Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 La Gismonda, Napoli, Domenico Langiano, 1750
 a cura di Marina Cotrufo
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO III
 
 SCENA I
 
 GISMONDA, ALESSANDRO, e LISETTA travestita da Soldato.
 
 LISETTA
 Sia Gismo’, giacché avite
 Spalesecate a mmene li guaje vuoste,
1350E dittome chi site: è necessario,
 P’arrevare a sso zuoppo, e fa capace
 Lo sposo vuosto, dico lo si Attavio,
 Fa lo travestemiento,
 Che v’aggio conzertato.
 GISMONDA
1355Mi piace: appiglierommi al tuo consiglio.
 Ed ho gli abiti appunto
 Per vestirmi da maschio
 Fatti al mio dosso, e che con meco io porto
 Per qualunque occorrenza.
 LISETTA
                                                   La galessa
1360È llesta, e mmiezo miglio
 Da cca distante ve stace aspettanno.
 GISMONDA
 Dirò ch’io sono l’Impresario istesso,
 Che vengo ad incontrar la Virtuosa,
 Che per Palermo aspettasi.
 ALESSANDRO
1365Ed io farò il di più.
 GISMONDA
                                      Tutto sta inteso.
 LISETTA
 Jate a bestirve priesto
 Ca non c’è tiempo.
 GISMONDA
                                     Vado. Amor pietoso.
 Tu rendi a mali miei pace, e riposo. (parte.)
 
 SCENA II
 
 ALESSANDRO, LISETTA, e poi D. ASPREMO con chiave in mano, ed ISABELLA, che lo segue per il cancello.
 
 ALESSANDRO
 Quanto ti siam tenuti
1370Cara Lisetta.
 LISETTA
                           Zitto.
 Veneno contrastanno
 Sabella, e D. Aspremo, reterammoce,
 E stamm’a ausolià. (si ritirano in disparte, ed osservano.)
 D. ASPREMO
 Io dico all’osseria, sia capo a biento,
1375Che non te parte da llà dinto nchiusa.
 ISABELLA
 Vi replico, che voglio
 Far quanto dice il mio fratello Orlando.
 D. ASPREMO
 Chisso fratiello Arlanno
 S’ha da sapè chi è: mo’ era muorto,
1380Cossì tutte le lettere
 Venute da Moscovia hanno portato,
 E mo’ è resuscetato!
 ISABELLA
 Io so ch’egli è venuto, e ha reso false
 Tutte le nuove, che della sua morte
1385Furono apportatrici.
 D. ASPREMO
 Sso cunto n’autra vota mme lo ddice:
 Chessa è mbroglia sfacciata,
 E dde tene mme faccio maraveglia
 Che ddaje mano a sse trapole
1390Pe ddespietto de Zieto.
 ISABELLA
 Che trapole? che dite?
 Ma sia come si voglia
 Vivo, o morto, che fusse il mio Germano;
 Io non darò la mano
1395A quello sciocco, che volete darmi
 Contro mio genio.
 D. ASPREMO
                                    E mme? cossì obedisce
 A zieto presentosa?
 ISABELLA
 Perdonatemi, ch’io
 In questo vo’ seguire il voler mio.
 
1400   L’augello alla campagna
 Vola da pianta in pianta,
 Lieto festeggia, e canta,
 Perché sta in libertà.
    Ma se vien chiuso in gabbia,
1405Il misero per rabbia
 Non canta, ma si lagna,
 Perché ristretto sta. (Finita l’aria Isabella entra per il cancello, e D. Aspremo subito lo serra ponendosi la chiava in tasca.)
 
 SCENA III
 
 D. ASPREMO, e LISETTA, ed ALESSANDRO che osserva.
 
 D. ASPREMO
 Statte nzerrata lloco, e ppo vedimmo
 S’aje da fa nzò che boglio. A Don Sempricio
1410Tu t’aje da ngaudiare anche te pesa:
 E si vago appuranno quacche cosa
 De sto fratiello fauzo,
 Cchiù dde na casa voglio arrojenare.
 Potta dennico! a mmene sse zannate!
1415A sonature fare matenate! (parte.)
 ALESSANDRO
 Udisti?
 LISETTA
                 Aggio sentuto.
 ALESSANDRO
 Or disperato io son.
 LISETTA
                                       N’avè appaura:
 Sempe ch’avite Sabella co buje,
 Lo puorco è buosto.
 ALESSANDRO
                                      È vero, ch’Isabella
1420Come dimostra, m’ama;
 Ma che pro, s’è rinchiusa? e per mio danno,
 Maggiore, m’è vietato anco il parlarci.
 LISETTA
 Sta zitto, ca mme va pe lo cerviello
 Na cosa: reterateve llà dinto.
1425Da là state a bedè le fenziune
 Ch’io faccio cca: ntennite a sisco. Io voglio
 Arrobbare la chiave a chillo viecchio,
 Si mme riesce, fare ascì Sabella
 Da chesta casa, e fareve
1430Nguadiare, pocc’essa autro non vole,
 Comme m’ha ditto.
 ALESSANDRO
                                       Difficile impresa
 Parmi, Lisetta. Il vecchio è molto accorto
 Come di tasca li torrai la chiave
 Senza che se n’avvegga?
 LISETTA
1435Vuje state poco ntiso
 De li juoche de mano;
 Che sape fa Lisetta. Reterateve,
 Non ce pensate: vasta che sapite
 Ca Don Sempricio affatto
1440Non s’ave da peglià la sia Sabella.
 ALESSANDRO
 Cara, con tali accenti
 All’anima smarrita
 In questo punto dai ristoro, e vita.
 
