Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 L'impresario di teatro, Napoli, s.e., 1730
 a cura di Paologiovanni Maione
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Veduta del Molo con Barca, da cui scendono ELISA, e NUCCETTA SCARTAFFIO, SIMONE, D. CICCIO, GIBERTO con seguito di curiosi, condotti da un Marinaro.
 
 SCARTAFFIO
 Chessa è la varca nè? (al Marinaro.)
 Ussia la faccia scennere;
 Ca sta lesta la seggia loco mmocca
 Tienemè che moschito!
5Vi chillo comme stà! ah nzerra ssa vocca. (a una comparsa.)
 A chi dice? arrassateve a malanno.
 ELISA
 Che turba è questa!
 SCARTAFFIO
                                       E buono sà lo panno.
 D. CICCIO
 Signora ben venuta.
 GIBERTO
 V’abbiamo da gra tempo sospirata.
 ELISA
10Gratie a lei mio Signore. (a D. Ciccio.) Serva obligata. (a Giberto.)
 SCARTAFFIO
 Abbìa ll’anno.
 D. CICCIO
                             Comme te carreche Compa’.
 ELISA
 Scendi Nuccetta.
 SCARTAFFIO
                                  E ss’autra quaglia chi è?
 SIMONE
 Se serve ussìa. (serve di braccio Nuccetta.)
 NUCCETTA
                               Quanta canaglia!
 SCARTAFFIO
 Semmuone tu porzì.
 SIMONE
15N’haveva da servì chessa Signora!
 SCARTAFFIO
 Si impizzateve tutte, e io da fora.
 ELISA
 M’obligan troppo, ond’io saper vorrei
 L’esser loro, s’è lecito, per poi
 Poter meglio adempir a i dover miei.
 GIBERTO
20Io son suo servo, o bella.
 SIMONE
 Io songo lo Poeta,
 E chisto cca è lo Masto de Cappella.
 ELISA
 Felice incontro: e lei? (a D. Ciccio.)
 D. CICCIO
                                           Son dilettante
 Di Musica.
 SCARTAFFIO
                       Gnorsine,
25E pe tutte le ccase,
 Co chesta scusa trase
 Lo sio D. Ciccio a fa lo miettennante.
 D. CICCIO
 Il Signor Impresario
 Vuo’ scherzare, è Padrone: io così amante
30Son di virtù sì bella,
 Che ovunque la ritrovi, anche in imagine
 La venero, e perduto à lei d’appresso
 Con tal piacer la sieguo, che tal volta
 Giungo sino a scordarmi di me stesso.
 
35   Odo con mio diletto
 Tal’ora, in sù la sponda
 Di limpido ruscello
 Al mormorio del onda
 Far eco il venticello
40Col dolce susurrar.
 
    È qual da forte incanto
 L’alma rapir mi sento,
 Imago sol del canto
 E il susurrio del vento
45Dell’onda il mormorar.
 
 SCENA II
 
 SCARTAFFIO ELISA SIMONE GIBERTO NUCCETTA.
 
 SCARTAFFIO
 E buono ammico è non puoje trovà meglio
 Pe na conzurta, pe protezzeone,
 Ma pe denare ’ntanto no nc’è taglio,
 Ch’a chisto palo sempe nc’have  faglio,
50Nsomma nuje quatto simmo de l’afficio:
 E ss’autre strafalarie
 So’ afficia le sopranummerarie.
 ELISA
 Perdoni in cortesia
 Sior impressario, ch’io nol conosceva.
 SCARTAFFIO
55No nc’è de chene: Ussia
 Se metta nseggia.
 SIMONE
                                   E ss’autra segnorella?
 SCARTAFFIO
 A preposeto Ciullo,
 N’auta seggia bon’ora,
 Priesto, Ussia puro è bertolosa?
 NUCCETTA
                                                            Oibò.
 SCARTAFFIO
60Me pareva a la cera.
 NUCCETTA
 Di codesta Signora
 Io son la Cameriera.
 SCARTAFFIO
 Cammarera!
 ELISA
                           Nuccetta?
 NUCCETTA
 Lustrissima.
 ELISA
                          I bauli
65Si sian raccomandati.
 SCARTAFFIO
 Ussia s’abbia a la casa, e stia cojeta,
 Ch’à chisse cca ce penza lo poeta,
 Semmuo’ vatte sbrecanno
 Fà carreà le robbe,
70Ch’io ntramente, ca vene
 La seggia, chessa vao dessamenanno.
 
