Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 L'impresario di teatro, Napoli, s.e., 1730
 a cura di Paologiovanni Maione
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO III
 
 SCENA I
 
 SCARTAFFIO, e SIMONE.
 
 SCARTAFFIO
 Ora non ce vo’ autro
 L’aggio pigliata mo.
 SIMONE
                                       E và buono.
 SCARTAFFIO
                                                               Penza
 A ffarele na parte,
1140Che se pozza fà annore,
 Ca chessa è mpigno mio
 M’haje ntiso.
 SIMONE
                           Sì Signore
 Non accorr’autro e lesta.
 SCARTAFFIO
 E sbrigate, ca chillo già se mpesta.
 SIMONE
1145Chi?
 SCARTAFFIO
             Chi? Berto lo masto de cappella,
 Che vo’ lo libbro, dimme: haje già penzato
 A quaccosa de bello?
 SIMONE
 Faciteve, no cunto ch’è stampato.
 SCARTAFFIO
 Sa’ che cosa haje da fare?
 SIMONE
1150Che?
 SCARTAFFIO
             Quatto vierze da recitativo,
 E tuffe n’aria, si lo vuoie ’nzertare.
 SIMONE
 Ma po comme se ntrica la commedia?
 SCARTAFFIO
 Che ntrico vaje vennenno? nce la pierde,
 Chi è chillo, che nc’abbada? chi so ssente
1155Si trica niente niente
 L’aria a venì, da chille de le sseggie
 Quanto te vide fare
 Na votata de spalle,
 E dint’a li barchette
1160O chiacchiareano, e stanno a festeggiare.
 SIMONE
 Parla buono usseria;
 Mperrò abbesognaria
 Non fà stampà lo libro
 SCARTAFFIO
                                           Ll’arie schitto
 Io voglio fà stampare,
1165E a cheste tu porzì t’aie da pigliare
 No poco de fastidio
 Sopierchio, ntienn’a mme,
 Esce da quanno ’nquanno
 Co quacche paraone
1170Mpizzance le scioscelle, lo ssapone,
 No ciuccio ’nnammorato,
 No cavallo, che va a la magnatora,
 E che saccio...
 SIMONE
                            (Comm’è anemale!)
 SCARTAFFIO
                                                                   Aspetta,
 Ca si la tenco ncuollo...
1175Zitto zi’, chest’è essa.
 SIMONE
                                         che cosa?
 SCARTAFFIO
                                                             N’arietta,
 Ch’aggio fatt’io, tu po
 A gusto tuio te la porraie acconciare.
 Siente, si te piace
 SIMONE
 Viva ussoria.
 SCARTAFFIO
                           No, no me coffeare.
 
1180   La gioia de sto core
 La nenna mia chi è?
 Lo buoie sapè? si’ tu
 Tu cara, e doce cchiù
 Porzì dell’erba The
1185Saporetella
 Bella
 Tu me faie pazzeà.
 
    Che tenne pare? di’
 No male no Perù
1190Schitto che ll’erba The?
 To tornala a ssentì,
 Si non fuss’autro, nt’è
 Na cosa nova; co?
 No no lo puoie negà.
 
 SCENA II
 
 SIMONE, e poi GIBERTO.
 
