò sol pensa,
 E ad altro affatto non badare.
 LUIGI
                                                        Elisa...
 ELISA
 Ascanio, gli amor miei ti fei palesi,
 Pensa quanto ciò importi, e quanto pesi.
 
    Risolviti ad amarmi,
565Pensa non disprezzarmi;
 Veder se non mi vuoi
 Di sdegno tale armata,
 Che de’ disprezzi tuoi
 Vendetta far saprà.
570   So, che mi intenderai,
 Che più non scherzerai.
 Non mi veder cangiata:
 Che diverrà il mio amore
 Rigore, e crudeltà.
 
 SCENA XII
 
 FAUSTINA, e LUIGI, che sta pensoso.
 
 FAUSTINA
575Luigi, eri poc’anzi
 Con Elisa in discorsi: or ella parte,
 Tu pensoso rimani;
 Che fu?
 LUIGI
                  Non è ancor sazio il destin rio;
 Nuovi intrighi prepara,
580Nuovi travagli, e nuove angustie.
 FAUSTINA
                                                              O Dio
 Che sarà? Mi si stringe il cor nel petto.
 LUIGI
 Avvilirmi egli pensa, ond’io mi dia
 In preda de’ martirj,
 E sia schiavo di pianti, e di sospiri;
585Ma no, per suo dispetto
 Stile io non cangerò. Su allegramente;
 Pensiamo a divertirne.
 FAUSTINA
                                             A divertirne?
 E ragionar ti sento
 D’intrighi, di travagli,
590D’angustie, di martirj,
 Di sospiri, di pianti? Oimè! Luigi,
 Fammi il tutto palese, se non vuoi
 Vedermi morta.
 LUIGI
                                 Adagio col morire;
 Troppo facil tu muori.
 FAUSTINA
                                           E troppo a stento
595Or tu mi tieni, e vuoi
 Goder per quel, che veggio, al mio tormento.
 LUIGI
 Orsù il tutto dirò; però non voglio,
 Che ti disturbi.
 FAUSTINA
                               Parla,
 Luigi, per pietà.
 LUIGI
                                 Sappi, ch’Elisa
600Invaghita è di me.
 FAUSTINA
                                     Che ascolto!
 LUIGI
                                                             M’ama,
 E riamata esser vuole; e, se ’l mio core
 Io non volgo al suo amore, Ella è in impegno
 Di volger contro me tutto il suo sdegno.
 Questo appunto ora qui... Ma disturbata
605Tu già sei! Ah Faustina...
 FAUSTINA
                                                Ah! Questo è un colpo,
 E fiero, e inaspettato. Oh in qual tumulto
 Or sono i miei pensieri! O quanto intoppo
 Ciò ne dovrà recare!
 LUIGI
                                        Ah questo appunto
 Poc’anzi io riflettea; ma facciam core,
610E ciò ne sia motivo
 Di passatempo.
 FAUSTINA
                                Passatempo? Eh c’hai
 Tu bel dire! Io presente ho innanzi agli occhi
 Un abisso d’angosce, oimè! ch’io sono
 Di perderti in periglio.
 LUIGI
                                             Eh metti in calma
615Tuo cor; servirà a noi l’amor d’Elisa
 Di spasso, di piacere, e di diletto;
 Né tu mi perderai: io tel prometto.
 
    Luci belle, nell’amarvi
 Sempre fido voi mi avrete;
620Soffrirò ben le più dure
 Rie sventure;
 Ma languir mai mi vedrete,
 Non saprò mai sospirar.
    Ch’io non vo’, che la mia stella,
625Per me barbara, e rubella,
 Rider possa al mio penar.
 
 SCENA XIII
 
 FAUSTINA.
 
 FAUSTINA
 Cieli, donde più pace
 Io spero all’alma mia? Chi sa che puote
 Oprar l’amor d’Elisa,
630Che puote oprar suo sdegno? Ah! l’uno, e l’altro,
 O sdegno, o amore, è contra me rivolto;
 Dovrà Luigi abbandonarmi al fine,
 Restar dovrò, a mio danno,
 Preda di lungo, e dispettoso affanno.
 