 SCENA III
 
 SCARTAFFIO, e NUCCETTA.
 
 SCARTAFFIO
 Ussia è Romana?
 NUCCETTA
                                   Al suo commando.
 SCARTAFFIO
                                                                       À chella
 Facce canciosa, e bella
 Già me n’era addonato,
75Pe sse bellizze toje,
 Io già vedo cchiù d’uno arrojenato.
 NUCCETTA
 Come sarebbe a dir!
 SCARTAFFIO
                                        Ca ncapparraje
 Tutte ssi frequentante di Triato,
 E la fortuna toja cossì farraje;
80Tu mperrò sacce fà, pensi, ca strutte
 Noll’haie, mantiene a tutte:
 Saccio, ca nn’haje abbesuogno
 Della consurta mia
 Che si’ de no Paese
85Addo’ chesto se fà pe vezzarria.
 NUCCETTA
 
    Lei s’inganna io non son bella
 Son Zitella,
 E son Romana
 Che vol dire in buon linguaggio
90Ch’hò per mio
 Natio
 Retaggio
 La modestia, e l’onestà.
 
    Scherzo, rido, ma innocenti
95Sono i scherzi, son le risa,
 Fingo amor
 Tal or
 Per gioco
 Ma l’onor sempre al suo luoco
100Guarda, Guarda, lo vedrà.
 
 SCENA IV
 
 Anticamera.
 VOLPINO ed AURELIA.
 
 VOLPINO
 Subito che v’ò vista
 Signora Aurelia mia, v’ò conosciuta,
 Voi vedete, ch’io ebbi
 A speritar della paura, morta
105Tutti v’anno creduta.
 AURELIA
 E lo credono ancora
 Ch’io ad arte, per non essere seguitata,
 Allor che abbandonata
 Mi vidi dall’ingrato tuo Padrone,
110Per disperazione
 Finsi d’essermi andata ad annegare
 Nel Tevere.
 VOLPINO
                        Gran spirito!
 AURELIA
                                                  Ora dimmi:
 Siegui a star con D. Ciccio?
 VOLPINO
                                                    Certamente,
 Ed egli mi ha assegnato
115A i servigi di questa Segnorella,
 Che... non sapete niente?
 AURORA
 Son del tutto informata,
 Benché da pochi giorni
 Io sia costà arrivata.
 VOLPINO
120Da vero? gran paese veramente
 Per appurare i fatti della gente.
 AURORA
 Perciò così vestita
 Fingo nomarmi Silvio, e col tuo mezzo
 Spero di vendicarmi
125Di quel barbaro cor, che m’ha tradita.
 VOLPINO
 Eccomi quà, di me disponga.
 AURORA
                                                       Devi
 Tu da costei introdurmi
 Dicendole, ch’io sono
 Romano, e Cavalier, da te servito,
130Nella tua Patria, grato, generoso,
 E d’ogni buona qualità fornito
 Del resto poi sia mia la cura, intendi?
 Serba il segreto, e guiderdon n’attendi.
 VOLPINO
 Lasciate fare a me,
135Ch’io glie ne parlerò,
 Ma adesso non è bene,
 Che quì vi veda, dove m’aspettate.
 AURORA
 Al vicino Caffè.
 VOLPINO
 Ben.
 AURELIA
            M’intendesti già.
 VOLPINO
                                             Non dubbitate. (entra.)
 
 SCENA V
 
 AURELIA sola.
 
