Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 L'Alidoro, Napoli, Nicola di Biase, 1740
 a cura di Carmen Blasi
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 ELISA, e FAUSTINA.
 
 ELISA
 Conosce Ascanio dunque
1505Esser de’ suoi disagi
 Cagion la mia vendetta?
 FAUSTINA
 Sì che ’l conosce ben; ma di qual fallo
 Egli appò te sia reo,
 Dissemi non veder.
 ELISA
                                       Malvagio! Ed ebbe
1510Cuor di dirlo?
 FAUSTINA
                             Ma sia possibil pure,
 Che del tuo sdegno la cagion palese
 Far a me tu non vuoi?
 Possibil, che non vuoi di me fidarti?
 ELISA
 Ah Faustina
 FAUSTINA
                          Tu sai,
1515Che reciproco sempre
 Fu il nostro amor; ne amammo
 E più che da sorelle: ond’è, che parte
 Ho io ne’ casi tuoi, o buoni, o rei.
 Dunque
 ELISA
                   Son disperati i mali miei,
1520Che occorre mai
 FAUSTINA
                                 Per ogni
 Mal v’è il rimedio, e trovasi talvolta
 Ove si pensa men.
 ELISA
                                     Lassa!
 FAUSTINA
                                                   Giovarti
 Forse poss’io benché nol speri affatto.
 Via su, Elisa
 ELISA
                          Faustina,
1525Prometti segretezza?
 FAUSTINA
 Segretezza prometto.
 ELISA
 E aita ancor, se puoi?
 FAUSTINA
 E aita ancor, se posso.
 ELISA
                                           Ed io del tutto
 Intesa ti farò. Sappi, che amore
1530(Il dico con rossore, e con dispetto)
 Per Ascanio mi accese.
 FAUSTINA
                                            Oh che mi narri!
 ELISA
 Scoprj mia fiamma a lui, sicura quasi
 Di sua corrispondenza; e pure, o Dio!
 Si crederebbe? Il ritrovai restio.
 FAUSTINA
1535Maraviglia mi reca!
 ELISA
                                       Un tal rifiuto
 Ad onta io presi; e per far mia vendetta,
 Al Zio dissi di lui cose non vere.
 FAUSTINA
 Che gli dicesti?
 ELISA
                               Ch’egli ardito avea
 Chiedere amor da me.
 FAUSTINA
                                            Quindi mi penso,
1540Che ’l Zio contro di lui svegliossi a sdegno.
 ELISA
 Appunto, e discacciollo
 Di nostra casa, io pure
 Mi compiacqui di ciò: lontano almeno
 Dagli occhi miei, l’avrò lontan dal core.
 FAUSTINA
1545Ed in somma divenne odio l’amore.
 Or che posso io far mai?
 ELISA
 Mi dicesti, che Ascanio
 Raccomandossi a te, perché placata
 Tu me rendessi; il mezzo di placarmi
1550Sol è questo: si pieghi egli ad amarmi;
 A lui tu ciò dir puoi, essagerando
 Quanto pro ciò li sia.
 FAUSTINA
 Ma poi col Zio
 ELISA
                             Col Zio sarà mio peso
 Di riparar; non mancheranno modi.
 FAUSTINA
1555Or io vedrò adoprarmi.
 ELISA
                                             Ah sì ti adopra,
 Faustina, e quanto sai, e quanto puoi;
 Ah fa tu, che sollievo abbia il mio core,
 Se prova del tuo amore a me dar vuoi.
 
    Tra duri spasimi
1560Di duol spietato
 Languisco io misera
 Per un ingrato,
 Che troppo a torto sprezzar mi fa.
    Tu fa, ch’ei cangi voglia, e pensiero;
1565Con chi si strugge non sia sì fiero;
 O Dio! non usi tal crudeltà.
 
 SCENA II
 
 FAUSTINA, dopo LUIGI.
 