 SIMONE
1195Comm’è particolare! comm’è bello
 Sso paraone! meglio
 No lo ppoteva fare Pascariello.
 Oh addio sio Berto mio,
 Ch’aje avute li denare
1200Non te farraje sentì cchiù allamentare.
 GIBERTO
 Di grazia, se volete
 Farmi piacer, parliamo d’altro.
 SIMONE
                                                           Comme
 Non te ll’ha date ancora?
 No po’ de freoma, lassa,
1205Che le pozza raccogliere,
 Po se nne parla, all’utemo.
 GIBERTO
                                                  Ma io
 Or ne tengo bisogno.
 SIMONE
                                         Ammico mio
 Fanne de manco, ca li pigliarraie
 Po tutte nzieme, mo che nne vuoje fare?
 GIBERTO
1210Voleva regalare
 Qualche galanteria
 Ad una virtuosa, che dimostra
 Non disgradir la servitude mia.
 SIMONE
 Che si’ pazzo!
 GIBERTO
                            Perché?
 SIMONE
                                             Vorrisse mettere
1215Ssa mala aosanza?
 GIBERTO
                                     Come?
 SIMONE
 No Masto de Cappella, no Poeta
 Reala le bertolose! ussia mme scusa:
 Nuje autre afficiale de Triate
 Passammo franche, e simmo realate,
1220Vuoje pazzeà? sino
 Mo nce mettarria cunto, fare n’opera
 Ghiusto pe duje tornise,
 Che ll’haje a piezze, e petaccie.
 GIBERTO
                                                          Oh questo poi
 Non gliel’accordo certo all’Impresario,
1225Tutti insieme li voglio
 S’ho da aspettare.
 SIMONE
                                    Sine l’averraje.
 GIBERTO
 Quando però?
 SIMONE
                             Ente che pressa.
 GIBERTO
 Burlate pur, che voi
 Non siete ancora nella stessa nave
1230Ci parlaremo.
 SIMONE
                             Io?
 GIBERTO
                                      Sì.
 SIMONE
 No nce ncappo propio bene mio:
 Ntra duje, o tre ghiuorne, ’nche sarraggio lesto
 Co lo libbretto.
 GIBERTO
                              Come così presto!
 S’ora dovete scrivere Toscano?
 SIMONE
1235Non ghi sapenno, all’arie
 No nce fatico, tenco
 Duje libbre, ch’aggio fatte
 L’anno passato a Romma, nietto nietto
 Già nn’aggio spogliat’uno,
1240Do de mano a chell’autro,
 E tutte sane, sane nce le metto.
 GIBERTO
 Ma così vi farete criticare.
 SIMONE
 Io che nne voglio fare?
 Benaggia ll’ora, chi li và trovanno
1245Ssi locche de mpressarie? già lo ssanno
 Lo vizio mio, pecché
 Me veneno a pregare?
 Che me lassano stare.
 A li recetative, e lo soggetto
1250Monzù Moliere po, Cornelio, e simmele
 Nce penzano.
 GIBERTO
                            Un mosaico perfetto
 Verrà il libro così.
 SIMONE
                                    Salute a nuje,
 Faccio lo fatto mio, e lasso dire
 A chi vo’ di’, po vao
1255A trovà lo mpressario,
 Co lo libbretto nzacca,
 Le conto quaccosella de lo ntrico,
 E sa che faccio?
 GIBERTO
                                Che?
 SIMONE
                                            Mo te lo ddico.
 
    Lo caccio,
1260E nce lo faccio
 Vedere, ma d’arrasso,
 Le dico chisso
 È isso
 L’aruta ussia
1265Me dia,
 Si no
 Mo mo
 Lo torno
 A nchiudere, a stipà.
 
1270   Si vene
 Sient’a mmene
 Carcata
 Na mmasciata
 De chella
1275Signorella,
 Che l’aria vo’ cagnata,
 Dico: l’agresta
 È lesta?
 Sì? venga l’acquavita,
1280L’aria se cagnarrà.
 
 SCENA III
 
 GIBERTO poi LEONORA.
 
 GIBERTO
 Non sò lodare una sì vil condotta;
 Ma giunge Leonora.
 Appunto, mia Signora
 Desiava vederla.
 LEONORA
                                 E perché mai?
 GIBERTO
1285Per darle parte io stesso
 Di quanto già, per obbedirla, oprai.
 LEONORA
 Che faceste per me?
 GIBERTO
                                        Coll’Impresario
 Feci sì, che D. Ciccio
 Comparisse l’autore
1290Dell’alte idee, che nudre
 La nuova virtuosa, sua compagna
 A tal, ch’ei ve lo vede di mal cuore
 Ed è già risoluto di vietarli
 L’adito a questa casa.
 LEONORA
                                          Come come?
1295E qual dominio ei serba
 Sopra di lui? chi ciò v’impose? andate,
 E, per quanto v’è cara
 Di Leonora la grazia, procurate
 D’impedir tal divieto: io con D. Ciccio
1300Voglio vedermi or ora,
 Sia vostra cura, ch’a me venga.
 GIBERTO
                                                          Dunque,
 Esser degg’io Signora
 Di mie sventure a me medesmo il fabro,
 E far...
 LEONORA
                Non più; obbedite, e rammentatevi
1305A qual patto m’offriste il vostro amore:
 Gl’arcani del mio core
 Non son tenuta a palesarvi: voi,
 Senza cercar mercede,
 Tutta costanza, e fede
1310Diceste di voler per me languire.
 GIBERTO
 E lo confermo.
 LEONORA
                              Dunque
 A che più replicarmi?
 GIBERTO
 Obbedirò, se ben dovrò morire.
 
