Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 La Gismonda, Napoli, Domenico Langiano, 1750
 a cura di Marina Cotrufo
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA I
 
 LISETTA dall’Osteria, e poi D. ASPREMO.
 
 LISETTA
 
 Perucchelle, e studentielle,
 A Mezzotta si venite
 Scialarrite pe ssi’ a sse’.
 Nce so bone mozzarelle,
5Nc’è bitella saporita,
 Nce so’ treglie, e seccetelle
 Pano janco, e frisco nc’è.
 Polezzia cca nce trovate,
 Biancaria, e le pposate.
10Cortesia puro nce stà,
 La Maesta è assaje comprita.
 Ma pensate de portare
 O lo pigno, o li denare.
 Ca credenza non se fa.
 
 D. ASPREMO
15Bonnì Lisetta.
 LISETTA
                             Schiavo Donn’Aspremo.
 D. ASPREMO
 Te vego allegra assaje.
 LISETTA
                                           Che s’ha dda fare?
 Ciento cantara de malenconia
 Non pagano no callo
 De debeto mme dice vava mia.
 D. ASPREMO
20Na mogliera accossì freccecarella
 Saputa, allerolella,
 Quanto la pagarria!
 LISETTA
 (Sto cippo carolato
 Mme fa lo spantecato.
25Marisso avesse n’ascia!)
 D. ASPREMO
 Ma veo llà na galessa: aje forestiere?
 LISETTA
 Gnorsì, mo’ so’ arrivate
 Songo n’ommo, e na femmena,
 Veneno da Ferrara, e s’addefrescano.
 D. ASPREMO
30So’ chille llà, che banno passeanno
 Pe lo cortiglio, e parlano co figliemo?
 LISETTA
 Appunto.
 D. ASPREMO
                     E che scarpino!
 Bello quatro matino!
 
 SCENA II
 
 OTTAVIO, GISMONDA, ed ALESSANDRO dall’Osteria, e detti.
 
 OTTAVIO
                                         Al vostro merito
 Riverente m’inchino.
 GISMONDA
35Io vi son serva.
 D. ASPREMO
                               Io porzì ve so’ schiavo.
 OTTAVIO
 Questi è mio Genitore. (additando D. Aspremo.)
 GISMONDA
 M’inchino al mio Signore.
 OTTAVIO
 Se volete degnarvi d’onorare
 Nostro piccolo albergo,
40Poco da qui è distante.
 GISMONDA
 Grazie: dobbiam portarci
 In Napoli di fretta, e quindi poi
 A Palermo passare, ove si attende
 Con premura il mio arrivo in quel Teatro.
 OTTAVIO
45Che siete?...
 GISMONDA
                          Virtuosa Cantarina
 (Così finger mi giovi.) (piano ad Alessandro.)
 ALESSANDRO
                                             (Io non intendo
 Perché tal finzione.)
 D. ASPREMO
 Cantarina!
 LISETTA
                       Pecchesso
 Mme sta teseca, e museca!
 D. ASPREMO
50E chisto mio Signore?
 GISMONDA
                                           È mio Fratello
 E comme milordea!
 LISETTA
                                       Ma è Fratiello
 De Cantarina, e pò milordiare.
 D. ASPREMO
 Ora vi’ quanto renne sto cantare!
 LISETTA
 E lo cielo m’ha fatta tavernara.
55Uh! non poteva nascere
 Io puro Cantarinola!
 D. ASPREMO
                                        E che aspiette?
 Si’ attiempo ancora: nzi’ a le guardaquicquare.
 Io aggio visto recetà ntreato.
 LISETTA
 Zi Aspre’, tu mme farrisse
60Fa sta pazzia: vedenno chella llane
 E sentenno a ossoria, aggio l’arteteca,
 Me sento tutta friere,
 Pe mpararme la zorfa.
 Uh si cca mo’ nce fosse
65No masto de Cappella,
 Chiammà mme lo farria,
 E nquatto botte me ne mpararria.
 
    Bella cosa è lo Treato,
 Io na vota lo vedette,
70A no bello scampagnato
 Nce cantava n’arietta
 Na Segnora tanto bella
 Pare mo’ de la vedè:
 Nacqui al Regno, nacqui al Trono,
75E pur sono
 Sventurata Pastorella.
 Nche sentette sta nennella
 Io decette nfra de me:
 Va nnevina quanta case
80Ha scasate chesta cca!
    E da tanno, bene mio,
 Tutto ch’era pacchianella,
 Aggio avuto sto golio
 De mparareme a cantà.
 
 SCENA III
 
 D. ASPREMO, GISMONDA, OTTAVIO ed ALESSANDRO.
 
 D. ASPREMO
85Che spireto, che tene sta zellosa!
 Orsù ve songo schiavo
 Signora virtuosa. (parte.)
 GISMONDA
 Sua serva.
 ALESSANDRO
                      (Ancor non so perché ti fingi
 Virtuosa di canto!)
 GISMONDA
                                     (Il mio spietato
90Consorte è quei, che vedi.) (addita Ottavio.)
 ALESSANDRO
 (Ottavio è quello?)
 GISMONDA
                                     (Appunto, e a tal effetto
 Finsi la mia condizione.)
 ALESSANDRO
                                                (Intendo.)
 OTTAVIO
 (Quanto vaga mi sembra!)
 GISMONDA
                                                   (Ti ritira
 Lasciami con lui sola.)
 ALESSANDRO
                                           Il cielo arrida
95Al giusto tuo disegno
 E plachi in lui suo dispietato sdegno.) (parte.)
 
 SCENA IV
 
 GISMONDA, ed OTTAVIO.
 