    Ancorché il Nocchiero
1445Si vede vicina
 La fiera procella,
 Che l’agita, e preme:
 Infin che lo guida
 La fida sua stella,
1450Non perde la speme,
 Timore non ha.
    Ancorché il sentiero
 Smarrisca l’agnella:
 Se ascolta il Pastore,
1455Che lungi l’appella,
 Più lieta camina
 Sicura sen va.
 
 SCENA IV
 
 LISETTA, e poi D. ASPREMO, e D. SEMPLICIO: finalmente ALESSANDRO, ed ISABELLA.
 
 LISETTA
 Via dammoce da fare: e beccotille.
 D. ASPREMO
 Io voglio, che mmo’ ngaudie.
1460Sabella stace nchiusa: agg’io la chiave.
 D. SEMPLICIO
 Io ngaudio: ma si torna lo fratiello?
 D. ASPREMO
 Che fratiello, io già dubeto,
 Che sia quacche mpostore.
 D. SEMPLICIO
 E io dubeto zi Aspre’, ca nce abbuscammo
1465Tutte duje.
 D. ASPREMO
                        Si ca stammo into a qua bosco!
 Viene a toccare la mano a la Zita.
 D. SEMPLICIO
 Vengo gnorsì co le stentine mbraccia
 Uh... uh... zi Aspre’. (si accorge di Lisetta.)
 D. ASPREMO
                                        Che nc’è?
 D. SEMPLICIO
                                                            Vi llà l’ammico.
 D. ASPREMO
 È bero sa.
 D. SEMPLICIO
                      Vi’ comme nce ammenaccia.
1470Schiavo zi Aspre’.
 D. ASPREMO
                                   N’avè filo: fatt’armo.
 Io stongo cca. (lo dirà pauroso.)
 D. SEMPLICIO
                             Tu si’ cacato sotta
 Cchiù ppeo de me. Nce chiamma!
 D. ASPREMO
 Jammoncenne.
 D. SEMPLICIO
                               Sì jammoncenne... ajemmè! (nel voler partire Lisetta si sporga: D. Semplicio si volge a guardarla: Lisetta accenna, che se partono egli l’ammazza.)
 Aje ntiso: si partimmo
1475Nce nfila de dereto a tutte duje.
 D. ASPREMO
 Io non me movo.
 D. SEMPLICIO
                                  Io cca so’ fravecato.
 LISETTA
 Cos’è? voi mi vedete.
 E volete partir? Perché tremate?
 D. SEMPLICIO
 Chi tremma? ajebò: parla zi Aspre’.
 D. ASPREMO
                                                                   Vedite
1480Comme ca nuje sapimmo
 Ch’Orlanno è muorto...
 LISETTA
                                             Io morto?
 D. SEMPLICIO
 Non segnore: isso l’ha dditto.
 LISETTA
 È vero, che nell’ultima battaglia
 De’ Moscoviti, e Turchi, io dopo avere
1485Uccisi, sbaragliati,
 Sminuzolati quanti
 Turchi, Arabi, e Giannizzeri
 Si paravano avanti alla mia spada.
 D. SEMPLICIO
 (A lo chiano dell’ogna.)
 D. ASPREMO
1490(Ogne boscia na mola.)
 LISETTA
                                             Finalmente
 Così com’era, apertami la strada
 Tra montagne d’estinti, entro d’un bosco
 Mi ricovrai.
 D. SEMPLICIO
                         Buono, ca li lupe
 Non t’abbistajeno.
 LISETTA
                                     E che timore aveva
1495Io de le belve! Anzi avendo incontrate
 Sulla matina un ben grosso Leone,
 Mi disciolsi la cinta della vesta,
 E imbrigliata la bestia,
 Sopra quella montato,
1500Giunsi a Costantinopol per le poste.
 D. ASPREMO
 (Chesta sì, ch’è majuscola.)
 D. SEMPLICIO
 Bella cosa a bedere no Leone
 Addeventato Ciuccio.
 LISETTA
 Ivi del mio Leon feci un regalo
1505A una Sultana mia comare.
 D. SEMPLICIO
                                                    Penso
 Ca lo portava into a lo manechitto,
 Comm’a no cagnolino de Bologna.
 D. ASPREMO
 Comme v’era Commare
 Sta Sordana?
 LISETTA
                            Dirò:
1510Di cotesta Sultana era invaghito
 Il Capo de Giannizzari,
 E il Gran Signor volea darla per moglie
 Al suo Muftì: il capo de’ Giannizzari,
 Ch’io già conobbi al campo Moscovito,
1515A me si raccomanda:
 L’impegno accetto: ne parlo al Sultano:
 Superbo niego: offeso, io lo minaccio
 Rubargli la Sultana dal Serraglio:
 Ei con sua man la serra, e in propria tasca
1520Si conserva la chiave;
 Indi risolve gastigarmi. Inteso
 Io ciò l’incontro un giorno,
 Mentre che a spasso andava col Muftì,
 Disfido tutti due, egli, e il Muftì;
1525E allora, che vedesti!
 D. ASPREMO
 (Siente quanta n’attonna!)
 D. SEMPLICIO