 AURELIA
140Con finti vezzi, e col mentito aspetto
 Io vuo’ tentar di cattivarmi il core
 Della rivale, e renderla infedele
 All’Idol mio, che così forse un giorno
 Ritornerà pentito al primo amore.
 
145   Farò, che provi almeno
 Qual fiera pena sia
 Il duol di gelosia
 Quel empio ingrato cor.
 
    Forse, che il suo tormento
150In sen gli desterà
 Pietà
 Del mio dolor.
 
 SCENA VI
 
 LEONORA e VOLPINO.
 
 LEONORA
 Dunque D. Ciccio ancora
 È andato ad incontrare
155Codesta nuova Virtuosa.
 VOLPINO
                                               Ah, ah.
 LEONORA
 Dimmi Volpino, sai chi sia costei?
 VOLPINO
 Saper nol posso ancora
 Questa notte è arrivata,
 Voi non la conoscete?
160Pure è paesana nostra.
 LEONORA
                                            E che per questo?
 È qualch’anno, ch’io manco
 Dalla mia patria.
 VOLPINO
                                  È vero,
 Ma il Padron lesto lesto
 Il panno a riconoscer s’è portato.
 LEONORA
165Troppo sarebbe ingrato
 All’amor mio, se per costei volesse,
 Abbandonarmi.
 VOLPINO
                                Eh voi
 Poco lo conoscete, se sapeste...
 Basta, a me non è lecito
170Parlar.
 LEONORA
                Se mi tradisce
 A me non mancan armi,
 Per farnelo pentir, per vendicarmi.
 VOLPINO
 Che bella occasione
 Da farli mangiar l’aglio
175Vi saria pronta:
 Un certo Cavaliero,
 Che non an molti giorni
 Da Roma quà sen venne,
 Avendovi veduta
180Jeri l’altro al passeggio,
 S’è di voi innamorato
 D’una mala maniera, e m’ha pregato
 Poc’anzi che vorria...
 LEONORA
                                        Che?
 VOLPINO
 Non parlo più.
 LEONORA
                              Siegui.
 VOLPINO
                                              Farvi una visita,
185Però con tutta la modestia, Voi
 Sapete ben, con qual riserva, e modo
 Sogliono i galantuomini trattare
 Colle Signore Donne
 Nella vostra, e mia Patria.
 LEONORA
                                                  Ma tu sai
190Meglio di me, con quanta
 Facilità si soglia mormorare
 In codesto Paese; veramente
 Per render la pariglia
 A D. Ciccio, vorrei
195Ammetterlo; ma senti
 Per una volta sol.
 VOLPINO
                                  Voi la padrona
 Siete.
 LEONORA
              De’ miei tormenti
 Provi anche esso, qual sia
 L’aspro tenor, e qual fiero governo
200Fa d’un cor, che ben ama gelosia.
 
    Va; ma temo che geloso
 Meco poi s’adireria,
 E mia pena allor saria
 Il tormento suo crudel.
 
205   Parmi già, che disdegnoso,
 E che torbido mi miri,
 Che s’accenda, che s’adiri,
 E mi tacci d’infedel.
 
 SCENA VII
 
 VOLPINO solo.
 
 VOLPINO
 Questa del paragone
210È la pietra, e non basta
 D’amore il foco, a conservar costante
 Se nol tormenta gelosia l’amante.
 
    Se un ferro infocato
 I colpi non sente
215Del forte martello,
 Ritorna bel bello
 Al freddo natio
 Più duro si fa.
 
    Ma sino, ch’è caldo
220Se’l batti, si stende
 Pieghevol si rende
 Durezza non ha.
 
 SCENA VIII
 
 ELISA servita da braccio da D. CICCIO GIBERTO LEONORA e VOLPINO.
 