 FAUSTINA
 Quanto, o quanto s’inganna! Io sol per trarmi
 Di dubio intender volli
 Il vero di sua bocca,
1570Non già per dar rimedio a’ mali suoi.
 Folle troppo sarei
 LUIGI
                                   Faustina
 FAUSTINA
                                                      Ah caro
 Luigi, anima mia, scusa, ti prego,
 Se per cagion d’Elisa
 Io di te dubitai. Ah troppo a torto
1575Ne dubitai; conobbi
 Pur testé quanto tu fedel mi fosti,
 Quanto fedel mi sei,
 E l’essermi fedel quanto ti costi.
 LUIGI
 Non può, non puote il vero
1580Star lungamente ascoso. Al troppo amore
 Ch’hai per me, da cui nasce
 In te troppo timore, io pur condono
 Ogni mio torto. Ma testé qualcosa
 Avvenne mai, per cui tu or sì favelli?
 FAUSTINA
1585Elisa meco si fidò, mi disse
 E l’amor suo, e ’l suo rifiuto, e quanto
 Oprò col Zio per incitarlo a sdegno.
 LUIGI
 E che oprò mai? mi penso, che avverato
 Il mio sospetto sia:
1590Forse me del suo fallo avrà incolpato.
 FAUSTINA
 L’indovinasti appunto.
 LUIGI
                                            E poté farlo?
 E rimorso non ebbe?
 FAUSTINA
                                         Or a placarsi
 Ella già si dispone, e a far che ancora
 Si plachi il Zio con te; ma
 LUIGI
1595Ma che mai?
 FAUSTINA
                           Ad amarla dovrai
 Tu disponer tuo core; e in ciò debb’io
 Esser mezzana.
 LUIGI
                               Un più efficace mezzo
 Ritrovar non potea: per compiacerti
 Tutto io farò.
 FAUSTINA
                           Per compiacermi? o Dio!
1600Come? Tutto farai? Luigi ahi lassa!
 LUIGI.
 Non vuoi, che un poco io scherzi?
 FAUSTINA
                                                               E parti tempo
 Da scherzar?
 LUIGI
                           Sì che tempo
 Non v’ha miglior per me da divertirmi.
1605Tu ad Elisa dirai, ch’io l’amo, e ch’io
 Peno, e muojo per lei; giaché burlata
 Esser vuole, si burli.
 FAUSTINA
                                        Ah no, si pensi
 Ad altro
 LUIGI
                  Ma perché?
 FAUSTINA
                                          Talvolta al vero
 Dalle burle si passa.
 FAUSTINA
                                       E siam da capo
1610Col temer?
 FAUSTINA
                        Scusa, o caro,
 Né te ne offender no: io più confusa
 Son or di prima; ahi parmi ogni momento;
 Che son priva di te, che a me sei tolto;
 E provo quindi un barbaro tormento.
 
1615   L’amorosa Tortorella,
 S’avvien mai, che sorte ria
 Tolga a lei la sua compagna,
 Va raminga, afflitta, e mesta;
 La foresta, e la campagna
1620De’ suoi lai fa risonar.
    Ah non sia,
 Che a lei simile
 Renda me l’avara stella:
 Suo dolente amaro stile
1625Sarei stretta a seguitar.
 
 SCENA III
 
 LUIGI, dopo GIANGRAZIO.
 
 LUIGI
 Non dubitar, ben mio ma vien Giangrazio,
 Vo’ ritirarmi.
 GIANGRAZIO
                            Dice lo proverbio,
 Che ’l dimonio è sottile, e fila grosso.
 Così è: m’ave fatto.
1630Trovà dinto a no fosso.
 LUIGI
 (Tra sé discorre.)
 GIANGRAZIO
                                   Comme pozzo ascirene
 Mo io, se tengo mpietto
 Na carola, che sempre carolea?
 Non saccio penzà ad autro, che a Zeza?
1635Zeza mia, core mio, occhi sbrannenti,
 Vocchella dolce Ahù! ora bisogna
 Dà al tronco Che ccos’è? Tu che fai lloco? (si accorge di Luigi.)
 Ancora vai qua attorno ronneanno?
 LUIGI
 Sono qui per servirla.
 GIANGRAZIO
                                          Io vao penzanno (tra sé.)
1640Ch’a st’inflangente, ch’io mo’ passo, quisto
 Mme potarria servì; ma come faccio?
 Né l’ho cacciato.
 LUIGI
                                (Torna
 A discorrer tra sé.)
 GIANGRAZIO
                                     Ma mo’ lo piglio
 Con un partito sì: nné caccio quello,
1645Che ffa pe mme, e ppo ammarcia. Addove site?
 LUIGI
 Eccomi.
 GIANGRAZIO
                  E mme’? si spiace, fa filona,
 Non vorrisse lassare il bene amato.
 LUIGI
 (Pur troppo dici il ver.)
 GIANGRAZIO
                                             Ti compiatisco
 È brutta cosa l’esse nnammorato.
1650(E io lo sto provanno.)
 LUIGI
                                           Io non capisco
 Suo favellar, di qual amor mi parli
 Per me non so. (Fingiamo.)
 GIANGRAZIO
                                                     Non capisci,
 Non sai? Eh hai fortuna,
 Ca io so n’omo, che discorro, e penso,
1655Ca tutti simo fracili, e potimo
 Tutti fa no sproposito.
 LUIGI
                                           Anzi siamo
 Tutti soggetti all’imposture altrui;
 Però di mia innocenza
 Si chiarirà tra breve.
 GIANGRAZIO
                                         Ora bellissimo;
1660Io sospenno pe mmo’; però con patto
 Che tu hai da fa na cosa.
 LUIGI
                                               Bene: dite?
 GIANGRAZIO
 Io già stasera voglio, che Marciello
 Dia la mano a Fraostina.
 LUIGI
                                               Questa sera?
 GIANGRAZIO
 Signorsì, voglio astregnere; anzi a Napole
1665Me ne volea ì, ma ho mutato
 Penziero, e mi sto apposta.
 LUIGI
                                                   E ’l sa Faustina?
 GIANGRAZIO
 Me lo dirraggio; ma accioché l’imbroglio
 Di Marciello co Zeza non dia mpiedico:
 Perché è troppo mo’ quello, che fanno,
1670Tanto lui, quanto lei; aggio penzato,
 P’imbroglià questa voca
 Di fegnere co Zeza il Nammorato.
 Fegnere ve’.
 LUIGI
                          Sì bene.
 GIANGRAZIO
                                            Ora tu l’hai
 Da portà l’immasciata, e fa de muodo
1675Colla tua persuasiva
 Che chella a me s’attacchi; io così nfrisco
 La tenirrò
 LUIGI
                      E io debbo
 Dir a Zeza, che voi
 GIANGRAZIO
                                     Non lo può fare?
 L’hai fatto pe Marciello
 LUIGI
                                             Per Marcello?
1680Io?
 GIANGRAZIO
          Non negà
 LUIGI
                              Ma s’è un inganno
 GIANGRAZIO
                                                                  Dico:
 Lo buoi fa?
 LUIGI
                        Lo comanda, io servirolla.
 GIANGRAZIO
 Ma co afficacia ve’; fa comme io fossi
 Nammorato da vero; e dopo i lassa
 Fa a me: l’anfratti tuoi
1685Andaranno altrimente; non t’ho ditto,
 Ca io pe mmo’ sospendo?
 LUIGI
 Bene, da sua bontà tutto dipendo.
 GIANGRAZIO
 
