Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 La Gismonda, Napoli, Domenico Langiano, 1750
 a cura di Marina Cotrufo
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA I
 
 ISABELLA, ed ALESANDRO.
 
 ISABELLA
 Vedesti per tuo amor quel che fec’io
 Caro Alesandro? Finsi
 Sdegnarmi con quel matto, e occasione
745Presi così di rifiutar le nozze.
 ALESSANDRO
 Ammiro l’accortezza
 Del tuo vivace core, e assai tenuto
 Ti son per ciò: così nel sen ravvivi
 La già morta speranza.
 ISABELLA
                                            Ah! Se non fussi
750Cugin di Cantarina,
 Forse...
 ALESSANDRO
                 Se ciò si oppone al dolce acquisto
 Di tua belta’: da bando ai dubi tuoi:
 Per nascita son tale,
 Che posso meritarti, e quando noto
755Sarò, so che il Cugino, ed anco il zio,
 Non avranno motivo
 Di ricusarmi.
 ISABELLA
                            Dimmi:
 Vi fermarete qui per qualche giorno?
 ALESSANDRO
 Appunto ho persuasa la Cugina
760A qui fermarsi.
 ISABELLA
                               O caro! questa sera
 Alle due della notte
 Qui ti attendo. Io farommi a quel cancello;
 E meglio parleremo.
 ALESSANDRO
                                        Oh sospirato
 Momento! Ombre felici, ombre adorate,
765Per me sete più belle
 Del più splendente, e fortunato giorno,
 Se un Sole in voi vagheggerò più adorno,
 
    Fra quell’ombre fortunate
 All’affanno per cui peno,
770Di speranza un sol baleno,
 Idol mio, mi basterà.
    Bell’immagini adorate,
 Che quest’anima accendete;
 Compensare omai dovete
775Del mio amor la fedeltà.
 
 SCENA II
 
 ISABELLA, e poi LISETTA.
 
 ISABELLA
 Arridi Amore alla novella fiamma,
 E fa restar deluso
 Il mio tiranno Zio.
 LISETTA
                                     Signora mia,
 Io po me nne rallero.
 ISABELLA
780Di che?
 LISETTA
                  No mme facite l’Inniana:
 Ca da llane annascosta aggio sentuto
 Quanto avite trascurzo
 Co lo frostiero?
 ISABELLA
                               Oddio! non riferire
 Quel che ascoltasti.
 LISETTA
                                      Mme facite tanto
785Voccaperta? Mm’affenno
 La si Sabella! anze si pozzo a niente
 Ajutarve, decite, ca v’ajuto
 Coll’arma, e co lo core (ca nce tengo
 Io porzì li nteresse
790Mieje.)
 ISABELLA
                 Amata Lisetta,
 Non posso più soffrir, che il Zio crudele
 A mio dispetto voglia
 Darmi a quel stravagante
 Di Don Semplicio.
 LISETTA
                                     E facite assai buono.
795Ora vi’! vole dare na fegliola
 A uno contragenio; chisso è per pazzo!
 ISABELLA
 Da poi che intese l’immatura morte
 D’Orlando mio Germano
 Nel Campo Moscovito,
800Dov’egli militava: prese subito
 Il partito di darmi a quel balordo,
 Per mettere così le mani in pasta
 Nelle ricchezze, che lasciò mio Padre,
 Ed usurparne ancor la maggior parte.
 LISETTA
805Vi’ che biecchio briccone!
 Ma no bello penziero mo’ mm’avite
 Fatto venire co ddi’ chesso lloco,
 Pe fa restare a buje contenta, e a isso
 Comm’a na bestia.
 ISABELLA
                                     E che?
 LISETTA
                                                    Decite a mmene,
810Da quanto manca sto Fratiello vuosto
 Da cca?
 ISABELLA
                  Or son ott’anni.
 LISETTA
 Buono: n’è canosciuto.
 ISABELLA
 Ma perché?
 LISETTA
                         Mme dà ll’anemo
 Travestirme da ommo:
815Fegnere de venire da Moscovia,
 Dire ca io so’ st’Orlanno Guastafierro
 Cacciarne chisso viecchio,
 E fareve piglià chi vuje volite.
 ISABELLA
 Troppo azzardo! Ed avrai tu tanto spirito?
 LISETTA
820Volite pazzià? Si mme vedite
 Travestuta da ommo
 Vuje no mme canoscite:
 E ppo pe quatto chiacchiare ntoscano
 Ve l’arremedio: sulo lo vestito
825Mme manca.
 ISABELLA
                           E questo è pronto.
 Del mio Germano istesso
 N’ho molti nel forziere: uno tra gl’altri
 Venuto da Moscovia, ch’è alla foggia
 Di quel paese, quando ei militava,
830Che qui dentro un baule
 Pieno d’argento, ed oro, ed altre spoglie
 Dopo sua morte, venne a noi trasmesso.
 Questo mandar ti voglio: di statura
 Appunto egli era un po’ bassotto, credo
835Che ti stia bene.
 LISETTA
                                 Iate, ca ve manno
 Mo’ no guattero mio, e nce lo date;
 Pocca sta sera stessa io mme travesto.
 ISABELLA
 Anzi ancor manderotti
 Tutto quel che bisogna
840Per tal travestimento.
 LISETTA
 Appunto aggio la squatra cca sta sera
 Ad alloggià, si s’ave
 Da fa na parapiglia, me nne servo.
 ISABELLA
 Vado. Fa quel che vuoi: da te dipende
845Tutta la sorte mia,
 E per tuo mezzo spero
 Fuggir del crudo Amor la tirannia.
 