 D. CICCIO
 Avisa Leonora.
 VOLPINO
 Eccola, che già vien v’avrà veduto.
225Questa è quella Signora,
 Ch’è venuta da Roma a recitare.
 LEONORA
 (ahi vista) facci grazia di passare. (si baciano.)
 Le sedie olà con buona sorte. (ad Elisa.) Indegno. (a D. Ciccio.)
 ELISA
 Se son ben obligata.
 LEONORA
230S’accomodi.
 ELISA
                         Con grazia
 Signor D. Ciccio quì.
 LEONORA
                                         (Comm’è sfacciata.)
 Signor Maestro a lei, vuo’ vendicarmi.
 D. CICCIO
 Con sua buona licenza. (Parla all’orecchio di Leonora.)
 LEONORA
 Traditore, ed hai cuor di favellarmi?
235Fa ciò, che vuoi.
 E ben Signora, come
 L’è riuscito d’incommodo il viaggio?
 ELISA
 Si figuri, son tutta travagliata
 Dal mare ancor, mai più.
 LEONORA
                                                (L’è delicata.)
 GIBERTO
240Ma con sua permissione
 Potea venir per terra.
 ELISA
                                          Ella a raggione
 Ma mi c’indussi per la compagnia
 D’altre Donne, che nella stessa Barca
 Meco venute sono a questa via,
245Tanto più, che il procaccio,
 Nel viaggio di questa settimana
 Femmine non avea,
 Ne bene mi parea
 D’avventurarmi io sola
250Frà tant’uomini.
 LEONORA
                                 (Povera figliola.) (D. Ciccio presenta la Ciccolata a Leonora che la porge ad Elisa dicendo.)
 Che creanza è mai questa. (a D. Ciccio favorisca ad Elisa.)
 ELISA
 Si serva.
 LEONORA
                   Mi perdoni:
 Egli sta fuor di se, lo compatisca.
 ELISA
 E il Signor Impresario?
 
 SCENA IX
 
 SCARTAFFIO NUCCETTA, e detti.
 
 SCARTAFFIO
255Eccome cca.
 LEONORA
                         Un altra sedia.
 VOLPINO
                                                      E lesta.
 LEONORA
 Garbata. (a Nuccetta che li bacia la mano nel dargli la cioccolata.)
 SCARTAFFIO
                     Embè che zeremonia è chesta?
 Chi ll’hà fatta.
 D. CICCIO
                             Io Signora. L’impertinenza
 Scusi, presa mi son tal confidenza.
 SCARTAFFIO
 Usseria è lo Patrone
260Ma chi paga?
 D. CICCIO
                            È pagata.
 SCARTAFFIO
 Buono, buono (s’havea da pagà io
 Mo le faceva na canca cata.)
 Porta na seggia assa figliola.
 ELISA
                                                     Oibò
 Non occorre, ch’io voglio,
265Con licenza di questi miei Padroni
 Andar per un momento a riposare
 Che non ne posso più.
 SCARTAFFIO
                                           Ma no nce vuoie
 Fa sentì quaccosella?
 ELISA
 Oh Signor mio le pare
270Ch’io sbattuta così possa cantare?
 NUCCETTA
 Carità, poverella,
 Son tre dì, che non dorme.
 ELISA
 Più tardi.
 SCARTAFFIO
                     A gusto tuio: jammo ca leste
 So le cammere toie.
 ELISA
                                       Signora mia
275All’onor di ben presto rivederla.
 LEONORA
 Serva sua riverente (oh gelosia)
 Signor D. Ciccio vada, lei s’aspetta.
 ELISA
 
    No no resti a servir la sua diletta
 Resta: fra poco... (oh dio)
280Ne rivedremo (ahi pena
 Dirli volea ben mio
 Volea già sospirar.)
 
    Vanne (già il cor l’adora
 Quel bel già m’incatena)
285M’odi (no non è ancora
 Tempo di favellar.)
 
 SCENA X
 
 D. CICCIO e LEONORA.
 
 D. CICCIO
 Questo di più? ben mio
 Perché turbato? oh Dio non tormentarmi.
 LEONORA
 E ardisci di mirarmi
290Perfido ingannatore.
 D. CICCIO
 In che t’offesi mai.
 LEONORA
 Dimandalo al tuo core
 A quel core infedele e lo saprai.
 