    Io già so, tu mo’ chi si’:
 Sappi fa, e sappi di’;
1690Falle cento spressioni:
 Ch’io patesco, ch’io speresco,
 Ch’io languesco, ch’io nzecchesco;
 E nfra poco sarrò scorzo,
 Se soccorzo non mi dà.
1695Sappi di’, e sappi fa.
    Che si levi dal cervello
 Questo, e quello. Co mme schitto
 Pò ngarrarela a deritto:
 Io ho mobili, ed ho stabili;
1700Ho fiscali, e arrennamenti,
 Ori, e argenti in quantità,
 E da me donazioni
 Di quant’aggio essa avarrà.
 
 SCENA IV
 
 LUIGI.
 
 LUIGI
 Colui m’ha per melenso, e vuol, ch’io creda
1705A le sue fole; io penso ben, che ’l vecchio
 Rimbambito di Zeza è più, che cotto
 Or che fingere ei dice;
 Ma che? Saprò servirlo; e questa sera
 Ciò, ch’egli ha meditato,
1710Non seguirà. Ma, o Dio! Per quel, che disse
 Faustina a me poc’anzi, io già sperai,
 Ch’era in parte placato
 Di mia stella il rigor, ma fu la speme
 Tosto recisa in erba. Or veggio a prova,
1715Ch’è implacabil nemica; e mi combatte
 Sol per vedermi vinto.
 Ma che? Tu cederai?
 Ti vincerà? No, non sarà giammai.
 
    Quando de’ venti irati
1720All’impeto, al furore
 Il saldo monte cede,
 Quando crollar si vede:
 Il mio costante core
 Allor si abatterà.
1725   Quel cor, che ardito sempre
 Non sa cangiar mai tempre
 E a i colpi più spietati
 Vieppiù resisterà.
 
 SCENA V
 
 DON MARCIELLO, e MEO.
 
 DON MARCIELLO
 E lo bediste tu co ll’uocchie tuoje?
 MEO
1730Co ll’uocchie mieje, che nce vonno chiacchiare?
 DON MARCIELLO
 E sse mettette a cchiagnere?
 MEO
 E cco ttanto de lareme.
 DON MARCIELLO
 E le vasaje la mano?
 MEO
                                        E cco cche chelleta.
 DON MARCIELLO
 E lo Gnore
 MEO
                       E lo Gnore cerreava,
1735E sse ne jeva nchiochia.
 DON MARCIELLO
 Nce sta speruto ne?
 MEO
                                       Muorto de subbeto.
 DON MARCIELLO
 Veda Oscia! Po co mme sta a ffa lo proleco.
 MEO
 L’amico è Partetario,
 E Partetario viecchio.
 DON MARCIELLO
                                          Sa, che bila,
1740Che nce aggio, sa? Si no mme fosse patre
 MEO
 Fa comme non te fosse.
 DON MARCIELLO
 Oh sì!
 MEO
               E da me che buoje?
 (Fuss’acciso a tte e Pateto.)
 DON MARCIELLO
                                                    Ma chessa,
 Chessa cca
 MEO
                       Te la puoje sbottà co essa.
 DON MARCIELLO
1745Ma propeo nce vorria.
 MEO
                                           Falle na ntosa,
 Nnaccareala
 DON MARCIELLO
                          E cchesta manco è ccosa.
 MEO
 Manco è ccosa?
 DON MARCIELLO
                               Chi vole avè sto core?
 Perché no lo ffaje tu?
 DON MARCIELLO
 No nce aggio mpigno io cchiù: cuofeno saglie,
1750Cuofeno scinne.
 DON MARCIELLO
                                E io
 Le voglio bene ancora.
 MEO
                                           E mment’è cchesso,
 Magnate sso terreno co li diente,
 Chiava de facce nterra.
 DON MARCIELLO
                                             No, pe quatto
 Male parole nce le boglio dicere.
 MEO
1755Dimenne quattociento, e quattomilea;
 E mmo’ cavodo, cavodo.
 DON MARCIELLO
                                              La chiammo?
 MEO
 Chiammala, trase dinto, fa fracasso,
 Rumpele le tteane, le ccarrafe,
 Spila le butte
 DON MARCIELLO
                            Uh e cch’odio, che ttu nce aje!
1760Chesso mme fa canoscere,
 Ca tu speruto cchiù dde me nce staje.
 MEO
 Oh e ffa chello, ch’aje da fare mo’.
 (Quanto vo’ ì sapenno!) (e si ritira in disparte.)
 DON MARCIELLO
                                               Ah frabbutto, frabbutto!
 Vide, che rrobba mme vo’ ì vennenno!
1765Sia Ze’, sia Ze’
 