 OTTAVIO
 Signora virtuosa,
 Ottavio Guastaferri
 S’offre tuo servo, e adoratore.
 GISMONDA
                                                        Oddio.
100Ottavio Guastaferri! e non è stato
 Lei, or è l’anno, alla Corte di Urbino?
 OTTAVIO
 Appunto, e colà andai
 Per contrarre i sponsali
 Con una mia Parente, ch’ivi stava,
105Quai non seguiro, per un accidente,
 Ch’ivi mi occorse.
 GISMONDA
                                    Ed ivi
 V’intesi nominar.
 OTTAVIO
 Dunque tu sei ?
 GISMONDA
                                D’Urbino: e so che sposo
 Siete colà.
 OTTAVIO
                      È vero, ma la sposa
110Io non vidi giammai, né veder voglio
 Per fin ch’io viva.
 GISMONDA
 (Misero affetto mio!)
 OTTAVIO
                                          Sentimi, e vedi
 Se mi lagno a ragione: dimorando
 In Urbino quel tempo: un giorno vengo
115D’ordine di sua Altezza
 Chiamato in Corte: vado, e con sua bocca
 Mi fa saper quel Duca, che promessa
 Avea mia destra a cotesta Gismonda,
 La quale era figliuola
120D’un Gentiluom, che al valicar d’un fiume
 Per liberar sua Altezza
 Da un periglio mortale avea perduto
 La vita: e la figliuola in ricompensa,
 (Non so come di me venuta amante)
125Mi richiese a quel Prence per Consorte.
 GISMONDA
 Fu finezza d’amor, visto vi avea
 Più volte in Corte, e di voi fieramente
 Presa: informata essendo,  che tra brieve
 Dovevate impalmare altra Donzella,
130Disperata d’avervi in altro modo,
 Impegnò il Prence.
 OTTAVIO
                                      Ed io la ricusai,
 Sì perché ad altra avea mia fé promessa,
 Sì perché divenire io non volea
 Sposo d’ignota donna. Il Duca irato
135M’impose, fra tre giorni o ch’io ubidito
 Avessi al suo comando, o che mi fossi
 Costituito preso: Io detestando
 Tal matrimonio, la seguente notte
 Men fuggii colle poste, e fei ritorno
140Quivi senza impalmar l’una, né l’altra.
 GISMONDA
 Ma con procura poi, sebben lontano
 Pur la sposaste alfin.
 OTTAVIO
                                        Tanto prevalse
 Di quel Prence l’impegno.
 Che benché assente, pur costretto fui
145All’abborrito nodo.
 GISMONDA
                                     Or se Gismonda...
 OTTAVIO
 Non rammentar quel nome io già mi sento
 Tutto d’ira avvampar, né senza orrore
 Ricordar posso un così infausto amore,
 E se mai per l’addietro in questo petto
150Fu aborrito l’ogetto, or più che mai
 L’odio maggior diviene,
 Se per lei la speranza
 Perdo di te, mio sospirato bene.
 
    Cara, se la mia perfida,
155La mia nemica amante
 Serbasse il tuo bell’animo,
 Avesse il tuo sembiante,
 Solo bastar potria
 Per farmi innamorar.
160   Perché la sorte barbara
 Mi destinò a colei?
 Perché mia fiamma bella,
 Perché quella non sei?
 Così la pena mia
165Forse vedrei cangiar.
 
 SCENA V
 
 GISMONDA sola.
 
 GISMONDA
 Infelice Gismonda, e che ascoltasti?
 Ottavio d’ira acceso
 È ancora contro te: smania, delira:
 Né ad altro pensa, e aspira
170Che a vendicarsi. È ver, ma pura ai speme
 Di vederlo placato. Amor, che cieco,
 E fanciullo si finge, pria tiranno
 Si dimostrò a tuo danno:
 Or placido, e ridente par che voglia
175Tutto vezzi, e lusinghe
 Teco scherzar sopra le tue sventure;
 Ei delle tue fattezze
 Ha reso il di lui core (o di Cupido
 Legge d’amar novella, e stravagante)
180De nemico crudel supplice Amante.
 
    Almen se l’Idol mio
 Odia il mio nome ancora,
 Per me sospira, oddio,
 Le mie sembianze adora:
185E veggo in tanto affanno
 Un lampo di piacer.
    So ch’il diletto è breve,
 Che fugge qual baleno
 Ma benché poca, e lieve
190Questa speranza almeno
 Fa il duolo men tiranno,
 Se non mi fa goder.
 
 SCENA VI
 
 LISETTA dall’Osteria, e poi D. SEMPLICIO.
 
 LISETTA
 Ora vi’ comme songo
 Belle le Cantarinole, e Milorde?
195Da ch’aggio visto chella, ed aggio ntiso
 Ca vace a recetare: n’aggio avuto
 Chiù arrecietto Mannaggia!
 Sa che nce mettarria,
 E a sta pedata a Napole jarria
200A peglià lezzione
 De canto: tanto vi’: voglio nzajareme
 A cantare no poco sola sola
 E bedè comme vao: ca si mme pare
 Ca vago bona priesto nquattro botte
205Mme mparo de cantare, e buonanotte. (Qui si pone a cantare, e D. Semplicio sopragiunge, ed osserva.)
 
    Sonate cembali
 Trombette, e nnaccari,
 Nà nà nà nà,
 Tù tù tù tù.
210E li panturie.
 Chitarre, e cetole,
 Nfa nu nun frà,
 Pizzichi ntrù.
 Mo’ che Lisetta
215Qual virtuosa
 Tutta vizzosa
 Vole cantà. (Qui si fa un ritornello d’un aria grave Teatrale in fine del quale Lisetta ripiglia una canzona villareccia.)
    Chi t’ha fatto sso bello vestito,
 Chi te l’ha fatto lo boglio sapè?
220Mme l’ha fatto na femmena bella,
 Che tene la faccia de pecorella. (Qui D. Semplicio ciò inteso canta anche lui.)
 