635   Sei troppo sventurato,
 Mio tormentato core!
 Scacciata dal timore
 Già ti lascio la spene.
 Chi tempra or le tue pene,
640Chi consolar ti sa?
    Ah che il destin tiranno
 Trionferà di me,
 Se i Cieli a me saranno
 Avari di pietà.
 
 SCENA XIV
 
 ZEZA dall’osteria con in mano un canestro con insalata.
 
 ZEZA
645Quanto mme la sentette
 Co Meo mo’ nnanze! Ch’ommo a lo sproposeto!
 Eh io le voglio bene
 De vero core, ca si no... (siede avanti all’osteria.) Ma a ttutto
 Nce corpa chillo mpiso
650De Don Marciello. Vi’ che bo’ da mene?
 
 SCENA XV
 
 GIANGRAZIO, e la già detta.
 
 GIANGRAZIO
 Veccoti qua la sduogna
 Del mio figliolo. Vi’ che moccosella
 Ha da fa sbotà a n’omo le ccervella!
 Ma procoramo di scavar quarcosa.
655Addio, Signora Zeza.
 ZEZA
 Oh schiava vosta, si Giangrazio mio.
 GIANGRAZIO
 Ti spassi a fa inzalata.
 ZEZA
                                           Gnoressine,
 Nc’è nn’è abbesuogno; mo’ che sso’ sti tiempe
 Cca nc’è concurzo.
 GIANGRAZIO
                                    Nc’è na seggia? Voglio
660Sta qua no poco.
 ZEZA
                                 Mo’. Cicco na seggia. (Vien portata una sedia dall’Osteria.)
 E cch’anure so’ chisse? quanno maje!
 GIANGRAZIO
 Lo porta il tempo.
 ZEZA
                                    Sedite.
 GIANGRAZIO
                                                    Obbricato.
 ZEZA
 Ora vi’! ciento vote site stato
 Vuje cca a Pocereale, e appena v’aggio
665Potuto di’ sfojenno
 No bonnì, no bommespere;
 E mmo’... Uh si Giangrazio caro, caro.
 GIANGRAZIO
 (La figliola è cassese accomme vedo.)
 E così?
 ZEZA
                 E accossì?
 GIANGRAZIO
                                      Fa il fatto tuo. (essendosi voltata Zeza ad ascoltarlo.)
 ZEZA
670Le Ssegnore...
 GIANGRAZIO
                             Si vanno divertenno
 Per lloco attorno.
 ZEZA
                                  Ve ne jate a Napole
 Stasera.
 GIANGRAZIO
                  Certo.
 ZEZA
                                E sse nne vene puro
 Don Marciello?
 GIANGRAZIO
                               Certissimo, Che? ll’hai
 A disgusto?
 ZEZA
                         A disgusto? Si sapissevo,
675Che conzolazeone, che mme date
 Mo’ co ssa nova; non per nulla cosa,
 Pare, che sto cojeta. Vuje mo’ state
 Ntiso de tutto già. Lo figlio vuosto,
 Propio vi’... si sapissevo... fa cose
680Co mmico, mo’ nce vo’, s’io fosse n’autra...
 GIANGRAZIO
 Che ffa, che ffa?
 ZEZA
                                 Chi lo ppò di’? Ve vasta
 Sapere nzomma, ca mme martorea.
 GIANGRAZIO
 Ti martorea? Ma tune,
 Vi’, di’ la verità, nce hai qualche sfizio
685D’esse martoreata.
 ZEZA
                                     A mme? Che sfizio
 Nce voglio avè? Aje trovata.
 GIANGRAZIO
                                                     E sine.
 ZEZA
                                                                    E none.
 GIANGRAZIO
 Eh eh (L’è azzeccosella, e no mi spiace
 De nce chiacchiareà.)
 ZEZA
                                          Comme decite?
 GIANGRAZIO
 Dico, ca tu non cirche
690Dal canto tuo...
 ZEZA
                              Ah mara me! io non saccio
 Cchiù che ffa! Lo ngiureo, lo maletratto.
 GIANGRAZIO
 Ma co dorcezza. Senti vi’, io canosco
 Ca tu sei mariola.
 (Che bell’occhi che ttiene!)
 ZEZA
                                                    Eh ghiatevenne,
695Che mme decite! Io so bona figliola. (scherzosamente.)
 GIANGRAZIO
 Eh Zeza, Zeza... (Oimmè mi sento il sangue
 Non saccio comme; fosse
 Questa pe mme mmalora? Ora arrassamoce.)
 ZEZA
 Vuje perché v’arrassate?
 