 SCENA VI
 
 ZEZA dall’osteria, e DON MARCIELLO, MEO, che non veduto sta ad osservare.
 
 ZEZA
                              Chi chiamma?
 DON MARCIELLO
                                                           So’ io appunto.
 ZEZA
 Trovate chiusa, e ppierdete st’accunto.
 Mme’? che ve manca?
 DON MARCIELLO
 Viene cca, provita (va per afferrar Zeza per la mano.)
 De Zeza: tu
 ZEZA
                        Fegliu’, fegliu’, no poco
1770Le mmano a tte, no poco de cionchia;
 Non tanta confedenzea.
 DON MARCIELLO
                                             Aje raggione:
 Io non songo lo Gnore.
 ZEZA
 Che Gnore, e Gnore? Mm’è sciuto lo Gnore?
 O te fusse attaccato a le pparole
1775De chillo frustatone
 De Meo?
 MEO
                    (Chesta va ascianno, ch’io le faccio
 La facce justo comme a no premmone.)
 DON MARCIELLO
 Cca no nc’è Meo, né Taddeo; lo Gnore
 L’ha fatta a Meo, e a mme: ca la sia Zeza
1780Cossì ha boluto; ma n’ha fatto buono;
 Mme faccio maraveglia
 ZEZA
                                             E mm’aje chiammata
 Pe cchesso apposta?
 DON MARCIELLO
                                       Apposta.
 ZEZA
                                                          Nquanto a Meo,
 Nce lo bedimmo nziemo; nquanto a ttene,
 Io no nce aggio, che spartere; e tte suonne,
1785E tt’aje sonnato, e staje pe te sonnare;
 Comme cchiù chiaro t’aggio da parlare?
 DON MARCIELLO
 Siente: non saje canoscere
 Lo bene tujo
 ZEZA
                          Che bene mio? Sso bene
 Io mme lo boglio sbattere; e tte ll’aggio
1790Ditto già, che ttu a mm emme lasse ire,
 Che cca n’accuoste cchiù.
 MEO
                                                (Io sto a sentire
 Quanno le dice le mmale parole.)
 DON MARCIELLO
 Siente: abbesogna, che ttu sia na pazza.
 ZEZA
 Si’ ttu no pazzo, no senza jodiceo,
1795Che baje tozzoleanno chelle porte,
 Che non te songo aperte; ma no juorno
 Te soccede qua’ gguajo.
 DON MARCIELLO
 Che gguajo mme vo’ soccedere!
 ZEZA
 Te piglio co no spito
1800De sta Taverna.
 DON MARCIELLO
                                Uh giù la mano.
 ZEZA
                                                               E ffuorze
 Si mo’ non te lo rumpe, mo’ lo bide.
 DON MARCIELLO
 E bedimmolo.
 ZEZA
                             E aspetta. (entra nell’osteria.)
 MEO
                                                  (Chesta pare,
 Che pparla d’autro muodo; no, gran cosa
 Nc’è co lo Viecchio.)
 DON MARCIELLO
                                       Io voglio
1805Sta a ttenimente s’ave tanto spireto. (Zeza esce dall’osteria con in mano uno spiedo, e ’l Mozzo dell’osteria la trattiene.)
 ZEZA
 Tu comme dice? Lete, Cicco, scostate.
 Ca le voglio dà propio into a la panza.
 MEO
 (Oh chesta è bona!)
 DON MARCIELLO
                                       Nzi’ a cca si’ arrevata?
 ZEZA
 Si tu mme vuoje fa essere
1810Propio malecreata.
 DON MARCIELLO
 E ttu
 ZEZA
             No nt’accostà.
 MEO
                                        (Mmalora strippalo.)
 DON MARCIELLO
 Siente aje raggione: Ammore
 M’ha legato lo core, ecco lo core
 M’ha legato le mmano; e ttu mo’ puoje;
1815Già cch’isso vo’ accossì, fa nzò che buoje.
 