 D. SEMPLICIO
 
    Sonate Fraute,
 Boè, e Zampogne,
 Uguè, uguè.
225Llirò, lli, lli.
 Li violune,
 Co beoline,
 Zachete, zè.
 Zuchete, zì.
230Mo’ che qual ciuccio
 Don Sempreciuccio
 Li gargariseme
 Vole arraglià. (Qui l’istrumenti fanno l’istesso di sopra.)
    Chi t’ha fatto sta bella scarpetta,
235Chi te l’ha fatta lo boglio sapè?
 Me l’ha fatta lo povero amante
 Che tene lo naso dell’Alifante.
 
 LISETTA
 Viva Don Sempreciuccio.
 D. SEMPLICIO
 E biva tu porzì. Che bello canto,
240Che facive Lisetta!
 Mme parea de sentire na cevetta.
 LISETTA
 (Vide che complemiento! Si non fosse
 Ca ll’uocchie aggio mpizzato ncuollo a chisto
 Io cierto lo farria sto sproposeto
245De mpararme a cantà.)
 D. SEMPLICIO
                                             Che d’è Lisetta
 Mme schiude, e ride? Songo quarche smorfia?
 Oh! non me coffeà: mo’ so’ nzorato.
 LISETTA
 (Oiemmè) ne?...
 D. SEMPLICIO
                                  E sto aspettanno Gnorezio.
 LISETTA
 Chi Gnorezio?
 D. SEMPLICIO
                              Zi Aspremo
250Che porta lo Notaro
 Pe fare li scapizze.
 LISETTA
 (Maramene già perdo la speranza.)
 D. SEMPLICIO
 E si non faccio attore, eccole ccane.
 LISETTA
 (Uh gliannola, è lo vero.)
 
 SCENA VII
 
 D. ASPREMO col Notajo, che porta in mano i Capitoli di D. SEMPLICIO, ed i già detti.
 
 D. ASPREMO
255E becco D. Sempricio attiempo attiempo.
 Portate cca da scrivere (verso dentro.)
 Schiavo si D. Sempri’.
 D. SEMPLICIO
                                           Schiavo si Gnorezì.
 Schiavo Nota’ Sconciglio.
 LISETTA
 (Mo’ mme schiaffearria pe lo despietto.)
 D. ASPREMO
260Orsù via sottoscrive li capitole,
 Ca io ll’aggio sottoscritte.
 D. SEMPLICIO
 E non poteva oscia sottoscriverle
 Pe mmene, e sparagnareme sto mbruoglio?
 D. ASPREMO
 Chesto non pò soccedere:
265Lo siente lo Notare. (il Notaro si adira.)
 D. SEMPLICIO
                                       Si Notaro
 Non te nfadà, ca mo’ sottoscrevimmo:
 Addo’ aggio da scrivere ?
 D. ASPREMO
                                                Cca sotto,
 N’è lo ve’, si Nota’?
 D. SEMPLICIO
 Sì, cca sotto a la tavola? (si pone sotto la tavola.)
 D. ASPREMO
270Eh sotto a lo malanno...
 LISETTA
                                             (Aggio da ridere
 Co ttutto ca mme magnano li frate.)
 D. ASPREMO
 Sotto cca sotto ccane,
 Addo’ tene lo dito lo Notaro.
 D. SEMPLICIO
 Zi Aspre’ saje ch’è na bestia sto Notaro.
 D. ASPREMO
275E perché?
 D. SEMPLICIO
                      Si nce tene
 Lo dito, addove scrivo?
 D. ASPREMO
 Levalo.
 D. SEMPLICIO
                 Levannillo, fuss’acciso
 Tu, e tutte li Notare comm’a ttene.
 Comm’avimmo da scrivere? Ah? Che? (al Notaro il quale dice piano.)
280E strilla, ca non sento, quanto vace
 Ca stroppèo sto Notaro
 Peo, che nn’è stroppeato.
 LISETTA
 Non pò strellà lo scuro
 No vi’ ca sta abbrocato. (qui il Notaro detta pian piano e D. Aspremo replica forte.)
 D. ASPREMO
                                              Io Don Sempricio.
 D. SEMPLICIO
285Chia’: chi è Don Sempricio?
 D. ASPREMO
 Cossì ha ditto lo Notaro.
 D. SEMPLICIO
 E lo Notaro è n’aseno.
 Don Sempricio song’io, non ossoria.
 D. ASPREMO
 Accossì aje da scrivere
290Io Don Sempricio.
 D. SEMPLICIO
                                     Ah sì, mo’ aggio ntiso.
 Io Don Sempricio. (scrive a stento.)
 D. ASPREMO
                                      Figliuolo del quondam.
 D. SEMPLICIO
 Chi è chisto conda?
 D. ASPREMO
                                      L’ha ditto lo Notaro.
 D. SEMPLICIO
 Mo’ mm’aje rutto seje corde si Notaro,
 Patremo se chiammava
295Giagnacovo, e non Conda.
 D. ASPREMO
 Se dice chesso quanno uno è muorto.
 D. SEMPLICIO
 Ne?
 D. ASPREMO
            Sì. Figlio del quondam.
 D. SEMPLICIO
 Figlio del conda... Nzomma si Notaro
 Nce lo vuo’ mette propio sto conda?
 D. ASPREMO
300Giagnacovo Somarrini.
 D. SEMPLICIO
 Vi’ mo’, s’è comm’io dico.
 D. ASPREMO
 Gnorsì, via jammo mone.
 D. SEMPLICIO
 Addo’ avimmo da ire?
 D. ASPREMO
 Dinto a st’uocchie de mafaro;
305E scrive si vuo’ scrivere. Giagnacovo. (scrivendo.)
 D. SEMPLICIO
 Jacovo.
 D. ASPREMO
                 Somarrini.
 D. SEMPLICIO
                                        Rini. Tutta
 La razza mia so’ Somarrine.
 D. ASPREMO
                                                     Cierto:
 E se vede. Prometto
 D. SEMPLICIO
 Metto.
 D. ASPREMO
                E m’obbligo.
 D. SEMPLICIO
                                          Brico.
 D. ASPREMO
                                                        A quanto sopra.
 D. SEMPLICIO
310Sopra a chi? a la sposa?
 D. ASPREMO
 Sopra... uh mo’ mme scappava.
 Via no cchiù, ca no mporta (prende i Capitoli sottoscritti, e li dà al Notajo, il quale accenna, ch’è mal scritto.)
 Che dice si Nota’, ca no sta buono?
 Lassa vedere a mme. Io Do’ Sempicca.
 D. SEMPLICIO
315Chi se mpicca?
 D. ASPREMO
                               Ossoria.
 D. SEMPLICIO
 E il Notaro se squarta.
 D. ASPREMO
 Io Don Sempicca Somarrini, metto
 E brico... che diavolo
 Aje scritto?
 D. SEMPLICIO
                        Che nne saccio?
320Saccio, ch’aggio sudata na cammisa
 A fa chesso.
 D. ASPREMO
                         Te, tiene si Notaro
 Ca vasta. Jammoncenne into a la casa
 Ca llà te voglio buono regalare. (parte il Notaro, e D. Aspremo.)
 D. SEMPLICIO
 Si Nota’, si Nota’ rotta de cuollo
325Orsù Lisetta io già mme so’ nzorato
 Aje visto mo’.
 LISETTA
                            Ah!
 D. SEMPLICIO
                                      Che d’è? tu sospire,
 E mme staje malenconeca?
 Di’ lo vero vorrisse
 Tu porzì fa la zita?
 LISETTA
330Sto sola io poverella;
 N’aggio nullo pe mmene p’ajutareme
 Nce vorria na sopponta.
 D. SEMPLICIO
                                              E dammotella
 Dimme chi vuoje, ch’è fatto: io già mme trovo
 Mo’ co la renza matremmoneatoria,
335Matremmoneo a tte puro.
 LISETTA
 Io ve lo ddico, si vuje mme lo date.
 D. SEMPLICIO
 Te lo do, te lo do.
 LISETTA
                                  Vi’ ca no.
 D. SEMPLICIO
                                                     Vi’ ca sì.
 LISETTA
 Chillo, ch’io voglio bene
 È... è... no mme ntennite?
 D. SEMPLICIO
340È... è... io non te ntenno.
 LISETTA
 Iss’è... mme piglio scuorno.
 D. SEMPLICIO
 Aje scuorno de lo ddicere,
 Ma non aje scuorno de te lo pegliare.
 LISETTA
 Jate a mirare dinto a chillo sicchio, (addita un secchione pieno d’acqua che sta sopra un poggiuolo dell’Osteria.)
345È chillo che bedite into a chell’acqua
 Chillo è lo core mio.
 (Me ntennesse accossì.)
 D. SEMPLICIO
                                              Jammo a bedere (D. Semplicio va a mirare nel secchio, e sopragiunge D. Aspremo il quale si pone ad origliare.)
 Io cca non vedo nullo.
 LISETTA
                                          (Che nzertone!)
 
