Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 Angelica ed Orlando, Napoli, a spese di Niccolò di Biase, 1735
 a cura di Giovanna Peduto
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ANGELICA ED ORLANDO
 
 
 Commedia per musica di Tertulliano Fonsaconico, da rappresentarsi nel Teatro de Fiorentini in questo Autunno del Corrente anno 1735.
 Consecrata all’Illustrissima, ed Eccellentissima Signora, la Signora D. Zenobia de Revertero, Duchessa di Castropignano.
 In Napoli MDCCXXXV. A spese di Niccolò di Biase, e dal medesimo si vendono sotto la Posta.
 
 
 Eccellentis. Signora.
 Ciocchè degli antichi Gentili (Signora Eccellentissima) la sciocchezza introdusse, alle sognate lor Deitadi le primizie de frutti, ed altri doni offerendo, onde tutelari alle loro intraprese assistessero; veggendosi, ma con più fermo, e fondato senno, ancor oggi, non sol per quanto all’infallibil verità del nostro Culto s’attiene; anche tra l’Uman Genere in lodevol costume passato; anco io, con lieto animo ad avvalermene m’appiglio. In consecrando a Voi dunque (Eccellentissima Signora) questo picciolo libretto, non men la necessità di venir protetto a vostri piedi, ed al Mondo paleso; che l’elezion d’una Protettrice, di cotanto autorevol pregio adorna, e fornita che può l’offerta, e l’offerente tenea da qualunque oltraggio lontani. È tale (Signora Eccellentissima) la vostra generosa gentilezza (preggio segnalatissimo della grandezza del vostro nobilissimo casato, di cui la fama per ogni penna largamente supplisce) che m’assicura, che d’assumerne l’impegno benignamente vi piaccia: mostrando ch’è propria delle grand’Alme la magnanimità, che tanto nel vostro bel Cuore, e con egual luce a quella, che l vostro degnissimo Sposo diffonde, risplender fastosamente si vede; poiché da lui a Voi, e da Voi a lui a vicenda tramandandosi un lucido misto delle più eroiche, e morali virtudi, fan, che ammiratore il Mondo ad union così bella, e lodi, ed applausi a piena bocca tributi. Perlocché ancor io (Eccellentissima Signora) la sicurezza ad acquistar vengo, che degno mi facciate di quella gloria, che può apportarmi il vanto di manifestarmi rispettosamente per sempre.
 Di V.E.
 Umiliss. Divotiss., ed Ossequiosiss. Ser.
 Gennaro Ferraro.
 