    Via su spertosame,
 Eccome cca.
 Botta deritta, via vance mo’.
 E, ssi nce faje
1820No cartocciello,
 Na fenta scorza, sarraje cchiù bello.
 A tte: ah eh.
 Ched’è? te staje?
 Uh, che mannaggia chi accossì bo’!
1825   Che cosa rara!
 Zeza m’è ffatta n’accedetara.
 Ma sacce, ch’io tengo lo ggiaccio;
 Sso spito è ffiacco,
 Né accossì facele,
1830Spercià mme po’.
 
 SCENA VII
 
 ZEZA, e MEO.
 
 ZEZA
 Se l’ha rotta la spalla. Voglio credere,
 Ca mo’ non venarrà cchiù a ttormentareme.
 MEO
 Addonca nfra de lloro no nc’è cchello,
 Ch’io mme penzava; chesto, che mo’ ha fatto
1835Zeza, n’è stata cierto fenzeone.
 ZEZA
 Non se poteva cchiù! diceno pone:
 No galantommo s’ha da respettare;
 Perrò lo galantommo
 Puro a ssigno ha da stare,
 MEO
                                                 Ma lo Viecchio
1840No mme decie, ca chesta
 Con Don Marciello No: chillo frabbutto
 Pe quacche ffino sujo mme die a rrentennere
 De chesta tanta nzanzare; ma veccolo:
 De quaccosa mme pozzo mo’ assacredere. (e si ritira ad ascoltare in disparte.)
 
 SCENA VIII
 
 GIANGRAZIO, e i suddetti.
 
 GIANGRAZIO
1845Cos’è, sia Zeza? state armata?
 ZEZA
                                                         Stongo
 Pe ffa mennetta.
 GIANGRAZIO
                                 E contro a chi?
 ZEZA
                                                              Che ssaccio?
 Contra a ttutto lo Munno.
 GIANGRAZIO
 Arrasso sia!
 ZEZA
                         Sto spito n’autro ppoco
 Figlieto lo provava.
 GIANGRAZIO
1850L’avessi spertuggiato,
 Ch’appresso te n’avrebbe io regalato.
 Non vo finirla?
 ZEZA
                               Chillo mo’ accommenza.
 GIANGRAZIO
 La finirrà, e pe ttutta questa sera
 Basta. Dimmi na cosa: avessi visto
1855Il Cammariero mio.
 ZEZA
                                        Gnernò.
 GIANGRAZIO
                                                          (No è stata
 Parlata ancora.) Quello ha da venire
 Mo’ qua: io ll’aggio d’aspettare, e boglio
 Sedermi un pocorillo (va a sedersi avanti all’osteria.)
 ZEZA
                                          No, cor mio:
 Lo può ì ad aspettare a n’autro luoco:
1860Ca cca no nce staje buono. (e lo fa alzare.)
 GIANGRAZIO
 Abburli?
 ZEZA
                    Va ch’abburlo. Scosta, scosta. (lo caccia.)
 GIANGRAZIO
 Che bo’ di’ questo?
 ZEZA
                                      Vo’ di’, ca non voglio
 Sentì de fatte mieje
 Cchiù cchello, che non eje. Vanno decenno
1865Già, ca vuje site nnammorato mio,
 E ca io songo nnammorata vosta:
 Chi mo’ te vede cca assettato
 GIANGRAZIO
                                                       O bella!
 Dicano nzò che bonno; e cca mai fosse
 Sta cosa, che si dice?
 ZEZA
                                         Ma sta cosa
1870Maje non nc’è stata.
 GIANGRAZIO
                                       Bene; ma ca fosse?
 ZEZA
 Fosse, e non fosse; no nc’è stata, dico.
 GIANGRAZIO
 Benissimo; però
 ZEZA
                                 E gghiatevenne,
 Che mme jate vennenno?
 Aggio da sta a la vocca de le ggente
1875P’ammore vuosto? Vuje co cchi l’avite?
 Chi ve canosce? Arrasso, Sautanasso. (lo torna a cacciare.)
 Cca no sponta, e pe buje chius’è sto passo. (entra nell’osteria.)
 
 SCENA IX
 
 MEO, e GIANGRAZIO.
 
 MEO
 Chesta è cchiù ffresca! e mmanco trovo chello,
 Ch’io penzava de Zeza
1880Co sto pecuso.
 GIANGRAZIO
                             Nc’è malario a Baja
 Pe mme; questa no sta niente disposta.
 MEO
 Io ll’aggio fatta negra co ppegliare
 Tutte le ccose storte; ma nce corpa
 Chisto, che mme facie
1885Trasì nsospetto de Zeza. Mmalora!
 Le torciarria la noce de lo cuollo.
 GIANGRAZIO
 Venisse Ascanio almeno O attiempo. Ascanio
 Quanno venive?
 
 SCENA X
 
 LUIGI, e i suddetti.
 