 SCENA VIII
 
 D. ASPREMO, che osserva, e detti.
 
 D. ASPREMO
 (Chillo, che bede llà.)
 LISETTA
                                          Vidence meglio.
 D. SEMPLICIO
350Vedimmo meglio.
 D. ASPREMO
                                    (Vedimmo nuje puro
 Che dè.) (mentre D. Semplicio torna a mirare nel secchio D. Aspremo si accosta da dietro, e mira da sopra il capo di D. Semplicio il quale in vederlo nell’acque si volge a riguardarlo, e poi dice tra sé,)
 D. SEMPLICIO
                    (Scazza!)
 D. ASPREMO
                                       (Ch’è stato?)
 D. SEMPLICIO
                                                                 (Mo’ la ntenno
 Chesta vole zi Aspremo.)
 D. ASPREMO
 Che dice? Ma tu ride.
 LISETTA
 (Creo, ca mm’ha ntiso già.)
 D. SEMPLICIO
                                                    Gnorezì saje (a D. Aspremo tirandolo in disparte, dicendo il seguente senza, che ascolti Lisetta.)
355Ca nc’è na fegliolella
 Che te vo’ pe marito.
 D. ASPREMO
 A me?
 D. SEMPLICIO
                A te.
 D. ASPREMO
                           E chi è?
 D. SEMPLICIO
                                            Squatrala, è chella. (addita Lisetta.)
 D. ASPREMO
 Lisetta?
 D. SEMPLICIO
                  Appunto: che ddice? la vuoje?
 D. ASPREMO
 La voglio? Uh potta d’oje!
360Io spanteco pe cchella.
 D. SEMPLICIO
 Lo matremmonio è fatto.
 D. ASPREMO
                                                Si faje chesso
 Chi se scorda de te.
 D. SEMPLICIO
                                      Orsù Lisetta
 Aggio ntiso.
 LISETTA
                         E bolite
 Fare sto matremmonio?
 D. SEMPLICIO
                                               Secorissemo.
365E mmo’ proprio a sto pizzo
 S’ave da dà la mano.
 LISETTA
 So’ lesta.
 D. SEMPLICIO
                    (Vienetenne.) (facendo cenno a D. Aspremo che si accosti a Lisetta.)
 D. ASPREMO
                                                (Oh che contiento!)
 D. SEMPLICIO
 La mano su.
 LISETTA
                          Ecco cca.
 D. SEMPLICIO
                                             (Via fatte sotta.) (piano a D. Aspremo)
 D. ASPREMO
 Veccome. (qui Lisetta stende la mano a D. Semplicio il quale si scosta, e resta D. Aspremo in faccia a Lisetta in atto di porgerle la mano, la quale ciò vedendo con freddezza tira la mano a sé.)
 LISETTA
                      A chi dongo la mano?
 D. SEMPLICIO
                                                               A Donn Aspremo.
 LISETTA
370Aje fatto arrore: io n’aggio ditto a chisso.
 Né boglio Donn Aspremo.
 D. SEMPLICIO
 Donn Aspre’, mo’ che site nguadiate
 E bon prode ve faccia, e sanetate.
 D. ASPREMO
 Ma chisto è ncuntro, e tu nc’aje da penzare.
375Non fareme restà cossì affrontato.
 D. SEMPLICIO
 E che t’aggio da fa? non vi’ ca chella
 Mo’ dice sì, e mo’ no. Vasta ch’è femmena.
 Non saje ca na cajotola de chesse
 Ave ciente ncappate, e a tutte ciento
380Pegliare se vorria:
 Ma po spisso succede,
 Che si nfra tante nn’ha da scegliere uno
 De tutte ciento no nne vo’ nesciuno.
 