 (È lo cunto dell’Uorco.)
 LISETTA
                                             Figuratevi
 Che tu fussi il Sultano, e avessi in tasca
 La chiave del Serraglio, (a D. Aspremo.)
1530E tu sei lo sciocco del Muftì, (a D. Semplicio.)
 Che stai al di lui lato:
 Io con la spada in mano
 Vi assalisco di punta.
 Voi con le scimitarre
1535Minacciate alla testa.
 Io riparo i due tagli in tal maniera:
 Poi entro, e accenno darvi
 Una stoccata in viso: intimoriti
 Voi rinculate. Io subito v’incalzo.
1540Sono addosso al Sultano: e in questo modo
 Tolgo la chiave dalla tasca, e in mano
 Al Capo de Giannizzari, che osserva
 La consegno; costui
 Apre il serraglio, ed entra. (Lisetta avendo fatto le azioni accennate toglie nascostamente la chiave di tasca a D. Aspremo, e la consegna ad Alessandro, che nel medesimo punto esce non veduto da D. Aspremo, e da D. Semplicio apre il cancello ed entra.)
 D. ASPREMO
1545Che Sordano animale!
 D. SEMPLICIO
 Che Muftì nzemprecone!
 D. ASPREMO
 (Ma è pallone cierto.)
 D. SEMPLICIO
                                          (Pallonissemo.)
 LISETTA
 Sentite adesso il meglio.
 D. SEMPLICIO
 Sentimmo.
 D. ASPREMO
                        (Vi’ che freoma!)
 LISETTA
1550Vedendoli avviliti:
 Guadagnai d’ambedue
 Le scimitarre, e volsi, che per segno
 Di mia vittoria, avessero
 Avanti a me fatto un profondo inchino,
1555Così: Salamelec. (prende ambedue per la testa, e li fa inchinare profondamente.)
 D. ASPREMO - D. SEMPLICIO
                                  Salamelec.
 LISETTA
 E così stando: il capo de Giannizzari (qui sulla soglia del cancello compariscono Alessandro, ed Isabella senza esser veduti da D. Aspremo, e da D. Semplicio per ritrovarsi coi capi calati. Alessandro serra il cancello, restituisce la chiave da dietro a Lisetta, e parte con Isabella cheto cheto, Lisetta ripone la chiave in tasca a D. Aspremo senza ch’ei se ne avvegga.)
 Colla Sultana a mano
 Fuggiro dal serraglio, e lo serrarono,
 Mi diedero la chiave, io la riposi
1560Di nuovo nella tasca del Sultano,
 Ed ei non se n’avvide.
 D. ASPREMO
 Oh che ciuccio! oh che ciuccio!
 D. SEMPLICIO
                                                          Oh ch’animale!
 Oh ch’animale!
 LISETTA
                               Il Granturco, e il Muftì
 Per liberarsi dovettero cedere
1565La Sultana a colui,
 Si fece il matrimonio, ed io fui
 Il Compare. In viaggio
 Mi misi, e venni in Napoli. Ora dite
 Son morto, o vivo?
 D. ASPREMO
                                     Vivo.
 D. SEMPLICIO
                                                 E chiù che bivo
1570(Mannaggia ll’ora ca si’ bivo.)
 LISETTA
                                                        Orsù
 Per farvi ora vedere, ch’io sebbene
 Potrei dar mia sorella
 In moglie a un Marcesciallo, o a un Generale,
 Pur mi contento darla
1575A voi, giacchè promessa (a D. Semplicio.)
 Vi fu dal Zio: adesso
 Vo’ che sposate.
 D. SEMPLICIO
                                Buono.
 D. ASPREMO
 Che singhe beneditto.
 Mo’ si’ nepote mio. La chiammo?
 LISETTA
                                                               Chiamala. (va D. Aspremo ed apre il cancello entrando per chiamare Isabella.)
 D. SEMPLICIO
1580Oh ch’all’utemo puro
 S’è spicciato sto nguadio!
 Ll’ossoria mm’è chianato
 È bero?
 LISETTA
                  Certo.
 D. ASPREMO
                                Uh malora quernuta! (torna D. Aspremo.)
 Sabella non ce sta! Se nn’è fojuta.
 D. SEMPLICIO
1585Moglierema fojuta!
 Noll’aggio ditto io
 Ca primmo de sposare, io nce passava
 Qua pericolo.
 LISETTA
                            Come!
 Mia sorella fugita! ah traditori
1590Da voi ne voglio conto, o qui v’ammazzo. (cava la spada per ferirli, e i due s’intimoriscono.)
 D. SEMPLICIO
 Non saccio niente.
 D. ASPREMO
                                    Chia’, che faje? si’ ppazzo.
 LISETTA
 
 Scelerati, da voi voglio
 La Germana adesso adesso;
 Altrimenti do in eccesso
1595Mille buchi in sen vi fo.
 