    Al mio penoso
 Fiero martiro,
850All’aspro duolo,
 Ond’io sospiro,
 pace, e consuolo
 Spero da te.
    In questo mare
855Sì tempestoso
 La bella stella
 Tu sei per me.
 
 SCENA III
 
 LISETTA.
 
 LISETTA
 Accossì bace buono: co sta mbroglia
 Io farraggio a na botta doje focetole:
860Conzolo sta fegliola,
 E pozzo avè speranza de pegliareme
 Chillo ciercolo d’ommo pe mmarito.
 Lo guaio cchiu gruosso è, ch’è tanto locco,
 Che non comprenne, ch’io le voglio bene:
865Ed io mme piglio scuorno
 De nce lo ddire; mm’aggio fatta fare
 Apposta mo’ na lettera
 Ca nce la voglio dare, addo’ le dico
 Le passiune meie... e beccotillo:
870Mo’ nce la dongo, e nn’esco
 Da chesta mazziata... uh te, zi Aspremo
 Vene puro da cca: malanno accidelo.
 Sempe sto Varvajanne
 Mm’ave da sconcecare!
875Che le pozza lo trivolo afferrare.
 
 SCENA IV
 
 D. ASPREMO, e detta, e poi D. SEMPLICIO da dietro, che osserva veduto da Lisetta, e non veduto da D. Aspremo.
 
 D. ASPREMO
 Che d’è Lise’? t’aggio visto da llane
 Parlare sola sola?
 LISETTA
 Mme steva allecordanno
 No bello suonno ch’aggio
880Fatto sta notte.
 D. ASPREMO
                              Dillo,
 Chi sa nce fosse qualche buono nummero!
 LISETTA
 Aggiate da sapè, ca mme pareva
 D’essere nnammorata
 De vuje assaje assaje. (ciò lo dirà guardando D. Semplicio, che sta dietro a D. Aspremo ad origliare, ma non intende, che dica per lui, credendo sempre, che Lisetta parli per D. Aspremo.)
 D. ASPREMO
                                          Nzuonno?
 LISETTA
                                                               Nzuonno
885Gnorsine.
 D. SEMPLICIO
                      (È nnammorata de zi Aspremo
 E ppo dice ca no.)
 LISETTA
                                    E mme pareva,
 Ca ossoria se volea pigliare n’autra
 Pe mogliere, ed io scura
 Tutta mme desperava.
 D. ASPREMO
                                            (Uh che prejezza!)
 D. SEMPLICIO
890(Vo’ bene a chillo, e tene mente a mmene.)
 D. ASPREMO
 Di’ appriesso, gioja mia.
 LISETTA
 Perzò mme fice fare
 Na lettera amorosa.
 D. ASPREMO
                                       Nzuonno?
 LISETTA
                                                            Nzuonno.
 D. SEMPLICIO
 (Chiste fanno l’ammore nzuonno nzuonno.)
 LISETTA
895Io mme pigliaje la lettera, e mme parze
 De ve trovà.
 D. ASPREMO
                         Sì.
 LISETTA
                                 E quanno
 Mme venistevo rente...
 D. ASPREMO
 Comme sto mmo’?
 LISETTA
                                      No poco cchiù lontano.
 Mentre penzo de darvela, mme venne
900Nnanze na brutta smorfia, no vecchiumma,
 E mme venne a mpedire.
 D. SEMPLICIO
 (Fuje lo paputo credo.)
 LISETTA
 Io che facette tanno.
 D. ASPREMO
                                        Che faciste? (Lisetta cava di tasca la lettera, che tiene socchiusa in modo, che non è vista da D. Aspremo bensì da D. Semplicio.)
 LISETTA
 Figurateve mo’, che a chesta mano
905Stia la lettera...
 D. ASPREMO
                               Sine, va contanno.
 LISETTA
 Abbracciaje chillo smorfia de sto muodo... (abbraccia D. Aspremo col braccio sinistro, e coll’altra mano fingendo anche di abbracciarlo li abbassa il capo, e non accorgendosene D. Aspremo porge la lettera a D. Semplicio il quale sorpreso la prende, e resta attonito.)
 D. ASPREMO
 Oh bello suonno! o che durasse ’n anno!
 LISETTA
 Le consegnaje la lettera, e le disse:
 Chillo che legge chesta
910È lo core de st’arma.
 D. ASPREMO
 E ppo?
 LISETTA
                 E ppo mme scetaje, e mme sosette:
 Disse, schiava a ossoria, e me nne jette. (parte.)
 D. ASPREMO
 Mannaggia! vi’ che gliannola! a lo mmeglio