    Na fegliola, ch’è sbellottola,
385Tene a mmorra li ncappate,
 Essa a tutta fa fenizze,
 Ride, zenna, a fa carizze,
 Nzi’ ch’ognuno sbena, e proje,
 E l’arusa fa sciocca.
390Nche so’ strutte, ed arrappate,
 Quanno vanno a tozzolare
 Tic, toc: che è lloco? aprite.
 Esce nnanze la vajassa:
 Compatite. La Segnora
395Sta mpeduta propio a st’ora,
 E cchiù audienzia non vo’ dà.
    Nzomma è uso de na femmena
 Chisto, e chillo zanniare:
 So’ li ricche scorcogliate,
400Li pezziente so scartate;
 D’ogne mmuodo te repassa,
 E puo’ dire nzò che buoje,
 Ca la fauza te la fa.
 
 SCENA IX
 
 LISETTA, e D. ASPREMO.
 
 LISETTA
 
 (Niscia me, chillo smocco non m’ha ntiso
405Ed io songo restata
 Co na vranca de mosche.)
 D. ASPREMO
 Lisetta.
 LISETTA
                 Gno’.
 D. ASPREMO
                              Te piace
 De te spassare ncuollo all’ossa meje.
 LISETTA
 Pecché?
 D. ASPREMO
                  Mo’ dice a chillo, ca mme vuoje,
410Mo’ dice no.
 LISETTA
                          Llossoria mm’è Patrone:
 Ma ca ve voglio, io nn’aggio ditto maje.
 D. ASPREMO
 Pecché chesso mme faje, ne cacciottella?
 Vide ca io pe tte moro, e speresco;
 E tu sempe cchù tosta nzanetate
415Me faje ste crepantiglie, e canetate.
 
    Non tanta strazie,
 Bellezza mia,
 Vocca addorosa,
 Chesto che d’è?
420Mme faccio jetteco,
 Arrasso sia,
 E mpilo mpilo
 Già vao pe tte.
 E tu ncocciosa
425Sempe sgregnosa
 Non aje tantillo
 De caretà.
    Si’ troppo spruceta:
 Lassa sta collera,
430Sienteme, parlame,
 Votate a me.
 Chesto è bolereme
 Fa scevolire,
 Farme morire,
435Farme schiattà.
 
 SCENA X
 
 LISETTA, e poi ISABELLA da una parte, ed ALESSANDRO dall’altra.
 
 LISETTA
 Mme nasce all’uorto ll’erva, che non voglio.
 ALESSANDRO
 Eh, quell’Ostessa.
 LISETTA
                                   Gno’.
 ISABELLA
                                                Lisetta è quella;
 Che con un vago Forestier favella.
 ALESSANDRO
 Dov’è la mia cugina.
 LISETTA
                                        Sta’ llà ddinto.
 ISABELLA
440Lisetta.
 LISETTA
                 Gno’.
 ISABELLA
                              Ti accosta.
 LISETTA
 Collecienzia. (ad Alessandro, e si accosta a Isabella.)
 ALESSANDRO
                           (Che vago volto è quello!)
 ISABELLA
 Chi è mai quel Gentiluomo?
 LISETTA
 No cierto Passaggiero
 Che co n’autra Segnora
445Veneno da Ferrara, e banno a Napole.
 ISABELLA
 Quanto è gentile!
 LISETTA
                                   Oscia lo va sguatranno!
 Ve piace, di’ lo ve’?
 ISABELLA
                                      (Perché sì vago
 Non è lo sposo, che vuol darmi il Zio!)
 ALESSANDRO
 Chi è cotesta Signora?
 LISETTA
450È una che mo’ sta pe se sposare.
 ALESSANDRO
 (Oimè, lasso, che ascolto!)
 LISETTA
                                                  Che ve despiace?
 (Già è trasuto a lo passeo) si Sabella
 Che d’è tu staje stonata?
 (E ba ca chesta cca pure è ncappata.)
 ISABELLA
455È di qui di passaggio quel Signore?
 ALESSANDRO
 Sicuro.
 LISETTA
                 (Chesta ccane
 Pare na gnemme gnemme, e non ce joca.)
 ISABELLA
 Perché non si trattiene qualche giorno!
 ALESSANDRO
 Forse mi tratterrei
460Ma.
 ISABELLA
           Che ma?
 ALESSANDRO
                              Temo di lasciare il core
 Qui senza speme in servitù d’Amore.
 
    Già sento legarmi
 Da dolci catene:
 Languire già parmi
465Fra tenere pene;
 Che mai sarà questo
 Se amore non è?
    Qui venni disciolto
 Da noja, e tormento;
470Or l’alma non sento
 Più libera in me.
 