 D. SEMPLICIO
 
 Patron mio, Gnorezio,
 A la casa l’ha serrata,
 E la chiave s’ha stipata.
 Addo’ è ghiuta po non so.
 
 D. ASPREMO
 
1600Cca è la chiave, llà è la casa.
 Oscia vada, esca, e trasa.
 Si la truove, pigliatella,
 Chesto è quanto fa se pò.
 
 LISETTA
 
 Venga qui la mia sorella
1605E più repliche non vo’. (finge dare.)
 
 D. SEMPLICIO - D. ASPREMO
 
 Ah non dare pe pietà.
 
 LISETTA
 
 (Comme tremmano li locche!
 Belli smocche mmeretà.)
 
 D. ASPREMO
 
 (Vi’ che mbruoglio mmalorato
1610Io non saggio che mme fa!)
 
 D. SEMPLICIO
 
 (Si nne scappo io sbentorato
 No mme voglio cchiù nzorà.) (parte Lisetta.)
 
 SCENA V
 
 D. ASPREMO, e D. SEMPLICIO, che ritornano subito.
 
 D. ASPREMO
 Viene cca, viene cca: già se nn’è ghiuto.
 D. SEMPLICIO
 Gnorezì va scioglienno.
1615Io no nne voglio fare niente cchiune
 De chisto matremmoneo.
 D. ASPREMO
 Chesta è mbroglia sfacciata. Io saccio cierto
 Ca neputemo è muorto
 A Moscovia a la guerra ha cchiù dde n’anno;
1620Neputemo fratiello de Sabella
 È no birbante, mariuolo. Io voglio
 Mo’ fa scoprì sta machena,
 E farel’esse mpiso.
 D. SEMPLICIO
                                     E de che muodo?
 D. ASPREMO
 Tu la puo’ fa scoprire: aggio penzato
1625Travestirte co baffe,
 E co no peruccone, comme fusse
 No ciarlatano juto veaggianno
 Pe cchesse Armate: aje da venì cca mmiezo
 Co no Castiello de Pupazze, ch’io
1630Mo’ farraggio venire
 D’Averza ccane addo’ saccio ca stanno:
 Aje da vennere Bauzamo,
 Azzoè n’ voglio fritto,
 E dire mille stroppole, che ddicono
1635Ssi’ mposture, e nfra ll’autro
 All’utemo aje da dire,
 Ca si’ stato a Moscovia, e ch’aje veduto
 Muorto st’Arlanno Gustaferri.
 D. SEMPLICIO
                                                         Addonca
 Aggio da fa na testemmonia fauza?
 D. ASPREMO
1640Anze è la veretà: te fide fare
 Sto ciarlatano?
 D. SEMPLICIO
                              Mme fido securo,
 Ca le senteva a Napole
 Quanno stea a studiare
 Quase ogne ghiurno e a mmente
1645Mm’aggio mparate le boscie lloro:
 Ma zi Aspre’ m’appauro
 Ca nce passammo guaje.
 D. ASPREMO
                                                Non avè filo
 Fa nzò che dico: io stongo cca pe ttene.
 D. SEMPLICIO
 E ghiammo priesto.
 D. ASPREMO
                                       Abbiate a la casa
1650Ca llà mo’ vengo pe te travestire. (parte.)
 D. SEMPLICIO
 Io vao. Lo Cielo nce la manna bona.
 
 SCENA VI
 
 OTTAVIO, e D. ASPREMO.
 
 OTTAVIO
 Più veduta non ho Giustina, ai lasso!
 Ed io nel sen per lei
 Sento cotanto ardore,
1655Che mi sento morir: credo che m’odia;
 Perché son sposo di Gismonda, e il Fato
 Costei mi cela, perché di mia mano
 Non la trafigga, e libero mi renda
 Dall’abborrita donna.
 D. ASPREMO
1660Attavio, nce so’ guaje.
 OTTAVIO
 Padre, che fu?
 D. ASPREMO
                             Sabella non se trova.
 OTTAVIO
 Ma sento ch’è venuto il suo Germano.
 D. ASPREMO
 Cossì se dice
 OTTAVIO
                           Adunque egli di lei
 Abbi pensier: sapete,
1665Ch’aver cura di donne, è gran pazzia.
 Ma qual calesso arriva?
 D. ASPREMO
                                             È no Milordo,
 Ed è sciso. A Mezzotta
 Se fermarrà.
 OTTAVIO
                           Che nobile sembiante!
 