 È scomputo lo suonno!
915Ma te, Don Sempreciuccio
 Co na lettera mmano.
 D. SEMPLICIO
 Vedimmo che nc’è ddinto,
 Ca sapimmo accossì sto nnammorato.
 D. ASPREMO
 So’ coriuso de sapè che lettera
920Sarrà. (D. Aspremo accosta pian piano da dietro mentre D. Semplicio legge a stento scioccamente, infine non sapendo leggerla D. Aspremo da dietro come si trova la legge egli con voce alta.)
 D. ASPREMO
                Idolo ammato: co sta lettera
 Io te faccio assapè, ca pe tte spanteco,
 E si non aggio a ttene pe mmarito
 Da mo’ mme metto a chiagnere a selluzzo.
 O mme vago a ghiettà dinto a no puzzo.
925Buono! Don Sempreciuccio, co na lettera
 D’ammore mmano, e staje pe Ngaudiare?
 Ha ragione Sabella.
 D. SEMPLICIO
 Zitto: non te nfadare, ca sta lettera
 Vene a ossoria.
 D. ASPREMO
                               A mme? E chi la manna?
 D. SEMPLICIO
930Lisetta cca mo’ proprio,
 Mentre steva parlanno co osseria,
 E lo suonno contava, me l’ha ddata
 Da dereto, ed ha ditto,
 Chi legge chesta è lo core de st’arma.
935Oscia l’ha letta: addonca ll’ossoria
 È chillo ch’essa vole.
 D. ASPREMO
 Accossì è.
 D. SEMPLICIO
                     Lisetta,
 Aggio saputo chillo a chi vuo’ bene. (esce Lisetta.)
 LISETTA
 (Oh ca mm’ha ntiso!) E mme vole?
 D. SEMPLICIO
                                                                  Te vole.
940Te strignetillo forte.
 LISETTA
                                       Uh core mio...
 Chisto chi è? (D. Semplicio avendo primo fatto cenni a D. Aspremo, che si fusse accostato, si scosta un poco e dà luogo a D. Aspremo, il che vedendo Lisetta si scosta attonita.)
 D. SEMPLICIO
                            È zi Aspremo.
 D. ASPREMO
 (Oimmè! manco song’isso.)
 D. SEMPLICIO
 Ngaudiateve su.
 LISETTA
                                 Che ngaudiare?
 (N’autro cchiù llocco addo’ se pò trovare!)
 
945   Vuje bene mme volite:
 Ma si no mme piacite,
 Si no mme jate a genio,
 Non saccio che ve fa.
 Io mme lo voglio scegliere
950No Maritiello bello,
 Polito, e giovaniello,
 Milordo, e co ddenare;
 Ed ave da schiattare
 Chi no lo ppò vedè.
955   (E manco m’ha sentuto
 Lo smocco, lo storduto!
 Chiù nzierto, voccapierto
 Io credo ca non c’è.)
 
 SCENA V
 
 D. SEMPLICIO, e D. ASPREMO.
 
 D. SEMPLICIO
 Chesta parla cervone, e ba la ntienne!
960Io quanto cchiù la sento, chiù mme mbroglio.
 D. ASPREMO
 (Ah ca be’ la ntenn’io, sta perchiepetola,
 Aggio compriso mone
 Da le parole soje, ch’è nnammorata
 De chisto nzemprecone; ma levammole
965Ogne speranza, e spicciammo lo nguadio
 De chisto co nnepotema,
 Ch’accossine essa perde la speranza
 E a mme se votarrà.)
 D. SEMPLICIO
                                         Che dice, Gnorezio?
 D. ASPREMO
 Sta sera nn’ogne cunto io cca t’aspetto
970Pocca sta sera stessa aje da toccare
 A Sabella la mano, e ngaudiare.
 D. SEMPLICIO
 Io vengo, segnorsì: ma nc’è no dubbio.
 D. ASPREMO
 Che dubio?
 D. SEMPLICIO
                         Ca la Zita no mme vole.
 Non aje visto mo’ nnante, che t’ha fatto?
 D. ASPREMO
975Non è niente, sferraje pe gelosia;
 Perché stive a laudare nnanze a essa
 A chesta Cantarinola.
 D. SEMPLICIO
                                          Io lo ffice
 Pe creanza, Zi Aspre’.
 D. ASPREMO
                                          E non vuo’ dicere
 Ca te nn’iere alloccuto.
 D. SEMPLICIO
980Ma si sta Cantarinola
 È troppa bona.
 D. ASPREMO
                              Anze è troppo trista.
 Tu nne staje poco ntiso.
 D. SEMPLICIO
 Meglio de te lo ssaccio, Gnorezio;
 Ca quanto chiù nce pareno a la vista
985Modeste, e nzemprecelle ste fegliole,
 Tanto cchiù so frabotte, e mariole. (parte.)
 