    Non parli! ti confondi!
295Volgiti a me rispondi
 Di: mi giurasti amor?
 Mi promettesti fé?
 Dunque crudel perché
 Tradirmi, oh Dio così.
 
300   Il tuo desir novello
 Seguita pur, se vuoi,
 Ma prima i sguardi tuoi
 Fissami in volto, e pensa,
 Pensa che questo e quello
305Che sì ti piacque un dì.
 
 SCENA XI
 
 D. CICCIO solo.
 
 D. CICCIO
 Quai doglianze son queste? ah sì l’intendo
 Gelosa del mio amor teme Leonora
 Ch’io possa abbandonarla, ora comprendo,
 Che m’ama: sempre fù d’un vero amore
310Compagno indivisibile il timore.
 
    Quanto cari a me voi siete
 Dolci sdegni del mio bene,
 Se più certo mi rendete
 Del suo amor, della sua fé.
 
315   Figli sono i suoi disprezzi
 Dell’affetto
 Che nel petto
 Fido serba ancor per me.
 
 SCENA XII
 
 SCARTAFFIO e SIMONE.
 
 SCARTAFFIO
 Ma a te che te ne pare?
 SIMONE
320Chi pò sapè!
 SCARTAFFIO
                          Ma puro!
 SIMONE
 Non se pò jodecare,
 Pensi ca non se vede
 Allommanco nzaià.
 SCARTAFFIO
 Oh primma che me scordo
325No me la stroppeà
 Co tanta nzaie, ma siente?
 Ch’accossì se stordesce, e non faie niente
 Chessa po, che me pare, ch’aggia spirito
 Non averrà abbesuogno...
 SIMONE
                                                 Chiano chiano,
330Nn’aggio viste dell’autre
 Ch’a lo bedè pareano speretate,
 E ncoppa a chelle tavole
 Fredde pò comm’a jaccio so’ restate.
 SCARTAFFIO
 Si sà chi sarria bona
335Pe fà na parte de na servettella.
 SIMONE
 Chi?
 SCARTAFFIO
             Chella Romanella
 Ch’è benuta co chessa.
 SIMONE
 No me dispiaciarria: ma sa de Museca?
 SCARTAFFIO
 Dice che canta a aria, e perzò tene
340Lo sopranomme d’arietta.
 SIMONE
                                                  Abbasta.
 SCARTAFFIO
 Ne nè!
 SIMONE
                Nce n’hanno state
 Tanta, che non sapevano
 Manco leggere, ncoppa a ssi Triate.
 SCARTAFFIO
 Pe chesto se stonavano
345L’anema razionale;
 Ma mo so’ auti i tiempe.
 SIMONE
 Sicuro se le da no buono masto,
 E se lassa fa a isso.
 SCARTAFFIO
                                     Si nce vo’;
 Ma ssi cane mperrò
350Si buono non arrivano a ncappà
 No le mparano maje co caretà.
 SIMONE
 Si è pe sto cunto chessa
 Stace pe te ncappà porzì no sasso,
 M’ha cera propio de na gran furbessa.
 SCARTAFFIO
355Ora no ncè vo’ auto
 Io la voglio provà
 Và và dincello tu.
 SIMONE
                                  Che?
 SCARTAFFIO
                                              Si vuo’ recetà
 E a ghiudizio tujo
 Fà lo patto porzì.
 SIMONE
                                  No me ce ntrico.
 SCARTAFFIO
360Perché?
 SIMONE
 Si no riesce amico mio
 Chi nn’ha la corpa? io,
 Si niente niente ngarra
 S’allamenta, ca n’è bona pagata,
365Pe no bonnì te dice,
 Che ll’haje fatta la posta, ll’haje ngannata.
 
    No bravo sulo
 Na sbattutella
 Che le fà fare
370Quarche spatella
 Sà che superbia
 Le face auzare
 Non t’accostare
 No le parlà.
 