 SCENA VII
 
 GISMONDA vestita da Uomo nobilmente da viaggio seguita da due Volanti, e detti.
 
 GISMONDA
 
    Sono impresario
1670Di poche chiacchiare,
 Non sono cattera,
 Qualche ridicolo,
 Sebben lunatico,
 Pur son flemmatico
1675Tutto pazienza,
 Tutto prudenza.
    Ma se m’infurio,
 Ma se m’invipero,
 Se monto in rabbia,
1680Gridi, e disordini,
 Rumori, e strepiti,
 Liti, e discordie
 Saranno qui.
 
 D. ASPREMO
 Bonora, e ch’arrancata!
 GISMONDA
1685Domandate colà, se vi son giunti
 Calessi di Ferrara, e che portato
 Abbino alcuna Virtuosa. (ad un volante, il quale entra nell’osteria.)
 D. ASPREMO
                                                Vene
 Pe cchella cantarinola mme credo;
 Si a Napole se sa, ca stace chesta
1690A Mezzotta, sa quanta Milordielle
 Oje vide ccane co le ggalesselle!
 OTTAVIO
 (Costui venuto è ad incontrar Giustina
 O gelosia! Si chieda.)
 GISMONDA
 (È qui il crudele.)
 OTTAVIO
                                    Signor mio.
 GISMONDA
                                                            Suo servo.
 D. ASPREMO
1695La riverisco
 GISMONDA
                         Addio.
 OTTAVIO
                                        La Virtuosa,
 Che chiedete, da jeri
 È qui giunta.
 GISMONDA
                           Che sento! E perché mai
 Qui si trattenne? oh cattarina! Io conto
 Gl’istanti del suo arrivo, perché devo
1700A Palermo portarla. Trattenuto
 Mi sono apposta in Napoli.
 Tanta premura avevo di costei.
 OTTAVIO
 Di grazia, chi è mai lei?
 GISMONDA
                                              Son l’impresario
 Venuto da Sicilia
1705In Napoli a compir la compagnia
 Per quel Teatro, ed aspettar Giustina,
 Ch’è la mia prima donna, e viene attesa
 Da quel pubblico assai,
 Per essere novella.
 D. ASPREMO
1710(Bonora, e che favella!
 So’ tutte chiacchiarune sti mpressarie.)
 GISMONDA
 Sicché mi meraviglio, che Giustina
 Senza badare al punto, e all’interesse
 Di me, di se qui si trattiene; oh cattera!
1715Mi sentirà.
 D. ASPREMO
                        Securo ha fatto male;
 Meglio era si da jere
 Zeffonnava da cca: ca da che benne
 Cca nce ha cacato ciaula; addo’ arriva
 Na Cantarina, arriva lo zeffunno,
1720La pesta, lo sconquasso.
 OTTAVIO
 (Si tenti se per mezzo d’interesse
 S’inducesse costui
 A sciogliere il contratto di Giustina.)
 GISMONDA
 Mi sentirà: so bene il fatto mio.
1725Son Impresario cattera
 Da più anni. Collei protestarommi
 Di tutti danni, spese, ed interessi.
 D. ASPREMO
 (Comme fa tacche tacche: e bi’ si sputa.)
 OTTAVIO
 Il suo nome, s’è lecito?
 GISMONDA
                                            Mi chiamo
1730Don Ceccobimbo Ciarletta al diloro
 Servigio dedicato
 Mai sempre.
 OTTAVIO
                           Oh mio Signore.
 D. ASPREMO
 Vo’ pazzià lo si Don Ciccobimbo!
 Orsù ve songo schiavo (voglio ire
1735A fa chillo servizio
 Che consertato aggio co Don Sempricio.) (parte.)
 
 SCENA VIII
 
 ALESSANDRO col volante di Gismonda, che finge l’Impresario, come sopra, ed i già detti.
 