 SCENA VI
 
 D. ASPREMO.
 
 D. ASPREMO
 Chisto è no locco, e pure
 Ave parlato comm’a Salamone.
 Vi’ quanto fa la sperienza. Nzomma
990Non c’è niente che ddicere.
 Accossì è: le femmene
 So’ tutte triste, e le cchiù mmalorate
 So’ chelle de Treate.
 Ma che nce faje? co ttutto
995Ca se sanno chi songo,
 Pure vano a sperì pe sse guaguine
 Giuvene, viecchie, Abbate, e Milordine.
 
    P’avè no saluto,
 N’occhiata, no riso,
1000No mpiso de chisse
 Da una ch’appena
 Compare a na Scena,
 O quanno la sente
 N’arietta cantà:
1005Sospira, speresce,
 La stace a nfettà.
    Ma po sa che nn’esce
 Pe quacche scasato?
 O resta pezzente,
1010O va carcerato,
 O comme a paputo,
 Burlato sarrà.
 
 SCENA VII
 
 GISMONDA, ed OTTAVIO.
 
 OTTAVIO
 Ascoltami, crudel.
 GISMONDA
                                    Voi siete d’altra
 Già sposo, e a me non lice
1015Aspirare ad un core
 Che già venne occupato d’altro Amore.
 OTTAVIO
 Oh sorta ingrata! ah perché quell’indegna
 Ch’è la cagion funesta
 Di tante mie disgrazie, e che si oppone
1020A mie presenti gioje,
 Or non è qui!
 GISMONDA
                            Da voi
 Poco è distante; venne
 In compagnia di Noi
 In traccia del suo Sposo, come disse.
1025Nella Città vicina
 Fermossi con la speme
 Di colà rinvenirvi.
 OTTAVIO
                                    Ed a qual fine?
 GISMONDA
 O da voi, mi diss’ella,
 Con prova così bella
1030D’amore, ella ottener pietà sperava
 Alla sua fierta sorte,
 O dalle vostre mani aver la morte.
 OTTAVIO
 E morte ella otterrà. Giustina, senti,
 Se tu farai che meco ella s’incontri,
1035Sarem felici.
 GISMONDA
                           E come?
 OTTAVIO
 Con quella spada ultrice
 Trafigerolla, e sciolto
 Io poi dal primo laccio, a te la destra
 Darò di Sposo.
 GISMONDA
                              (O dispietato core!)
 OTTAVIO
1040Che dici?
 GISMONDA
                     E risoluto
 Sei dunque in così barbaro pensiero?
 OTTAVIO
 Son risoluto.
 GISMONDA
                          E ben: vo’ compiacerti;
 Alle due della notte qui sta sera
 Farò venir Gismonda.
1045Qui vieni, e la vedrai.
 OTTAVIO
 Qui vengo, e subito
 Io svenerò quell’empia.
 GISMONDA
 Oddio! (piange.)
 OTTAVIO
                  Giustina tu sospiri, e piangi?
 GISMONDA
 Pensando, oimè! qual duro, e crudo premio
1050Tu rendi al caro, e sviscerato Amore
 De la fedel Gismonda,
 Mi sento intenerir... cotanta fede
 Tant’odio meritar chi vide mai?
 Verrà, la svenerai;
1055E se in mirar per la tua mano esangue
 Una che ti amò tanto
 Non piangerai, non sentirai dolore,
 Ben ai nel sen di dura selce il core.
 
    Già sento che dice
1060La sposa infelice:
 Potesti svenarmi,
 Tiranno, e perché?
 Perché tanto ingrato,
 Consorte spietato,
1065Amante crudel!
    Già il sen ti tormenta
 L’idea dell’eccesso;
 Già in odio a te stesso
 Ti veggo per me.
1070Io moro contenta,
 Perché son fedel.
 
 SCENA VIII
 
 OTTAVIO.
 
 OTTAVIO
 Il parlar di costei
 Mi fe’ raccapricciar, sì al vivo espresse
 La mia nemica, che credei sentire
1075Le sue lagnanze istesse.
 Ma non occorre: mora
 L’indegna, e cada vittima svenata
 Dell’odio mio, del mio novello amore;
 D’ostinato rigore
1080Cinto già sono; e tra l’ira, e l’affetto
 Tutto s’agita, e freme il cor nel petto.
 