 LUIGI
                                 Mi son trattenuto
 Per certo affar qui presso.
 GIANGRAZIO
                                                  E via va parla
1890A Zeza mo’; ma sbracciatence, sai?
 Perché nci trovarrai dura provincia.
 LUIGI
 Non dubitate. Io la farò piegare
 Al vostro amore.
 GIANGRAZIO
                                 E via datti da fare.
 Io mi arritiro qua. (e si nasconde.)
 MEO
                                      Bravo! Lo viecchio
1895Nce sta ncanato addonca; e la facenna
 La porta sto forfante; ma pe ssotta
 Tu nce aje da ire; aspettame no poco. (entra.)
 
 SCENA XI
 
 LUIGI.
 
 LUIGI
 Sta ben fresco Giangrazio, se in me pose
 Le sue speranze; usar ogni arte, ogni opra
1900Or io con Zeza vo’, perché sdegnosa
 Non sia più con Marcello, e al fin si renda
 Benigna, ed amorosa.
 Spiacemi, che Marcello
 Incontrar non potei, per farlo inteso
1905Di tutto ciò, che passa;
 Non importa però. Chi è qua?... Oh Zeza. (chiama dentro l’Osteria.)
 
 SCENA XII
 
 ZEZA dall’Osteria, MEO con maglio ferrato in mano, dopo GIANGRAZIO, dopo FAUSTINA, ed ELISA, e diverse genti, che accorrono al rumore.
 
 ZEZA
 Che buoje?
 LUIGI
                        Potrei parlarti?
 ZEZA
                                                      E che t’accorre?
 LUIGI
 Io debbo dirti
 MEO
                             Tu non vuoie fenirela
 Nzomma co cchesta de portà mmasciate?
 LUIGI
1910Io imbasciate?...
 MEO
                                 Propio vaie trovanno
 Ch’io te scamazzo la capo.
 LUIGI
                                                 Avvertisci
 Come tu parli, olà?
 ZEZA
                                      Vi’ mo’ che storia
 Sarrà chesta?
 MEO
                            Co ttico
 Voglio averti, panno de razza, birbo?
 LUIGI
1915Ah barone, a me birbo? (cava la spada.)
 ZEZA
                                               Ah janca mene!
 GIANGRAZIO
 Piano, piano, fermatevi
 MEO
                                              Arrassateve,
 Ca do a cchi coglio coglio.
 ZEZA
                                                Scumpela, Meo.
 LUIGI
 Passare il cor ti voglio. (qui vengono Faustina, ed Elisa, ed altre genti, che si pongono in mezzo, e chi trattien Meo, chi Luigi.)
 ZEZA
 
 Gente, gente, ajuto, ajuto.
 
 FAUSTINA
 
1920Me dolente!
 
 ELISA
 
                         Me meschina!
 
 ZEZA
 
                                                     Reparate sta roina.
 
 FAUSTINA - ELISA
 
 Piano, o Dio! cos’è? che fu?
 
 GIANGRAZIO
 
 S’accojeti. (a Meo.) Scumpe tu. (a Luigi.)
 
 MEO
 
 Lete, lete, scosta tu.
 
 LUIGI
 
 E lasciar non mi vuoi tu. (a due.)
 
 ZEZA
 
1925No nne sia via niente cchiù.
 
 SCENA XIII
 
 DON MARCIELLO, e i suddetti.
 
 DON MARCIELLO
 Ch’è sso revuoto? Non se mova nullo, (cava la spada.)
 Ca lo sbentro.
 MEO
                            Sto mpiso te tradesce.
 Iss’isso de lo Gnore (additando Luigi.)
 Fa le mmasciate a Zeza.
 DON MARCIELLO
                                              Ah tradetore!
 
1930Tu mme faje sto trajeniello:
 Mo’ te voglio castecà. (e va contro Luigi colla spada.)
 
 LUIGI
 
 Piano pian quest’è un inganno (e difendendosi si arretra seguitato da Don Marciello.)
 
 FAUSTINA - ELISA
 
 Ah Marcello per pietà.
 
 GIANGRAZIO
 
 Ora vi’ che autro danno!
1935Ah Marcello, piano là. (e va con Faustina, ed Elisa appresso a Don Marciello.)
 
 MEO
 
 Pe gghì bona, tutte duie
 S’avarriano da sbentrà.
 
 ZEZA
 
 Che scajenza chesta fuie?
 Io mme sento assempecà.
 
 SCENA XIV
 
 MEO, e ZEZA.
 