375   Sa ch’hà de buono
 Sta peccerella
 Non hà la gnora
 Ca sse malora
 De vecchie mamme
380Esse le ggamme
 Esse le tagliano
 Esse le fanno
 Precepetà.
 
 SCENA XIII
 
 SCARTAFFIO poi GIBERTO.
 
 SCARTAFFIO
 Ora no nce vo’ autro
385Voglio vedé che nn’esce
 A proposeto, Berto, addo’ ne viene.
 GIBERTO
 Dalle vicine Camere di quella
 Romana Segnorella.
 SCARTAFFIO
 Ah ah tu puro già te si’ mpizzato!
390(Comme so’ facce tosta
 Si mmalora de Musece)
 Ora dimme na cosa
 Chella Fegliola...
 GIBERTO
                                 Chi?
 SCARTAFFIO
                                             La Cammarera
 De ssa Romana pare aggraziatella
395Se le porria fà, fà na partecella?
 GIBERTO
 Ora non è possibile, se appena
 La scala sà intuonar.
 SCARTAFFIO
                                        Te pare poco?
 GIBERTO
 Io non ce lo consiglio.
 SCARTAFFIO
 È gusto mio.
 GIBERTO
                          Non parlo più.
 SCARTAFFIO
                                                       Faje buono.
400Già avite tutta la cherita vosta
 Volite magnà sule?
 Scegliere me nne voglio una pur io.
 GIBERTO
 Egli è dover: Or se così risolve
 Solleciti il Poeta
405Per il libretto.
 SCARTAFFIO
                             È lesto.
 GIBERTO
 Perché, s’egli più tarda io mi protesto
 Di non esser in tempo.
 SCARTAFFIO
                                            Ente che pressa.
 GIBERTO
 Si tratta della musica d’un opera
 Intera.
 SCARTAFFIO
                Che fatica
410Nquatto juorne se sbrica.
 Vuje aute maste, asciute mo, facite
 Comme li Spezeale
 Ncasa ncoppa a na tavola tenite
 Na quantetà de carte, e cartoscelle,
415Chesse so’ li barattole,
 La penna, e lo cucchiaro
 Da ccà n’aria, da llà no ritornello,
 Da ccà no piezzo de recetativo,
 Nzomma no po’ pe parte
420Piglia, mmesca, & fiat poto
 Eccote nitto nfatto
 Ccà li denare, ca lo nchiasto è fatto.
 GIBERTO
 Ma poi che se ne dice dall’udienza
 Di questi tali?
 SCARTAFFIO
                             Arrobba buono tù,
425E lassale chiajetà
 Già saje, ch’a sta Cetà
 Porrisse fa porzì piezze de Cielo,
 Che puro nc’ha da sta
 Chi nce trova lo piecco
430Tutte vonno parlà,
 Simbè traseno franche:
 Da po avè scorcogliato
 La Seggia, o lo Barchetto
 A lo scuro Mpressario poveriello
435Contra chi canta, museca, e libretto
 Stann’int’a la pratea a fa rotiello.
 
    Si vaje mmiezo a chelle seggie
 Che non siente, che non vide!
 Chillo uf sbafa, chisso ah ride
440E mente uno dice, oh cara
 Ll’autro oh cana siente di’
 No la pozzo cchiù sentì:
 Quanno quanno se ne và.
 
    Senterraje di’ a no pontone
445Oh che bella schiavazione,
 E strillà da no barchetto
 Uh che chianca de libretto
 E ba và dance reparo?
 Vuoje de cchiù? lo Sorbettaro
450Isso puro vo’ parlà.
 
 SCENA XIV
 
 GIBERTO poi LEONORA.
 