    Sono in crudel cimento
 Guerrier piegato a morte:
 Che cade, e la sua sorte
1085Nell’uccisor spietato
 Brama di vendicar.
    Trafitto dal tormento
 Già manco io sventurato.
 È ver: ma sol desio
1090Nell’empio sangue, oddio,
 Mio sdegno sodisfar.
 
 SCENA IX
 
 Notte oscura.
 ISABELLA dal Cancello, e poi GISMONDA da i Portici dell’Osteria.
 
 ISABELLA
 Già le due son date, e ancor non giunge
 Alessandro il mio bene: è così oscuro,
 Che nulla si discerne. Tutto sento
1095Involto in gran silenzio.
 GISMONDA
 L’aria è oscura davvero, e l’ora è questa
 Che venir deve Ottavio: alcun non odo.
 Ma parmi in questo punto
 Che venga gente; ho veduto apparire,
1100E sparir lume a un tratto.
 
 SCENA X
 
 D. SEMPLICIO con lanterna serrata, e dette.
 
 D. SEMPLICIO
 Aggio voluto serrà la lanterna
 Pe non essere visto. Gnorezio
 Non è benuto ancora.
 Conforme l’appuntato.
 ISABELLA
1105Sento gente, è Alessandro.
 GISMONDA
 Ho udito alcuno, è Ottavio.
 D. SEMPLICIO
 (Sento verveseà, chisto è zi Aspremo
 Zò, zò.
 ISABELLA
               Zì, zì
 GISMONDA
                           Eh, eh. (sotto voce verso dove sentono calpestio.)
 D. SEMPLICIO
                                           Da doje parte è l’agguaieto
 Non pò esse Zi Aspremo.
1110So’ Femmene, mettimmoce ncampana.
 ISABELLA
 Son qua, Alessandro mio.
 GISMONDA
 Ottavio, siete voi? (sotto voce verso D. Semplicio.)
 D. SEMPLICIO
 (Gua’; songo stato pegliato pe scagno:
 Ma vedimmo chi songo ste cevettole.) (apre, e volge la lanterna verso il cancello dove è Isabella.)
 ISABELLA
1115Accostatevi
 D. SEMPLICIO
                        Potta de mia vita
 Moglierema de notte a lo canciello;
 Oh che male principio! brutto aurio
 È chisto ccane per lo matremmonio! (volge la lanterna in quella parte dov’è Gismonda.)
 GISMONDA
 Passate.
 D. SEMPLICIO
                  Oh potta d’oje: la cantarinola
1120Puro stace a lo mpuosto. Cca sta sera
 Nc’è traseto securo de Mallarde.
 Non me voglio scoprì. (serra di nuovo la lanterna.)
 
 SCENA XI
 
 ALESANDRO, e detti, ognuno in disparte.
 
 ALESSANDRO
 È questa l’ora in cui deve il mio bene
 Venire a consolarmi
1125Secondo mi ha promesso...
 ISABELLA
 Alessandro, che fate?
 Perché non vi accostate?
 D. SEMPLICIO
                                               (Ah brincocella!
 Mme voglio accostà io.)
 ALESSANDRO
 Eccomi vita mia. (mentre D. Semplicio tacito si accosta ad Isabella si accosta ancora Alessandro e D. Semplicio resta nel mezzo, col quale parlano, due, credendo di parlare ciascuno coll’amante.)
 GISMONDA
1130(Non sento alcun che passi, né che chiami,
 Che sarà!)
 ISABELLA
                       Mio Alessandro. (credendo parlare con Alessandro prende per mano D. Semplicio.)
 ALESSANDRO
 Adorata Isabella. (credendo parlare con Isabella prende per mano D. Semplicio.)
 ISABELLA
 Sappi, ch’io più di morte, odio, e abborrisco
 Quella bestia solenne
1135Di Don Semplicio.
 D. SEMPLICIO
                                     (Obbrecato a osseria.) (tra sé sotto voce.)
 ALESSANDRO
 Se qua presente
 Avessi quel birbante
 Lo priverei di vita.
 D. SEMPLICIO
                                     (Marriamao,
 Mo’ voglio ì a dire tutto a Don Aspremo.) (ritira a sé le mani, e cheto cheto si leva da mezzo ai due passando all’altra parte.)
 GISMONDA
1140Sento gente, e non viene
 Alcuno: io son confusa!
 
 SCENA XII
 
 OTTAVIO, e detti.
 