 ALESSANDRO
 Dov’è il Signor Don Ciccombimbo? È questi?
 O mio Padron.
 GISMONDA
                              Oh caro! Ma chi è lei?
 ALESSANDRO
 Sono il Fratello della Virtuosa.
 GISMONDA
1740Addio. La Virtuosa
 Dov’è? Perché non viene
 Incontro all’Impresario?
 Sa ch’è qui l’Impresario?
 Sa ch’io son l’Impresario?
1745Sa come de’ trattarsi l’Impresario?
 ALESSANDRO
 Signor Don Ciccobimbo
 Non s’alteri di grazia: la sorella
 Non avrebbe mancato
 Di fare i convenevoli con lei,
1750Se un accidente strano
 Non l’avesse impedita
 Di qui venir.
 GISMONDA
                           Qual accidente?
 ALESSANDRO
                                                          Trovasi
 Languente in letto, e quasi presso a morte,
 E non senza sospetto di veleno.
 GISMONDA
1755O cattera, che sento!
 Avvelenata la mia prima donna!
 E chi mai fece enormità sì grande?
 OTTAVIO
 (Che ascolto!)
 ALESSANDRO
                             Si sospetta,
 Che fusse quel Signor. (addita Ottavio.)
 OTTAVIO
                                            Io?
 GISMONDA
                                                     Come?
 ALESSANDRO
                                                                     Certo
1760Ei l’ha dato il veleno
 Senza dubio, o Signor; se vi è giustizia
 In queste parti, vendicar farete
 L’innocente sorella.
 GISMONDA
 Voi quest’eccesso? ah indegno!
 OTTAVIO
1765Io? Ne mente chi ’l dice.
 ALESSANDRO
 Ella stessa lo dice.
 Ell’è Gismonda appunto,
 Che voi tanto odiaste; e per vendetta
 L’avete spinta a morte.
 OTTAVIO
1770Giustina dunque era Gismonda?
 ALESSANDRO
                                                              Appunto.
 Ma vadi ad ajutarsi l’infelice
 Prima che mora: e poi
 Si pensi a gastigar quell’empio sposo. (parte.)
 GISMONDA
 Questo dunque si fa? dare il veleno
1775Ad una sventurata! E perché mai?
 OTTAVIO
 Ti giuro, amico, ch’io giammai pensai
 A tanto eccesso, non che diedi mano
 A misfatto sì enorme,
 E se sdegnai la povera Gismonda,
1780Amai Giustina di sì forte amore,
 Ch’essendo omai Giustina
 Gismonda istessa, amo Gismonda ancora.
 Sì, sì, prima che mora
 La mia diletta, a lei
1785Sian noti gl’innocenti affetti miei.
 
    O renderò placato
 L’Idolo del mio core:
 O a piè del bene amato
 La vita io lascerò.
1790   Tu a lei l’alma smarrita
 Rendi, pietoso amore:
 O ch’ella rest’in vita,
 O afflitto io morirò.
 
 SCENA IX
 
 GISMONDA.
 
 GISMONDA
 Tutto va bene Io ti ringrazio, Amore,
1795Se per te lieto fine ave ottenuto
 La pensata accortezza. Il caro sposo
 Ha deposto il suo sdegno;
 Tanto in donna può ardire, arte, ed ingegno.
 
    Placido omai rimbomba
1800Entro il mio petto amore,
 Né s’ode irata tromba
 Di sdegno risonar.
    Del fato dispietato
 Non soffro più il rigore,
1805Ed il martir passato
 Già sento in me scemar.
 
 SCENA X
 
 D. ASPREMO parlando con facchini, alcuni de’ quali portano una gran panca con baule, e boffetta, privilegj, ed altri ordegni da Cantimbanco, altri drizzano un Castello di legno, o sia Teatrino dove si dovrà rappresentare il Pantomimo da i Pupi di legno maneggiati da persone di dentro maestrevolmente con i fili.
 
 D. ASPREMO
 Chiantate sso Castiello, e chessa Banca
 Nfaccia a chesta Taverna, e co ssi Pupe
 Facite abballe, commedie, e farzate,
1810Ch’io pago tutto. La cosa va bona
 Nzi’ a mo’ Don Sempreciuccio sta vestuto
 De manera, che manco è canosciuto
 Da chella, che l’ha fatto.
 Io saccio ca dirrà ciento sproposete;
1815Ma quanta cchiù sproposete
 Dice, cchiù parerrà no Ciarlatano:
 Ca nne diceno a tommola
 Ssi chiacchiarune. oh te: da la taverna
 Esce la tavernara: reterammoce
1820Ca quanno è tiempo ascimmo.
 
 SCENA XI
 
 LISETTA, e poi OTTAVIO, GISMONDA, ALESSANDRO, ed ISABELLA.
 
 LISETTA
 Mo’ che la sia Sabella
 Già s’ave ngaudiato
 Lo si Alisandro, io m’aggio
 Tornata a rivestireme
1825Li panne miei. Mo’ è tiempo de spiegareme
 Co chillo nzemprecone
 E bedè de ncapparlo
 A la tagliola. Ma che d’è sta cosa?
 Mme pare a mme, ca so’ le bagattelle.
1830Ascite, ascite fora (chiama dentro l’Osteria.)
 E benite a bedè ste cose belle.
 OTTAVIO
 Perdona, o mia Gismonda,
 Se tanti strazj ai tu da me sofferti.
 GISMONDA
 Mi son cari gli affanni,
1835Se pur ti stringo al cor, mio sposo amato.
 OTTAVIO
 Ingiusto fui, se a sì tenero affetto
 Mi dimostrai tiranno.
 GISMONDA
 È più dolce il piacer dopo l’affanno.
 ISABELLA
 Credo, amato cugino,
1840Che da voi otterrò grato perdono,
 Se mi scelsi Alessandro per consorte.
 OTTAVIO
 La scelta approvo, e credo
 Che il Genitor l’approvi: al sen ti stringo
 Caro Alessandro.
 ALESSANDRO
                                  Amato Ottavio, io sono
1845Vostro parente, e servo!
 LISETTA
 Orsù fenite mo’ le cerimonie.
 Assettateve ccane
 E stateve a godere sta borletta
 Ch’attiempo, attiempo ccane,
1850Nnanze a Mmezzotta s’è benuta a fare,
 Pe bolere ste Nnozzole annorare. (Qui tutti siedono sopra alcune sedie, ch’escono dall’Osteria, ed intanto al suono d’una lieta sinfonia da i Pupi si forma ballando un grazioso Pantomimo, si vanno adunando molti intorno alla Panca, e finalmente comparisce sulla Panca D. Semplicio con baffi, e peruccone travestito da Cerretano.
 