 ZEZA
1940Addo’ si’ ttu? Va pigliame (il Mozzo dell’Osteria entra, e poi esce con un bicchier d’acqua.)
 No surzo d’acqua dinto.
 MEO
                                              È gghiuta propeo
 Comme voleva ì; se scancareano
 Mo’ nfra lloco; e borria, che cchillo viecchio
 Nce jesse pe le ttorza cchiù dell’aute.
 ZEZA
1945Ah bene mio! Mannaggia chi nn’è ccausa
 De tutte ssi desastre.
 MEO
                                         Chi nn’è causa
 Io lo ssaccio.
 ZEZA
                          E ssecuro,
 Ca lo ssaie, si’ la causa si’ ttu schitto.
 MEO
 Eh Zeza
 ZEZA
                  Va, che ssinghe beneditto,
1950Lo Cielo t’ allecorda. Si mo’ chille
 S’accideno, va buono?
 MEO
                                           E no nse songo
 Sbentrate ancora? Manna’ chello ppoco.
 ZEZA
 Bella cosa!
 MEO
                       Ma si nce hanno frosciato.
 Don Marciello è benuto
1955A ttermene co tte, che ll’aie avuto
 De peglià co lo spito; io aggio visto
 Ogne ncosa; che ccride?
 ZEZA
                                              Avite visto?
 MEO
 E aggio visto puro
 Quanno da cca lo viecchio nn’aie cacciato.
 ZEZA
1960Avite visto puro?
 MEO
                                  Ma non saie,
 Ca lo guallecchia è ccuotto, e bo’ co ttico
 Fa lo nnammoratiello? Io co ste rrecchie
 Ll’aggio sentuto quanno
 S’è confarfato co lo Cammariero,
1965Azzò t’avesse fatta la mmasciata;
 E cchillo lesto, e prunto era venuto
 Già a ffaretella; ca pecché lo cancaro
 Mm’è afferrato a mme? Pe cchesso.
 ZEZA
                                                                   E ttune
 Non aie ditto nzi’ a mmo’, ca non volive
1970Saperne niente cchiù de fatte mieie?
 MEO
 Sì, ll’aggio ditto.
 ZEZA
                                 E mmo’ da do ss’ardenza
 Pe mme t’era venuta tutta nziemo?
 MEO
 Da chello, ch’aggio visto.
 ZEZA
                                               E cchesso stesso
 Io non te l’avea ditto?
 MEO
                                          Sì, ma tanno
1975Va mme pesca addo’ stea co lo cerviello;
 E nce corpaie lo viecchio; quanta cose,
 Che mme mettete ncapo! ma mo’ aggio
 Compriso lo ppecché.
 ZEZA
 E ttu credive a cchillo, e non a mme?
 MEO
1980Ma che buo’ fa
 ZEZA
                              Ora tu mo’ che buoie?
 MEO
 Comme che boglio?
 ZEZA
                                       Ammarcia.
 MEO
 O Ze’, agge pacienzea.
 ZEZA
                                           Che pacienzea?
 Non te canosco cchiù manco pe pprossemo.
 Ammarcia, passa, passa,
1985Usse llà!
 MEO
                   Tu mo’ faie pe mme la rennere,
 Già lo beo; ma po ncore...
 ZEZA
 Ncore che?
 MEO
                        È n’autra cosa.
 ZEZA
 Uh sto catarro tiene?
 Sa ddo’ te tengo a tte? justo a li bene.
 MEO
1990Mme ll’aie rennuta via; e aie raggione
 De dirme cchiù de chesso; mme lo mmereto:
 A dobbetà da te fuie no briccone;
 Ma perdoname: fuie lo ttroppo bene.
 ZEZA
 A pperdonà nne simmo?
1995E ssi be’ vuoie vasareme li piede,
 Manco io
 MEO
                    Te le baso si tu vuoie,
 Eccome cca
 ZEZA
                        Le’ levate,
 O te dongo no caucio a lo musso.
 MEO
 Dammilo, mme faie razea.
 ZEZA
                                                   E ba a la forca.
 MEO
2000O Ze’, via mo’.
 ZEZA
                              E ncoccia!
 MEO
                                                   O Zeza, Ze’:
 Ze’, Zeza mia: lo bene
 Lo bene è stato, sa?
 ZEZA
                                      Sì sì lo bene.
 MEO
 Lo bene affé. Via mo’ facimmo pace.
 ZEZA
 (O sto mpiso! )
 MEO
                               Arremollate,
2005Arremollate via.
 ZEZA
                                 (Mme nce carrea.)
 MEO
 Zeza, Zezolla mia, Zezolla amata.
 ZEZA
 Si’ Demmonio pe mme! So’ arremollata.
 MEO
 O bene mio!
 ZEZA
                          Mo’ zumpe; pe nsi’ a mmone
 Si mme n’aie fatto agliottere venino!
 MEO
2010Aje raggione; mme mereto
 Che ssacc’io mo’
 ZEZA
                                 Vattenne, malantrino.
 MEO
 
 Nuje sarrimmo comm’apprimmo,
 Care care, care care.
 
 ZEZA
 
 Comm’apprimmo nuie sarrimmo
2015Care care, care care.
 
 MEO
 
 Fata.
 
 ZEZA
 
             Fato.
 
 A DUE
 
                         Uh ch’aggio cca! (si toccano in petto.)
 
 ZEZA
 
 Già lo ffuoco n’auta vota
 Che te face mpietto a mmene!
 
 MEO
 
 Già ammore mpietto a mmene
2020Che te face n’autra vota!
 
 ZEZA
 
 Scioscia, scioscia, ventariello,
 Addefrescame no poco,
 E non farme cchiù abbruscià.
 
 MEO
 
 Ferma, ferma, Cecatiello;
2025Leva mano pe no poco,
 E non tanto pezzecà.
 