 OTTAVIO
                                             Ecco il momento
 Di privare di vita quell’indegna.
 GISMONDA
 Vo’ di nuovo far cenno.
 Zì zì.
 OTTAVIO
             Eccola.
 GISMONDA
                            Ottavio.
 D. SEMPLICIO
1145(Chia’: chisto è n’autro ntuppo.) (Gismonda chiama sotto voce Ottavio come sopra si accosta, e nel medesimo, tempo si accosta D. Semplicio, e resta in mezzo ed i due credendo parlare fra loro parlano con D. Semplicio.)
 OTTAVIO
 Olà Gismonda
 GISMONDA
                              Sei qui? (credendo prendersi a mano fra di loro prendono D. Semplicio.)
 OTTAVIO
                                                Sei qui?
 D. SEMPLICIO
                                                                  (Oiemmè!)
 GISMONDA
 Dimmi, venuto sei già risoluto
 D’uccidere Gismonda?
 OTTAVIO
 Appunto. Altro non bramo,
1150Che privarla di vita
 GISMONDA
 Ottavio, io ti promisi
 Di farla qui venire: ed è venuta:
 Adunque che più aspetti:
 È costei ch’ora tien presa per mano
1155Gismonda appunto; uccidila. (In ciò sentire Ottavio lascia la mano di D. Semplicio, e scava la spada in atto di ferirla, il quale fugge gridando all’altro lato della scena.)
 OTTAVIO
 Gismonda! ah scelerata, tu sei morta.
 D. SEMPLICIO
 A me? Io non song’essa.
 ALESSANDRO
 Olà chi vuol Gismonda
 Privar di vita, incontrerà la morte
1160Prima da questa spada. (e si volge contro Ottavio che si difende, e si battono all’oscuro.)
 ISABELLA
 Ai lassa! io mi ritiro. (parte.)
 GISMONDA
 Dolente me son morta! (parte.)
 D. SEMPLICIO
 Nesciuno che se mova, ca ve smafero. (in un canto della scena, e di lontano tira colpi all’oscuro.)
 
 SCENA XIII
 
 LISETTA in abito di soldato Moscovito seguito da Birri armati di archibugi, ed i già detti.
 
 LISETTA
 Fermate o siete morti.
 D. SEMPLICIO
                                            Sarva sarva. (va per fuggire, e cade in un canto della scena.)
 LISETTA
1165Nessuno, che si muova.
 OTTAVIO
                                             Mi ritiro
 Per non farmi conoscere. (parte.)
 ALESSANDRO
                                                Anch’io parto. (Alessandro parte, ed intanto i birri a cenni di Lisetta all’oscuro si pongono in varie parti della scena D. Semplicio sentendo il tutto in silenzio si alza pian piano timoroso a tentoni, essendosegli nel cadere smorzato il lume.)
 D. SEMPLICIO
 Che notte è chesta, aiemmè! Che mm’è socciesso!
 Non sento nullo. Auzammoce.
 Tanto è stato lo jaio che mm’è afferrato,
1170Che n’aggio forza, e manco tengo sciato?
 Che faccio? aspetto Aspremo, o me nne vao?
 Ma ch’aggio d’aspettà, si cchiù non voglio
 Sapè de matremmonio? jammoncenne.
 Non voglio pe na femmena
1175Mettere a rrepentaglio lo pelliccio,
 E avere arrasso sia cchiù tremmoliccio. (camina a tentoni, e trova le comparse l’una appresso l’altra, le quali non si muovono, ond’egli fa atti timorosi, e si ritira tremante.)
 Ojemmè! Uh! gua’! e cca nce nne sta n’autro.
 Iammo da st’autra banna: ah! ah! mo’ è troppo.
 Maromè, chi saranno? Tutte jocano
1180A la passera muta, ed io non aggio
 Manc’armo de parlare. (una comparsa li palpa la faccia ed egli trema.)
 Te, te chi mm’accarizza?
 Non vedo nullo: spirete so’ chiste! (li fanno una gran risata in viso, e poi partono i birri, lasciandolo spaventato.)
 Bu, bu, bu, nigro mene! Ogne capillo
1185Piglia la via soja: mme creo, ca ccane
 Nc’è tutta casa cauda:
 Mme pare de vedere
 Gatte, cane, cornacchie, e sportegliune,
 E nfra l’autre na brutta coccovaja
1190Volarme attuorno, e fareme la baja.
 Llà carreare tavole
 Veo lo mammone co ciento diavole;
 E pe ll’aria le streghe a ciento a ciento
 A la noce volà de Beneviento.
 
1195   Chiù non veo... già so’ cecato...
 Uh che triemmolo mm’afferra!
 Stongo ncielo... o stongo nterra?
 Stongo a mmare, o addove sto?
 Che resorvo! che farraggio!
1200Resto... vao... gnorsì... gnorno!
 Ah! chi sa, si scapparaggio
 Da... sta... brutta... oscu... ri... tà!
    Sorte rea, tiranno fato,
 Se non piangi a chianti miei,
1205Per me sei troppo spietato,
 Questa è troppa canità!
 
 SCENA XIV
 
 LISETTA seguita da birri.
 