 SCENA XI
 
 ISABELLA, e LISETTA.
 
 LISETTA
 (Chiste, mme pare a mme, ca so’ ncappate!
 Nce lo boglio: accossine aggio speranza,
 Che nfra loro nce caca lo demmonio
475E s’ave da guastà lo matremmonio.) (entra.)
 ISABELLA
 Lassa! da quale inusitato affetto
 Sento infiammarmi il petto
 Per quel straniero! Oddio
 Arbitra di me stessa più non sono,
480Ed al novello amor tutta mi dono.
 
    Giusto Amor poiché mi accendi
 Di quel vago, e bel sembiante,
 Deh tu rendi al core amante
 Quella pace, che non ha.
485   Pari ardore, egual desio
 Fa che infiammi l’Idol mio,
 Peni anch’egli, com’io peno
 Per la cara sua beltà.
 
 SCENA XII
 
 GISMONDA, ALESSANDRO, poi LISETTA dall’Osteria.
 
 GISMONDA
 Dunque, cugin, tu vuoi
490Fermarti in questo luogo?
 ALESSANDRO
                                                  Un bel sembiante
 Di fanciulla gentil mi rese amante.
 GISMONDA
 Ne godo: e tanto più, che Ottavio mio,
 Come ti dissi, è di me preso, e spero
 Qui dimorando, renderlo placato
495Verso di me.
 ALESSANDRO
                           Va ben: Lisetta.
 LISETTA
                                                          Veccome.
 ALESSANDRO
 Ammanisci due stanze
 Con buoni letti, che vogliamo quivi
 Trattenerci più giorni.
 GISMONDA
 E ciò con segretezza,
500Che non lo sappia alcuno.
 LISETTA
 Bravissemo, ve ntenno. Signor mio
 Avite già pegliata
 La pasta de li surece.
 ALESSANDRO
 Non so’ che dici.
 LISETTA
                                 Zitto
505Veneno ccane lo Zio de Sabella
 Co lo Sposo, ch’è chillo, ed è no smocco.
 GISMONDA
 E viene Ottavio ancora.
 
 SCENA ULTIMA
 
 D. ASPREMO, DON SEMPLICIO, OTTAVIO, ed i già detti, indi ISABELLA.
 
 D. ASPREMO
 Voglio, che craje oscia tuocche la mano
 A Sabella.
 D. SEMPLICIO
                      So’ lesto
510Comm’a Sargente.
 OTTAVIO
                                     Genitor, vedete
 Quei due gentili forestier, vorrei
 Usarli cortesia.
 D. ASPREMO
                               Non tanta cortesia,
 Ca chessa è Cantarinola,
 Se nce attacca, e nce scasa.
 D. SEMPLICIO
515Cantarinola! Caspita
 La voglio contemplare cogli occhiali;
 Bel taglio! bella faccia!
 Bel perzonaggio!
 GISMONDA
                                  Sono ad inchinarvi.
 ALESSANDRO
 Ed ancor io.
 D. ASPREMO
                         V’alleveresco.
 OTTAVIO
                                                    Vostro
520Sapete ch’io son già.
 D. SEMPLICIO
                                        Ed io a la virtuosa
 Fo riverenzia.
 D. ASPREMO
                             Sta attiento diascance; (addita Isabella ch’è uscita ed osserva.)
 Vi’ llà Sabella, ca te sta smiccianno.
 D. SEMPLICIO
 Gnorsì: ma vuo’ sapè? Bona è la sposa:
 Ma, Pare’, chesta ccane è n’autra cosa.
 ISABELLA
525Poss’io far riverenza
 A cotesti Signori?
 GISMONDA
 Sua serva.
 ALESSANDRO
                      Io me l’inchino.
 D. ASPREMO
                                                     È mia Nipote,
 E s’ha da piglià chisto.
 LISETTA
 (Co lo figlio de Nufrio.)
 D. SEMPLICIO
530Orsù come si chiama la Signora?
 GISMONDA
 Giustina.
 D. SEMPLICIO
                     Ave la madre?
 GISMONDA
 No.
 D. SEMPLICIO
           Oh bene! senza madre
 Farai meglio negozio, queste madri
 Son delle Cantarine il precipizio.
535Tale, e quale mperrò.
 D. ASPREMO
 Securo.
 D. SEMPLICIO
                 Dove recita, si licet?
 GISMONDA
 A Palermo.
 D. SEMPLICIO
                        Da che?
 GISMONDA
                                         Da prima Donna;
 Da che volete voi, ch’io recitassi?
 In tutte le mie recite
540Sono stata appaldata
 Sempre da prima parte.
 D. ASPREMO
                                               (E ch’arbascia
 Che tene!)
 D. SEMPLICIO
                       (Vasta di’, ch’è Cantarina.)
 OTTAVIO
 Quando partir volete?
 GISMONDA
                                           Adesso adesso
 Già ho detto che si attacchi il mio calesso.
 D. SEMPLICIO
545Che si sciolghi il calesso:
 Curre, curre Lisetta.
 GISMONDA
 Ma perché?
 D. SEMPLICIO
                         Vogliam prima
 Darvi un divertimento alto alto
 Come meglio potiamo, e poi partite:
550Va buono Gnorezi’?
 D. ASPREMO
                                       Vace malissimo:
 Nuje qua stiamo in campagna;
 Che spasso maje puoi dare a sta Segnora?
 D. SEMPLICIO
 Mo’ si penza: olà Guatteri
 Portate sedie qua.
 ALESSANDRO
                                    (Che bell’umore!)
 OTTAVIO
555Dice ben Don Semplicio
 Sedete. (Sosterrò le sue sciocchezze
 Per i miei fini.) (escon sedie, e siedono tutti, eccetto Lisetta.)
 LISETTA
                                 Assettateve.
 OTTAVIO
 Or bene, Don Semplicio,
 Qual’è il divertimento, che pensate?
 D. SEMPLICIO
560Daremo un Accademia qui di musica
 Cantirrà la Signora: e canto io.
 D. ASPREMO
 E addo’ so’ li stromenti? Penza ad autro.
 GISMONDA
 E poi per causa del viaggio io trovomi
 Raffreddata di molto;
565Male la servirei.
 D. SEMPLICIO
 Questa è la scusa d’ogni virtuosa:
 Quann’ave da cantare
 Le dole il Zizzinello.
 Un ballo.
 D. ASPREMO
                    E li violine addove stanno?
570Non l’aje ntiso?
 OTTAVIO
                                Facciamo una bassetta.
 D. SEMPLICIO
 Leva mano: è trovato lo spassetto.
 Volimmo divertì sta virtuosa
 A sentì mprovisà.
 D. ASPREMO
                                   E addo’ so’ li Poete?
 D. SEMPLICIO
 Oscia nn’è uno.
 D. ASPREMO
                               Io songo n’animale,
575Chi sape aprì la vocca?
 D. SEMPLICIO
 Nce so’ tanta Poete
 Cchiù animale de tene, e pure parlano
 De Lettere, e de vierze. N’autro è Attavio.
 OTTAVIO
 Mi contento, quantunque
580Non l’abbi fatto ancora.
 D. SEMPLICIO
 Lo terzo songo io, ecca nce nguaggio,
 Ca no Poeta sentarraje de Maggio.
 N’autro nce nne vorria pe fa lo quarto.
 LISETTA
 S’è pe ddire sproposete
585Lo quarto sarragg’io.
 D. SEMPLICIO
 E mmente è cchesso assettate co nuje
 E mprovesèa tu puro,
 Ca quanta cchiù sproposete derrimo
 Cchiù la sia Vertuosa spassarrimmo.
 ISABELLA
590(Si volete di subito
 Involarvi da qui, tanto odiate
 Questo soggiorno?) (piano ad Alessandro.)
 ALESSANDRO
                                      (Parto,
 Cara, per non veder la morte mia
 Nel vostro matrimonio.) (piano fra loro.)
 ISABELLA
595(Se resterete, or vi farò vedere
 Disciolte queste nozze.)
 ALESSANDRO
 (Ah lo volesse il Cielo.)
 D. SEMPLICIO
 Orsù: lo primmo è Ottavio: po song’io:
 Ll’auto è zi Aspremo, ll’utema è Lisetta.
 OTTAVIO
600Il Tema è questo: Imeneo trionfante
 Per le vicine nozze
 Del Signor Don Simplicio Somarrini
 Con Isabella Guastaferri, pregiasi
 D’essere dedicato
605Alla Signora Giustina... Il cognome?
 GISMONDA
 Oh tanto onore! Giustina Dolciati
 Virtuosa di camera del Principe
 Della Mesopotamia!
 D. SEMPLICIO
 Della meza Sartania! Buono Prencepe!
610Si Attavio accommenzate,
 E qua cosa de buono mprovesate.
 OTTAVIO
 