 ZEZA
 
 Quanta pene aggio io pe ttene
 Tu lo bide, o no lo bide?
 
 MEO
 
 Quanta guaie passà mme faie,
2030Tu lo ccride, o no lo ccride?
 
 ZEZA
 
 Sì lo ccredo.
 
 MEO
 
                         Sì lo bedo.
 
 A DUE
 
 Chesto fa lo troppo amà.
 
 SCENA XV
 
 GIANGRAZIO, LUIGI, FAUSTINA, ed ELISA.
 
 GIANGRAZIO
 Ora vi’ comme vanno
 Le ccose de lo Monno! cchi potea
2035Penzà mai, ch’io dovea trovà no figlio
 Chiagnuto già pe pperzo.
 LUIGI
                                                E pur il Cielo
 A voi mi avea serbato.
 FAUSTINA
 Volle il Cielo esser grato
 Più per me, che per altri.
 GIANGRAZIO
                                                E lo Segnore
2040Genovese t’asciaie
 Sperduto a la marina,
 Te nne zampoleaje,
 E tte portaie a Genova co isso?
 LUIGI
 Ei così mi diceva.
 GIANGRAZIO
                                   O figlio caro! (e l’abbraccia.)
 LUIGI
2045Padre mio dolce.
 ELISA
                                  A gran raggione amore
 Io sentiva per te.
 GIANGRAZIO
                                  N’era la causa
 La conzanguinità. Ma bell’intrico
 Ch’avive tu tramato
 Contr’a sso poverommo!
 
 SCENA XVI
 
 DON MARCIELLO, e i suddetti; dopo MEO, e ZEZA, ch’escono dall’Osteria, ed in disparte stanno ad ascoltare.
 
 DON MARCIELLO
2050E ancora è bivo
 Sso ciento facce? E n’è restato friddo
 Llà nterra? E tte (va per cavar la spada, e Giangrazio lo trattiene.)
 GIANGRAZIO
                                  Che fai, che fai? Va piano:
 Questo qua è tuo Fratello,
 L’altro mio figlio perzo,
2055Questo è Alidoro.
 DON MARCIELLO
                                   Comme?
 GIANGRAZIO
                                                      E ttu mo’ nnanze
 Mme ll’aie fatto canoscere,
 E tte nn’aggio gran obbrico.
 DON MARCIELLO
                                                     Io non saccio
 Vuie che ddecite
 GIANGRAZIO
                                  Simmo
 Jute a bedè cos’era la ferita
2060Che ll’hai fatta a lo braccio
 (Che n’è stata ferita, ma un rascagno)
 Ecco st’accaseone aggio osservato
 No nzegnale a le spalle, ch’isso tene,
 Che songo due scelluzze a color d’oro,
2065Pe la qual causa, comme sempe ho detto
 Mammita le mettie nomme Alidoro.
 Cossì l’ho conosciuto.
 DON MARCIELLO
                                         Frate mio,
 Scusame mo’ nce vo’.
 LUIGI
                                          Più del passato
 Non bisogna parlare.
 DON MARCIELLO
2070Dice buono; via lassate abbracciare.
 LUIGI
 O qual contento!
 DON MARCIELLO
                                 O Gno’, che Cammariero,
 Che ttenevano nuie!
 GIANGRAZIO
                                        Ma questa è stata
 Na finzione.
 DON MARCIELLO
                          E comme?
 LUIGI
                                                Io tal mi finsi,
 Per aver miglior agio
2075Di star presso a Faustina,
 Di cui viveva amante; né il mio nome
 Era già Ascanio: mi chiamò Luigi
 Quel Signor Genovese, che qual figlio
 E mi crebbe, e mi amò.
 DON MARCIELLO
                                              Ora vedite!
2080Orsù Gno’, mo’ potite
 Agghiustare ogne basa. Date a isso
 Fraostina.
 GIANGRAZIO
                      Nce l’ho data
 Senza la tua conzurta.
 DON MARCIELLO
                                          E io mo’ pozzo
 Vedè pe Zeza
 MEO
                            Si’ arrevato a ccurto:
2085Ca Zeza già è la mia.
 DON MARCIELLO
                                        La toja?
 ZEZA
                                                         Nce avimmo
 Data la fede, e ccraje già sposarrimmo.
 DON MARCIELLO
 Da vero?
 ZEZA
                    E mme’ che buoje?
 GIANGRAZIO
                                                         Oh s’è acquitato
 Già tutto il Monno. via da oggi avanti
 Tu cagnarrai costume, e un matrimonio
2090Farai da paro tuo; e porzì Lisa
 Volimmo collocare;
 E tutti quanti allegri vogliam stare.
 ZEZA
 
 Sì bene mio nce vo’
 No poco d’allegrezza.
 
 GIANGRAZIO - MEO - DON MARCIELLO
 
2095So’ state pe nzi’ a mmo’
 Troppo li lotene.
 
 FAUSTINA - ELISA - LUIGI
 
 Ma dopo l’amarezza
 Un bene, ch’è bramato;
 Par, che più dolce vien, che vien più grato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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