 LISETTA
 Già se nn’è ghiuto, no lo secotate!
 Al nemico che fugge il Ponte d’oro
 Dice lo mutto; attiempo
1210Simmo venute a spartere ss’aggrisso:
 Caporale io mo’ a chisso
 Canciello traso, pe ghire a trovare
 La sia Sabella, ca pe causa soja
 Me so’ accossì bestuta:
1215Deciteme lo vero
 Non paro afficiale mo’ venuto
 Da Moscovia? Sacciateme servire,
 Ca io ve saparraggio recanoscere:
 Vuje mettiteve nnanze a sto Canciello,
1220Né facite trasirence nesciuno
 Pe nzi’ che non vengo io. (entra nel cancello avanti al quale si pongono i birri.)
 
 SCENA XV
 
 D. SEMPLICIO, e D. ASPREMO con Lanterne chiuse, e Sbirri in guardia al Cancello.
 
 D. SEMPLICIO
 Tutto chesto è socciesso?
 D. ASPREMO
 Che mme cunte?
 D. SEMPLICIO
                                  Sta notte
 Me vego vivo, e no lo credo: ncuollo
1225Aggio avuto mo’ nnaute
 Doje milia spate, e ciento milia spirete.
 D. ASPREMO
 Ora vi’ che ddesgrazia!
 D. SEMPLICIO
 E tutto pell’ammore de Nepoteta:
 Si vuo’ sapè lo vero,
1230Na Femmena ch’ha tanta mpise attuorno,
 Non fa pe mme.
 D. ASPREMO
                                 Mo trasimmo a la Casa.
 E boglio esammenarela
 Comme vace sto mbruoglio.
 D. SEMPLICIO
 Io venì non ce voglio.
 D. ASPREMO
1235E biene appriesso a mme, ca mo’ vedimmo
 Si è pporvera, o farina.
 D. SEMPLICIO
 Vengo: lo Cielo mme la manna bona
 Co sta mogliere. (D. Aspremo si avvia verso il Cancello, e sentendo gente apre la lanterna, e vede i birri.)
 D. ASPREMO
                                  Ma cca sento gente
 Vedimmo... Ojemmè...
 D. SEMPLICIO
                                             Ch’è stato?
 D. ASPREMO
                                                                    Don Sempricio
1240Accostate, vi’ llà.
 D. SEMPLICIO
                                 Vedimmo ...ah ...ah... Parente:
 Schiavo d’oscia non voglio cchiù nzorareme. (Apre la lanterna, e volendosi accostare al cancello, vede i birri, ed intimorito si ritira tremando.)
 D. ASPREMO
 Non te partì: sacciammo
 Che d’è sta mmenzione.
 D. SEMPLICIO
                                               E che bo’ essere?
 La casa toja è fatta no Castiello
1245Lo nnemmico sta dinto. Ed a la porta
 Nce ave lassato lo cuorpo de guardia
 D. ASPREMO
 Uh sbregognate nuje.
 D. SEMPLICIO
 Bella mogliere!
 D. ASPREMO
                               Spiammo a lo mmanco.
 D. SEMPLICIO
 Spiammo comme vuoje.
 D. ASPREMO
                                               Ma chia’: chi vene?
 D. SEMPLICIO
1250Cancaro è no frostiero sparteggiacco,
 E no creato sujo lo va servenno
 Co na ntorcia allummata.
 Chisto è lo cammarata,
 Che ncoppa a lo Portone
1255Nc’è benuto a fornì lo cornicione.
 
 SCENA ULTIMA.
 
 LISETTA da Soldato Moscovito come sopra preceduto da un Lacchè con torcia accesa, che ritorna per il Cancello, ed i già detti.
 
 LISETTA
 
 Largo largo al Capitan,
    Che col senno, e colla man
 In Moscovia militò.
 Il terror di tutto il mondo,
1260Che col guardo furibondo
 Cento un giorno ne ammazzò:
 Una sera stranutando
 Mille Turchi bestemmiando
 Fe’ cadersi morti al piè.
1265   Con il fiato, con il fisco
 Quasi nuovo basilisco
 Pien di rabia, e di furore,
 Spiro morte, porto orrore;
 Avveleno questo, e quello.
1270Ah! lo piango il miserello,
 Che compare avanti a me.
 