 GIBERTO
 Che stravagante umore!
 Pur simular m’è forza,
 Perché vuole il mio onore,
 Giaché posto mi sono in quest’impegno
455Che adopri, per uscirne, arte, ed ingegno.
 LEONORA
 Signor Maestro Addio.
 GIBERTO
                                            Servo obligato.
 LEONORA
 Perché così turbato?
 GIBERTO
 Questo nostro Impresario
 Spesso col suo parlare allo sproposito
460Mi fa montare in collera.
 LEONORA
 E voi ve ne prendete?
 Mi maraviglio ancora
 A conoscerlo appresso non avete?
 GIBERTO
 Senta che frenesia
465S’è posta in capo: vuo’ far recitare
 Di questa forestiera
 Or or venuta.
 LEONORA
                            Chi?
 GIBERTO
                                        La Cameriera.
 LEONORA
 Come!
 GIBERTO
                Tant’è.
 LEONORA
                               Una Serva?
 Il Signor Impresario vuol burlare:
470Per questa carieggiata
 Io certamente non ci vuo’ passare...
 Ah s’ella per me nudre
 Qualche bontà, s’adopri,
 Con tutti i sforzi suoi,
475Affinché ciò non siegua.
 GIBERTO
 Io lo farò, ma poi
 Son certo che sarà
 Vano ogni mezzo a persuaderlo.
 LEONORA
                                                            Intanto
 Procuri dal suo canto
480Di rimoverlo, ch’io
 Grata ne le sarò
 Benché chiaro ella mostri,
 Che poco cura il gradimento mio.
 GIBERTO
 Signora ella m’offende.
 LEONORA
485(Lusingarlo mi giovi)
 Ah Giberto Giberto.
 GIBERTO
 Parli.
 LEONORA
              Parlò pur troppo
 Quel sospiro per me, per chi l’intende.
 GIBERTO
 
    Non più, cor mio vedrai
490Qual fido, e grato io sono,
 E poi risolverai
 Se dell’illustre dono
 Sia degno il mio servir.
 
    Tacciam sì pur d’orgoglio
495Pria meritar ti voglio,
 Senza cercar mercede
 Tutto costanza, e fede
 Saprò per te languir.
 
 SCENA XV
 
 LEONORA poi VOLPINO poi AURELIA.
 
 LEONORA
 Nobile fasto in ver, giusta richiesta.
 VOLPINO
500Signora, se sta commoda
 Quel Roman Cavalier...
 LEONORA
                                             Che venga questa
 Visita inaspettata
 Giovar potrebbe molto al mio disegno.
 AURELIA
 Al singolar suo merto
505S’umilia, ò bella, un che l’onora ambisce
 D’esserle servo, e sen dichiara indegno.
 LEONORA
 Così gentile espressione è figlia
 Di sua modestia.
 AURELIA
                                  Anzi del mio dovere.
 LEONORA
 Ond’io, che non hò lingua
510Bastante ad encomiarla,
 Confusa arrossirò, dovrò tacere
 Faccia grazia. (siedono.)
 VOLPINO
                             Signora
 Con licenza di questo Cavaliero. (parla all’orecchio.)
 LEONORA
 Venga pur, che bel colpo sarà questo.
 