 SCENA ULTIMA
 
 DON SEMPLICIO sul Palco, D. ASPREMO tra i spettatori, ed i già detti.
 
 D. ASPREMO
 Uh tutte stanno cca voglio sentire
 Che sa fa Don Sempricio.
 LISETTA
                                                 Donn’Aspremo
 Aje viste li trastulle?
 D. ASPREMO
                                        Ll’aggio viste.
 LISETTA
1855Commo so’ belle!
 D. ASPREMO
                                   Cierto.
 LISETTA
 Ne, chille so’ de carne?
 D. ASPREMO
 Ajebò: songo de ligno.
 LISETTA
 Vattenne: che de ligno?
 Se fossero de ligno,
1860Non se freccecarriano.
 D. ASPREMO
 Bonora, e comme ncoccia! Io dico a ttene
 Ch’ogne Pupo de chillo
 È de ligno, e se fricceca
 Co li file da dinto.
 LISETTA
1865Nne vorria uno mmano
 Pe bedè s’è de ligno, o s’è de carne. (vedendo comparire D. Semplicio da Cerretano sulla Panca.)
 D. ASPREMO
 Zitto: no cchiù. V’ecco lo ciarlatano.
 D. SEMPLICIO
 
    Ecco l’Anonimo,
 Fisico, e Medico,
1870Che il suo gran balsamo
 In questo loco
 Gratis, amore
 Viene a spenzà!
    La spesa è granne,
1875L’utile è poco
 Uomini, e femine
 Se ne accompagnino,
 Ch’oggi lo dono
 Per carità.
 