 D. SEMPLICIO
 Lo siente! Schiavo Gnorezio. (vuol partire intimorito, e D. Aspremo la trattiene.)
 D. ASPREMO
                                                       Va chiano
 Nformammoce.
 LISETTA
                                Chi è là!
 D. ASPREMO
                                                  Amici.
 D. SEMPLICIO
                                                                 Amici.
 LISETTA
 Che amici? Dite olà chi son costoro? (a i birri i quali accennano, che voleano entrare in casa.)
1275Voleano entrare in Casa? Oh cospettone!
 Cospettaccio! Cospettonaccio! Accio!
 D. SEMPLICIO
 Quann’acce! Siente lloco.
 D. ASPREMO
 Ojemmè.
 LISETTA
                     E chi son questi
 Sgraziati, temerarj, pezzi d’asini,
1280Che voleano entrar?
 D. SEMPLICIO
                                        E stanto isso
 Llostrissemo.
 LISETTA
                            Tu...
 D. ASPREMO
                                       Io...
 LISETTA
 Tu che? Parla, rispondi.
 D. ASPREMO
 Lassateme piglià no po’ de sciato
 Llostrissemo.
 LISETTA
                            Chi sei?
1285Parla.
 D. ASPREMO
              So’ lo Patrone de sta Casa.
 LISETTA
 Che Padron, che Padrone?
 Il Padrone son’io.
 D. ASPREMO
 Ma io...
 LISETTA
                 Non più repliche.
 Dite ch’io son Padrone
1290Di questa Casa, o qui vi ammazzo. (in atto di sguainare la Spada.)
 D. SEMPLICIO
                                                                 Sine.
 Patrone, e mmiezo.
 D. ASPREMO
                                      Anze Patronissemo.
 LISETTA
 E ben, parla, chi sei? (a D. Aspremo)
 D. ASPREMO
                                         Songo lo Zio
 De Sabella.
 LISETTA
                        Tu sei quel mariuolo.
 D. ASPREMO
 Io song’ommo onorato.
 LISETTA
1295Tu sei ladro, arciladro
 Confessalo, o ti uccido. (in atto di sguainare come sopra.)
 D. ASPREMO
 Arcelatro gnorsine;
 Comme volite vuje.
 LISETTA
                                       E tu chi sei? (a D. Semplicio.)
 D. SEMPLICIO
 Io so’ Don Sempreciuccio.
 D. ASPREMO
1300Lo sposo de Sabella.
 LISETTA
 Che sposo? quale sposo? come sposo?
 D. SEMPLICIO
 Gno’ no, non so’ lo sposo.
 LISETTA
 Vadi via questo sposo.
 D. SEMPLICIO
                                           Vadi via. (vuol partire.)
 LISETTA
 Ferma olà.
 D. SEMPLICIO
                       So’ fremmato (vi’ che ghioja!)
 LISETTA
1305Sei sposo più? Oibò
 D. SEMPLICIO
                                       Oibò tre bote.
 LISETTA
 E chi sei?
 D. SEMPLICIO
                     Songo chi volite vuje.
 LISETTA
 Sai chi sei tu? Una bestia.
 D. SEMPLICIO
 Chesso mo’ no. Gnorsì bestia coll’icchese. (vedendo che Lisetta vuol sguainare la spada.)
 LISETTA
 Mi conoscete?
 D. ASPREMO
                             Segnornò, llustrissimo.
 LISETTA
1310Non mi conosci? ah infame (a D. Aspremo.)
 Tu mi conoscerai? (a D. Semplicio.)
 D. SEMPLICIO
                                    Cierto.
 LISETTA
                                                   E chi sono?
 D. SEMPLICIO
 Lo spartematremmonio.
 LISETTA
 Taci.
 D. SEMPLICIO
             Taci gnorsine.
 LISETTA
 Voglio dirvi chi sono:
1315Vedeste il lampo, or ascoltate il tuono.
 
 Nel mio volto olà guardate
 Prima un poco, e cominciate
 Piano, piano poi a tremar.
 
 D. ASPREMO
 
 Senza oscia, che mm’ammenaccia,
1320Mone ch’io ve guardo nfaccia
 M’accommenzo ad allordà.
 
 D. SEMPLICIO
 
 Li capille io tutte arriccio,
 Mamma mia, che tremmoliccio
 So’ agghiajato vide cca.
 
 LISETTA
 
1325Son... cavate quel cappello.
 
 D. ASPREMO
 
 Ecco fatto. (si cavano il cappello.)
 
 D. SEMPLICIO
 
                       Ed io porzì.
 
 LISETTA
 
 Sono il prode, il valoroso
 Capitan vittorioso...
 Date olà tre passi indietro,
1330E poi fate riverenza. (si fanno tre passi indietro e fanno una profonda riverenza mentre Lisetta dice:)
 
 D. ASPREMO
 
 Ecco subeto llostrissemo
 
 D. SEMPLICIO
 
 Fo un inchino profonnissimo.
 
 LISETTA
 
 Son Orlando Guastaferri
 D’Isabella il gran Germano,
1335Che riduco in pezzi, e a brano
 Volgo in aura, in fumo in vento,
 Inabisso, squarto, e anniento
 Quel poltron disgraziato,
 Che con me vuol contrastar.
 
 D. ASPREMO
 
1340(Chisto cca è resuscitato;
 Ma s’è bivo sto demmonio,
 Don Sempri’ del matrimonio
 N’è cchiù ccosa de parlà.)
 
 D. SEMPLICIO
 
 (Gnorezì, giaché Sabella
1345De sto cancaro è sorella
 Io non voglio pe pensiero
 Cchiù sentirla nommenà.)
 
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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