    Se mai la non sa con tutta sua possa
 Diè favore al mio canto, ed al mi stile
 Mi favorisca adesso acciocché possa
615Un nodo celebrar così gentile.
    Onde Imeneo la bella face ha scossa,
 Che rende chiare omai da Battro a Tile
 Sotto gli auspizj di Giustina bella
 Le nozze di Semplicio, ed Isabella.
 
 GISMONDA
620Viva.
 ALESSANDRO
             Bravo davero.
 Animo Don Semplicio.
 D. SEMPLICIO
 
 Jostina chiara cchiù dde na fajella
 E cchiù dde sole quanno è ncapecuorno.
 
 D. ASPREMO
 Che brutto paragone!
 LISETTA
                                          È a preposeto
625De matremmonio: zitto.
 D. SEMPLICIO
 
 Anze cchiù de na luna, e de na stella
 Che luce ncielo quanno è mmiezo juorno.
 
 D. ASPREMO
 Stelle de miezo juorno
 Uh, uh!
 LISETTA
                  Sentimmo appriesso.
 D. SEMPLICIO
 
630Si’ tanto bona, majateca, e bella.
 Che la sposa accanto a te pare taluorno.
 
 D. ASPREMO
 Uh diavolo accidelo: la Sposa
 Vi’ comme l’ammenaccia.
 LISETTA
 E sì ha ragione: l’ha fatto na satreca.
 D. ASPREMO
 
635Petrosenella mia stamme a sentire:
 Cala le ttrezze, ca voglio saglire.
 
 LISETTA
 Sproposete a megliara: A te zi Aspremo.
 D. ASPREMO
 
    Don Sempreciuccio non saje che redire.
 Chesta Segnora è bella, e bertuosa;
640Ma Sabelluccia si buono la mmire
 È ghianca, menutella, e broccolosa.
    Apparo ll’una, e ll’autra ponno ire.
 Ll’una è no Gesommino, e ll’autra, è Rosa:
 Perzò voglio laudare nzina fina
645Le grolie de Sabella e de Giustina.
 
 GISMONDA
 E viva Donn’Aspremo.
 D. SEMPLICIO
                                            Mm’aje na scoppola,
 Quanno vuoje te la donco: a te Lisetta.
 LISETTA
 
 Si be’ so’ femmenella, e non saccio manco cria...
 
 OTTAVIO
 Che verso lungo!
 LISETTA
                                  E buje accortatevillo.
 D. ASPREMO
650E po non ave rimma, e non cammina.
 LISETTA
 Si n’ave rimme miettele la vela,
 Ca cammina accossì.
 GISMONDA
                                         Lasciate dire,
 Ch’è graziosa.
 OTTAVIO
                             Siegui.
 LISETTA
 
 Si be’ so’ femmenella, a non saccio manco cria
655Voglio io pure laudà sto menameo.
 