1880Signure mieje lo spasso è bello, e buono,
 Ma quanno po v’afferra l’anticore
 Arrasso sia da mene,
 Lo spasso niente giova; poiché il Cielo
 Ha data la vertute
1885in Ermisse, & in berlisse,
 E in lapidoribusse. Io che songo
 L’Anonimo, dottore
 Di Medicina, Cherurgia, e fisica,
 Metafisica, chimica, e spargirica,
1890Benché qui di passaggio,
 Non ho voluto mancà d’arricchirvi
 Del mio tesoro, o sia il mio specifico
 Universal chiamato
 Il Balsamo aromatico
1895Buono per tutti i mali.
 LISETTA
 Uh quanto sape!
 D. ASPREMO
                                 E sa che ommo buono!
 D. SEMPLICIO
 Questo è buono per tagli, e per ferite,
 Per dolori, sciatica,
 Per flati, e morbo gallico,
1900Per li dolori colici,
 Per dolori di Marte,
 Per quartana, e terzana,
 Per mingranie, e vertigini,
 Per zoppi, e per cecati,
1905Anco per scartellati, ed è mirabile
 Pe chi pate de morte subitania.
 LISETTA
 Me nne voglio pegliare
 Uno de chiste balzamo io porzine.
 D. ASPREMO
 Piglia, ca me nne nnuommene.
 D. SEMPLICIO
1910Anonimo a che prezzo
 Lo vendi? Non si vende.
 Lo dona a i ricchi: a i poveri
 Lo do per carità. Questi è composto
 Di mille novecento
1915Quarantanove Semplici
 Raccolti in boschi, in monti, ed in campagne
 Al lume della luna, quando è piena.
 Vale un tesoro, quando appunto vale
 La vita umana: pure acciocché tutti
1920Ne siano accompagnati,
 Mandate venti carlini, e n’avrete
 Un vasettino.
 LISETTA
                            Ajebbò non fa pe mmene.
 D. ASPREMO
 Zitto ca calarrà.
 D. SEMPLICIO
                               E per farvi vedere
 Ch’oggi voglio donare, e non vo’ vendere
1925Mandate dieci carlini, e l’avrete.
 Ma non voglio che siano
 Venti, né dieci, date sei carlini.
 E manco siano venti, dieci, e sei,
 Mandate cinque: e manco siano venti
1930Dieci, sei, cinque: mandatine quattro
 E manco siano venti, dieci, sei,
 Cinque, quattro: mandate
 Una publica sola miserabile,
 E v’accompagnarò del mio specifico.
 LISETTA
1935Sì, chessa se po’ spennere.
 D. SEMPLICIO
 E chi manna una publica
 Non voglio darli il vase piccolino
 Ma un vaso grande, e grosso, eccolo qua. (Qui da Lisetta, e da i spettatori si menano varj fazzoletti a D. Semplicio, il quale li va rimenando intorno co i vasi.)
 Datene uno a questa mi Padrona
1940Datene quattro a questo
 Datene sei a quest’altri Signori. (dopo dispensati i vasi: si prende i privilegj in mano, e dirà con enfasi all’udienza:)
 A che state a guardarvi l’un, con l’altro?
 Io son colui, che in Mantua
 Or son due anni appunto
1945Ad un Villano, ch’ebbe una ferita
 Nel braccio destro alle ventidu’ ora,
 Applicando il mio Balsamo: lodato
 Il Cielo, che li diè tanta virtute,
 Ne la mattina del giorno seguente
1950Se li secarno tutte due le braccia;
 Perloché da quel Publico
 Mi fu spedito un ampio Privilegio.
 LISETTA
 Caspita chest’è cura!
 D. ASPREMO
                                         E che nne faje.
 D. SEMPLICIO
 In Venezia ad un sarto
1955Che patia di vertigine
 Applicato il mio balzamo la sera,
 La notte istessa verso l’ore quattro
 Se ne morì di subito:
 E non ha più patito di tal male.
 LISETTA
1960Bravo pe ddieci.
 D. ASPREMO
                                 Va sentenno appriesso,
 Ca chesto è niente.
 D. SEMPLICIO
                                     Al campo di Moscovia
 Dove fui a medicare un anno addietro
 Tutti quelli Soldati
 Che furno medicati dal mio balsamo
1965O morirono presto
 O restarono zoppi, e stroppiati.
 D. ASPREMO
 Site stato all’armata de Moscovia,
 Ne padron mio?
 D. SEMPLICIO
                                 Appunto, un anno arreto
 Vi servii da Chirurgo.
 D. ASPREMO
1970E deciteme a mene:
 Nce avite canosciuto
 No cierto Capitanio
 Orlando Guastaferri?
 D. SEMPLICIO
 L’ho conosciuto certo, e mm’era amico.
 D. ASPREMO
1975È bivo, o morto?
 D. SEMPLICIO
                                 Ah! è morto! al poveretto
 Co na columbrinata
 Li fu tolta la testa.
 D. ASPREMO
 E mme mo’ che decite sia maddamma,
 Frateto è bivo, o muorto? (ad Isabella.)
 ISABELLA
                                                 O morto, o vivo,
1980Poco m’importa, or che già sono sposa
 D’Alessandro.
 D. ASPREMO
                             Che che?
 OTTAVIO
                                                Sì, d’Alesandro
 È sposa o Padre, il quale di Gismonda
 Mia sposa, ch’or io stringo,
 È Parente.
 D. ASPREMO
                       Che so’ ste smetamorfie
1985Vorria sapè?
 LISETTA
                           Chest’è la veretate.
 Non serve che facite cchiù chiazzate.
 D. SEMPLICIO
 E mente è chesso mme pozzo spogliare
 Ne Gnorezi’?
 D. ASPREMO
                           Va spogliate sicuro. (qui D. Semplicio si toglie i baffi.)
 LISETTA
 Come tu si’ Semplicio?
 D. SEMPLICIO
                                             E no mme vide;
1990E chesta mbroglia lloco me l’ha fatta
 Fa chisto ccane.
 LISETTA
                                Pecchesso decive
 Sproposete a megliara.
 D. ASPREMO
                                             Ma allommanco
 Deciteme chi fu chillo squarcione,
 Che cca benne co ddi’, ch’era fratiello.
 LISETTA
1995Songo stata io propio.
 D. SEMPLICIO
                                          O potta d’oje.
 D. ASPREMO
 Sì sì è lo vero! uh ciuccie
 Che simme state.
 D. SEMPLICIO
                                   Ma perché faciste
 Chesse trapole tu.
 LISETTA
                                    Pecché bolea
 Bene a te: e mme spiacea
2000Si tu pigliave a chella.
 D. ASPREMO
 Be mme nne so’ addonato.
 D. SEMPLICIO
 Addonca mme volive?
 LISETTA
                                           Secorissemo.
 D. SEMPLICIO
 Ll’avisse ditto apprimmo.
 LISETTA
 Mme vregognava.
 D. SEMPLICIO
                                    Povera fegliola.
 LISETTA
2005E mme vuoje?
 D. SEMPLICIO
                              Si te voglio? ecco la mano.
 LISETTA
 O Ninno caro, e bello.
 D. SEMPLICIO
 O Nenna bella, e cara.
 LISETTA
 Che fuoco tengo ccane!
 D. SEMPLICIO
                                            Uh che carcara! (qui si farà un balletto da’ Pupi, e dopo:)
 TUTTI
 
 Se a godere altrui fa scorta
2010Ogni affanno si sopporta
 È felice ogni dolor.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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