 SCENA XVI
 
 D. CICCIO, e detti.
 
 D. CICCIO
515(Ahi vista.)
 AURELIA
                        Ah incontro al mio penzier funesto.)
 LEONORA
 Non si muova. (ad Aurelia)
 D. CICCIO
                               Signora.
 Se le son di disturbo
 Partirò.
 LEONORA
                  Nò vi voglio
 De miei contenti a parte:
520Sedete.
 D. CICCIO
                 (Che sarà! quanto somiglia
 Ad Aurelia costui.)
 LEONORA
                                     Vedi D. Ciccio
 Che vago Cavaliere,
 Che nobiltà, che brio
 Dimmi, se dovess’io
525Provedermi d’Amante potrei fare
 Scelta miglior?
 D. CICCIO
                               (La frase intendo.)
 LEONORA
                                                                   Parla.
 D. CICCIO
 Nò al certo.
 AURELIA
                        Di scherzare
 Meco si fà diletto la Signora.
 D. CICCIO
 (N’hà il volto, i modi, e n’hà la voce ancora.)
 LEONORA
530Or sappi, ch’egli ottenne al primo sguardo
 Di quest’anima mia tutto l’impero
 Che ad ogn’altro mi tolse.
 AURELIA
                                                 Ah fosse vero.
 D. CICCIO
 Godo della sua sorte.
 LEONORA
 (Né si turba il crudel) voi non parlate? (ad Aurelia.)
 AURELIA
535Dal soverchio contento
 Opprimere mi sento.
 LEONORA
 Se penetrar poteste
 Con un pensiero entro di questo core
 Di gran lunga maggiore
540Il mio piacer vedreste
 (Resiste ancora!)
 AURELIA
                                  Oh se del labro a i senzi
 Corrispondesse il cor.
 LEONORA
                                          Né dubitate?
 AURELIA
 E con raggione.
 LEONORA
                               Ah cessi
 Cessi il dubbio tiranno,
545Son tua, se tua mi vuoi (non sente affanno.)
 AURELIA
 Qual pegno a me ne dai?
 LEONORA
 La parola.
 AURELIA
                      Non basta.
 LEONORA
 La fé?
 AURELIA
               Non è più in tuo poter.
 LEONORA
                                                          La destra.
 AURELIA
 Questa date, qual da mia Sposa, io voglio.
 LEONORA
550Vuo’ dartela (e lo soffre alma di scoglio.)
 D. CICCIO
 A che più tardi?
 LEONORA
                                 È tuo piacer?
 D. CICCIO
                                                            Tu sei
 Dell’amor tuo, del tuo voler Signora.
 LEONORA
 Vuo’ sodisfarti.
 AURELIA
                               E non la porgi ancora?
 LEONORA
 Son pronta (ora vedrò se m’hà tradita.)
555Dolce... Mio... ben... Mia... Vita.
 Questa... d’un fido... amor... ricevi in pegno.
 AURELIA
 Ecco...
 D. CICCIO
               La stringi.
 LEONORA
                                    E puoi soffrirlo indegno. (s’alza con furia.)
 AURELIA
 Quai dileggi son questi!
 D. CICCIO
 Che già pentita sei?
560Vedi che vago Cavalier, che brio,
 Che nobiltà.
 LEONORA
                          Mi beffi ancora? Or prendi (ad Aurelia.)
 Che più non fingo, mi ricusi? Ed io
 Dovrò soffrirlo?
 D. CICCIO
                                Sì che far non puoi
 Scelta miglior, se vuoi
565Provederti d’Amante.
 AURELIA
 A lui porgi la destra, egl’è il tuo bene.
 LEONORA
 Egl’è un ingrato.
 AURELIA
                                 È vero;
 Ma l’ami ancor, impara
 A disamarlo pria,
570Poi Silvio, sarà tuo, tu sarai mia.
 LEONORA
 Ah perdona... (a D. Ciccio.)
 D. CICCIO
                             Udir non voglio.
 LEONORA
                                                             Credi a me. (ad Aurelia.)
 AURELIA
 Non deggio ancora.
 LEONORA
 
 Tanto fasto? Tanto orgoglio?
 
 D. CICCIO - AURELIA
 
 Vanne a lui, che t’innamora.
 
 LEONORA
 
575Core ingrato. (ad Aurelio.)
 
 AURELIA
 
                           Alma infedel. (a D. Ciccio.)
 
 LEONORA
 
 Pensa... (a D. Ciccio.)
 
 D. CICCIO
 
                   Sì vi pensarò.
 
 LEONORA
 
 L’odio. (ad Aurelia.)
 
 AURELIA
 
                 Allor risolverò.
 
 D. CICCIO
 
 Io non t’amo.
 
 LEONORA
 
                            Sei spergiuro.
 
 AURELIA
 
 Non ti credo.
 
 LEONORA
 
                           Sei crudel.
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

Valid XHTML 1.0 Transitional