 D. ASPREMO
 Che d’è sto menameo?
 OTTAVIO
 Imeneo volle dire.
 D. SEMPLICIO
                                    Cierto: Aminea.
 Non menameo.
 D. ASPREMO
                               Sentite chist’autro!
 Che Animea, e Menameo? Minimineo
660Se dice.
 D. SEMPLICIO
                  E Minea, e Minimineo.
 Chiafeo, e corimeo tutto è na cosa,
 Zi Aspre’ si’ corejuso. Secotea. (a Lisetta.)
 LISETTA
 
 Si be’ poverella va mpazzia
 Co sto sposo, che pare no gigante, anze no sciaddeo.
 
 D. SEMPLICIO
665Uh! non connette niente.
 LISETTA
 E già che non connetto,
 Non voglio dire cchiù.
 D. ASPREMO
 Via di ca dice buono: te nne prega
 La Signora, vi’ llà.
 GISMONDA
                                    Sigui Lisetta.
 LISETTA
 
670Pe llaudà le bellizze d’ossoria
 Nce vorria lo Petracchia, o puro Arfeo.
 Ma perché non ne faccio de sse cose,
 Perzò mme stongo zitto, e m’arreposo.
 
 D. SEMPLICIO
 E faje buono, arreposate,
675Ca n’è cosa pe tte Lisetta mia
 A fare lo poeta...
 LISETTA
                                 Vi’ chi parla
 De poesia, lo vero
 Mmoccamenn’uno! respunne a ss’attavia
 Se si’ ommo, ca io
680Responnarraggio appriesso.
 D. ASPREMO
 Chest’è desfida.
 D. SEMPLICIO
                                E buono. M’arreposo
 E llutema parola... oso... oso...
 
 Io non m’gguatto, e manco sto annascoso
 Quanno se tratta de verzificare.
685E... O... verzificare. (Qui si ferma alquanto pensoso per fare gli altri due versi, ma ripiglia Lisetta togliendo la parola di bocca a D. Semplicio.)
 
 LISETTA
 
 Statte zitto Poeta schifenzoso.
 No mmide ca non saje manco parlare.
 
 D. ASPREMO
 Cancaro te l’ha fatta. (a D. Semplicio.)
 GISMONDA
                                         O bene!
 GISMONDA
                                                          Oh bravo!
 D. SEMPLICIO
 
 Poetessa d’Aguanno, anzi vavosa
690A me tu mpovesia viene a sfidare!
 
 LISETTA
 
 A te sfido Poeta varvajanne.
 Che te pozza afferrà mille malanne.
 
 D. ASPREMO
 No, non va buone a direve sse ngiurie
 Si volite sfidareve a fa vierze,
695Allaudate quarcuna.
 D. SEMPLICIO
                                        Sì, allaudammo
 La sia Jostina ccane.
 LISETTA
                                        Io so’ contenta.
 D. SEMPLICIO
 Accommenzo.
 LISETTA
                             Accommenza,
 Ca io te vengo appriesso: n’aje paura?
 D. SEMPLICIO
 Aje da fa co na bona creatura. (D. Semplicio si pone a guardare in atto d’improvisare a Gismonda a cui dice il seguente.)
 
700O bella bella de la Majorana
 Tu co ssa grazia mme faje cannavola
 Famme la pizza quanno faje lo ppane,
 Ca te vengo a trovà quanno staje sola. (Qui Isabella vedendo che D. Semplicio dice il suddetto con amorosa caricatura in faccia a Gismonda mostra adirarsene, ed interrompe con furia alzandosi.)
 
 ISABELLA
 Or questo è troppo! temerario ardisci
705In mia presenza vagheggiar colei;
 E dir questo di più? D’un tale Sposo
 Più le nozze non curo.
 Perfido, traditor, falso, spergiuro. (parte.)
 ALESSANDRO
 Adirata, e gelosa
710Dunque partì la Sposa? E tu vagheggi
 La mia Sorella? Ah! ch’io saprei che farmi:
 Ma per degni rispetti io tacer voglio.
 Partiam Cugina adesso.
 Olà Famigli si attacchi il Calesso. (parte.)
 OTTAVIO
715Ah fermate di grazia
 Non v’adirate, che s’offesa alcuna
 Aveste per cagione di ostui
 Giusta vendetta io prenderò di lui. (parte, e Gismonda ch’è restata sospesa, ed immobile dice il seguente verso D. Semplicio ch’è restato anch’egli sospeso, ed immobile
 GISMONDA
 
 Il sen per quell’indegno
720Sento avvampar di sdegno!
 Ah che ammazzar ti voglio.
 Non v’è per te pietà. (cava uno stile, e va addosso a D. Semplicio.)
 
 D. SEMPLICIO
 
 Chiano...
 
 D. ASPREMO
 
                    Fremmate...
 
 LISETTA
 
                                             Oimmè...
 
 D. SEMPLICIO
 
 Lisetta, tiene forte.
725Zi Aspre’, no la lassà. (Lisetta e D. Aspremo tengono Gismonda e costei dirà a D. Semplicio.)
 
 GISMONDA
 
 Lasciatemi vi prego,
 Ch’io voglio vendicarmi.
 Perché così lodarmi?
 Che cosa vuoi da me?
 
 D. ASPREMO
 
730Mmalora! si’ nzorato
 E non la vuo’ fenire?
 Sto vizio mmalorato
 Lo chiagnarrje sì affè.
 
 LISETTA
 
 Si’ troppo scannaruso,
735Zanniero veziuso.
 Feniscela a diascange
 Mo’ è troppo maramè.
 
 D. SEMPLICIO
 
 Deh respirar lasciatemi
 Qualche momento in pace;
740Capace di risolvere
 La mia ragion non è.
 
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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