 Geronimo Dai duca
 All’amico, e cortese leggitore.
 Questa Commedia, o sia Opera Drammatica (come chiamar si voglia) che sotto l’occhio ti viene, par che necessità alcuna d’argomento essa non abbia: poiché coloro, che vaghi son della lettura, di dove il Soggetto l’origin tragga, ben’alla prima conoscer possono. Per quei però, che tal vaghezza non hanno, si dà per bastante il dire che la favola d’Angelica, Medoro, ed Orlando sia la stessa, che nel famoso Poema del fù non mai appieno encomiato, Messer Ludovico Ariosto si legge: sù la quale più valenti Uomini, e per la Scena, e per Serenate ha fatto, che la Musa esercitata si fosse: potendosi, il di più, che dir si potrebbe, da questo libretto largamente ricavarsi.
 Sarà bene ancora sapersi, che all’Autor di questo Drama il primo Atto d’una Commedia, che la mentovata favola contenea (fatto sì, come si disse, per pubblico Teatro da un giovin’incognito novizzo in quest’arte) portato gli venne: asserendosi, che dal giudizio di più persone intendenti per difettosissimo come nudo affatto de necessarj requisiti, riputava: né capace d’adattarvisi la musica dal Maestro di Cappella si conosceva. E chiedendosi insieme, che da esso accomodato fosse, ebbe egli la sicurezza di non incorrere nel delitto, che seco porta il porsi nella messe aliena la falce; poiché la libertà di ciò farsi n’era stata da chi scritto l’avea francamente conceduta: sentimento, che fè conoscer all’Autore, che scarso senno il giovin non avesse, rimettendosi a chi, almeno (come d’assai maggior’età) più pratico di lui esser potea: trattandosi, che la stretta necessità, e la strettezza del tempo altro espediente permetter non poteano. Pensò l’Autor suddetto, in assentendo all’inchieste, far’anche una delle Opere Spirituali della Misericordia, poiché avendo conosciuto ancor esso quanto a mancar gli veniva, non volle all’Incognito aggravio alcuno apportare; ma la stessa traccia da lui intrapresa seguendo, d’altri bracchi, d’altri ordigni, e d’altre vie valendosi, cioè cambiando Sceneggiature, Arie, e Recitativi, non sol della stessa idea (che nuova non era) si valse, ma pure di qualche buon verso dell’Incognito servissi. Imperocchè, avendo egli fatta sua la preda, un fermo pensier nutria di lasciarne allo stesso Incognito l’onore, in premio del prudente consenso ch’egli dato n’avea.
 Il secondo Atto poi (dove la maggiore importanza si restringe: non essendo di molta levatura il primo, che una mera introduzion rappresenta) convenne all’Autor suddetto tutto di pianta comporlo, per arricchirlo d’Episodi, e d’accidenti, de quali affatto era spogliato; e si contentò valersi ancora d’una Scena ridicola, con la stessa invenzion del Incognito (cosa che si era già in iscena veduta) avendola d’altra forma, e con altre parole sceneggiata.
 E quando il Terzo Atto con impazienza s’aspettava, non sol comparir mai non si vide, ma con ammirazion s’intese, che l’Incognito, non sol dell’accaduto col suo consenso risentito fortemente si fosse; ma, che a Superiori fatto il ricordo n’avesse: cosa, che avendosi per un tratto di molta leggerezza, fè caderlo dal buon concetto, in cui l’Autor mentovato accolto l’avea: quando esser deve ben noto tra letterati qual differenza vi sia dal verseggiatore al Poeta, e spezialmente nella Profession Comica, che non a tutti così facile riesce: ben sappiendoli, che la comica sceneggiatura, la proprietà, la natural verisimilitudine, l’osservanza del costume, l’ordin continuato, la lepida vivezza delle parti ridicole, e la spiegazion di tutto ciò, che all’Assunto si attiene, sian l’anima della Commedia, o sia Drama, e la base insieme, dove ella saldamente si regge. E perché mai più il Terzo Atto non venne; si vide in obligo l’Autor suddetto di comporlo, come in questo Libretto vedrassi; ed avendo egli per tanto, come cosa sua tutta l’Opera (in cui dell’Incognito appena una sol’ombra apparisce) non ha egli alcun riparo avuto col suo Anagrammatico Nome di segnarla; no[n] già per alcuna ambizion che l movesse; ma perché essendosi saputo, che alle stampe abbia l’Incognito il suo primo, e secondo atto consegnato, col pensier, che con questo Libretto al confronto por si debba, ha egli stimato ben fatto, che palese l’Autor si renda; anche per risparmiare a me la fatiga di scriver per minuto tutti gli errori, i disordini, e l’improprietà rimarchevoli, ed inescusabili, che ne mentovati due Atti si veggono; ed a te vien tolto insieme il tedio la lunga narrativa in leggendone: potendo a tuo bell’agio partitamente riscontrarlo.
 Degna di compatimento è la giovinezza, perché non sa che senza un chiaro, ed adeguato cervello, e senza una lunga pratica, a far di qualche pregio quelle fatighe possibil non è mai, che giugner si possa: avendo io più volte inteso protestar l’Autor suddetto, che dopo aver egli da ragazzetto, e sin quasi all’età matura, in private adunanze calcate le scene; e dopo aver per lo spazio di quarant’anni più Commedie per Musica fatte, ed avuta ne i Teatri una pratica continuata, oggi più, che mai per non esperto a bastanza si riputava. Spera egli, che tu ti compiaccia di mantenerlo nel possesso del tuo gentil compatimento, di cui, per le precedenti sue fatighe, degno per tua bontà il facesti, onde sempre più a mostrarti venga, che sia da Virtuosi il compatire. Vivi felice.
 Così dalla Religione son della Poesia rimoti, ed alieni i costumi, come insito è alla Poetica il vaneggiare. Detta la Musa, e scrive la penna le parole di Fato, Stelle, Destino, Adorare, ed altro; ma l cuore, ch’è tutto cattolico, a i venerati precetti della Santa Romana Chiesa inalterabilmente sottoposto si dichiara.
 
 INTERLOCUTORI
 
 ANGELICA Prencipessa del Catai, innamorata di Medoro.
 La Sign. Santa Pascucci, detta la Santina
 EMILIA principessa di Cipro finta pastorella innamorata di Medoro.
 La Signora Anna Rosa Cirillo.
 MEDORO Infante dell’Epiro amante prima d’Emilia, e poi d’Angelica.
 La Signora Caterina Aschieri.
 ORLANDO Paladino di Francia, innamorato d’Angelica.
 Il Signor Alessandro Renda.
 SILVIA Damigella d’Angelica.
 La Signora Giovanna Falconetti.
 ARMINDO Paggio d’Orlando.
 La signora Albina Aschieri.
 MASE QUAQUACCHIO, vecchio Pastore innamorato di Silvia, uom semplice.
 Il Signor Giacomo d’Ambrosio.
 RIENZO MACCHIONE Pastore innamorato di Silvia, ancor’esso alquanto semplice.
 Il Signor Gio: Romanello.
 
 
 La Scena si finge in una Campagna di Toscana.
 LA MUSICA È del Signor Gaetano Latilla Mastro di Cappella Napolitano.
 Ingegniero, e Pittore della Scena il Signor Paolo Saracino.
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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