 SCENA XVI
 
 DON MARCIELLO, e i suddetti.
 
 DON MARCIELLO
                                                No, no stateve
700Vecino, descorrite:
 Ch’accossì vedarrite si è lo vero
 Chello, che v’aggio ditto.
 GIANGRAZIO
 Va va, birbante: tu sarrai la causa
 Del precipizio mio, figlio mmarditto.
 DON MARCIELLO
705Che d’è? Già ve l’ha fatta?
 GIANGRAZIO
                                                  Va a la forca.
 DON MARCIELLO
 Ma pe coreosetà.
 GIANGRAZIO
                                  Vuoi, che ti schiaffi
 Questo bastone in testa?
 ZEZA
 E bia, sio Don Marcie’, che ghioja è cchesta?
 DON MARCIELLO
 Comme dice, bellezza?
 ZEZA
                                            Dovarrisse
710Pegliaretenne scuorno a ddà venino
 A no povero Patre.
 DON MARCIELLO
                                     S’abbelena
 Isso, ca io...
 GIANGRAZIO
                        Tu m’abbeleni, e ntossichi
 Per questa qua (Uh quanto più la sguardo
 Più mi sento infocà.)
 ZEZA
                                         Vuje che bolite
715Da me?
 DON MARCIELLO
                  La grazia toja.
 ZEZA
                                              Che grazia? Io songo
 N’affritta Tavernara: uscia è segnore,
 Va te trova la grazia
 De na Segnora para toja.
 DON MARCIELLO
                                                E uscia
 È la Segnora mia.
 ZEZA
                                   E decedotto!
 GIANGRAZIO
720(O sfortunato me! Io già so’ cotto!).
 
 SCENA XVII
 
 MEO, e gli anzidetti.
 
 MEO
 Che d’è la cosa lloco? co ssalute, (vedendo Zeza con Don Marciello.)
 Sia Zeza: me n’allegro. (Sio Giangrazio,
 Che nc’è? aje scopierto niente?)
 GIANGRAZIO
                                                             (Uh guai guai!)
 MEO
 (Nce annevenaste addonca?)
 GIANGRAZIO
725(Ah tu non sai.) (fra sé.)
 MEO
 E ppo dice ca chiove ne? Bellissemo;
 Fa fa lo fatto tujo. Voglio esse mpiso.
 ZEZA
 Vi’ che sceruppo agg’io d’avè. (a Don Marciello.)
 DON MARCIELLO
                                                         Ma tune...
 ZEZA
 E battenne da cca, che ffuss’acciso.
 DON MARCIELLO
730(E ppe no schefenzuso io ste ghiastemme
 Dinto a la facce mm’aggio da sentire?) (da sé.)
 GIANGRAZIO
 (Qual pesta mi nci fece qua venire?) (da sé.)
 
 Io venetti per la decima,
 E li sacchi nci lasciò.
735O che mbroglie!
 
 ZEZA
 
                                 Ma sto loteno
 Dovarria scompire mo’.
 Mo è soperchio!
 
 MEO
 
                                S’ha da dicere,
 Ch’a sto muodo repassato
 Da na femmena tu si’?
740Benagg’oje!
 
 DON MARCIELLO
 
                         Vi’ a cche ttermene
 Co sta perra io so’ arrevato!
 O fortuna, e buo’ accossi?
 
 A QUATTRO
 
 Chesta è ccosa da crepà.
 
 GIANGRAZIO
 
 Siente a mme, figlio briccone: (a Don Marciello.)
745Non mi dai tu guai a ttomola?
 Ma te voglio casticà. (via.)
 
 DON MARCIELLO
 
 Siente a mme, brutto levrone: (a Meo.)
 Tu co mme non vuoje competere?
 Ma io t’aggio d’agghiustà. (via.)
 
 MEO
 
750Siente a mme, mpesa mmardetta: (a Zeza.)
 Tu co mmico non si’ fauza?
 Che mmennetta agg’io da fa! (via.)
 
 ZEZA
 
 Ora vide, che desdetta
 Mm’è afferrata arasso sia!
755Mme vorria tutta sceppà. (entra nell’Osteria.)
 
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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