    Luci adorate
1315Non vi sdegnate,
 V’obbedirò,
 Ma poi, lo sò,
 M’ingannarete.
 
    No, non ricuso
1320Per voi languire,
 Se ben tradire
 Fiere, e spietate
 Voi mi volete.
 
 SCENA IV
 
 LEONORA poi D. CICCIO.
 
 LEONORA
 Dell’alma mia? Leonora?
1325Anima mia ingrata, e come
 Ai cuor di proferire
 Col labro infido il nome
 Di chi già sei presso a lasciar? Aurelia
 Dovevi dir, non Leonora, quella
1330Si quella agl’occhi tuoi
 Di me più fida no, sarà più bella.
 D. CICCIO
 Deh qual ombra può farti, o mia vezzosa
 Un amor, che s’estinse
 Al marcar di colei, che un dì l’accese.
1335E come mai gelosa
 Una rival ti rese,
 Che più non vive?
 LEONORA
                                    Come.
 D. CICCIO
                                                   Cedete al fato
 Aurelia, e Silvio, Silvio, che raccolse
 L’ultimo suo respiro
1340Ne può far fede.
 
 SCENA V
 
 LEONORA D. CICCIO e poi AURELIA.
 
 LEONORA
 Iniquo mentitore;
 Silvio, quel Silvio stesso,
 Che in testimon tu chiami
 De’ detti tuoi mendaci
1345Ti smentirà.
 D. CICCIO
                          Con qual coraggio?
 LEONORA
                                                               Taci;
 Prima, che il sol presente
 Vegga l’occaso, ei renderla promette
 A queste soglie e amante, e viva.
 D. CICCIO
                                                             Ei mente.
 AURORA
 Mente chi il dice
1350Si per tuo tormento
 Prima del nuovo giorno
 Vedrai, crudel, s’io dico il ver, se mento.
 D. CICCIO
 Dunque mentisti almeno, allora quando
 Morta a me la fingesti,
1355Nol puoi negar.
 AURELIA
                               È vero,
 Ma io finsi così per suo comando.
 LEONORA
 Or che dici?
 D. CICCIO
                          E quai fede
 Può meritar uno, ch’a suo talento
 Afferma, e niega?
 LEONORA
                                    Ah, che pur troppo il crede
1360Leonora al tuo rossore, al suo tormento.
 
    L’accusa, il tradimento
 Leggo negl’occhi tuoi
 Spergiuro, ingannator;
 Sì che lasciar mi vuoi
1365Mel dice il mio tormento:
 Ah che strappar mi sento
 Dal seno amante il cor.
 
    Volgi quel guardo altrove (a D. Ciccio.)
 Svenami per pietà (ad Aurelia.)
1370Dove imparasti, dove
 Sì fiera crudeltà (a D. Ciccio.)
 Misera son tradita
 Né trar mi può di vita
 L’acerbo mio dolor.
 
 SCENA VI
 
 D. CICCIO AURELIA.
 
 D. CICCIO
1375Così son io schernito,
 Né mi risento! ah no,
 Contro di te, che sei
 Di tutt’i mali miei
 La funesta cagion, rivolgerò
1380Lo sdegno, che m’accende,
 Snuda quel ferro!
 AURELIA
                                   E che far tenti?
 D. CICCIO
                                                                 Io voglio.
 Voglio il tuo sangue.
 AURELIA
                                        Prendi (gli getta la spada a piedi.)
 Non tel contendo: Io son senza difesa,
 Senza riparo, o scudo
1385Eccoti il petto ignudo, (scopre il petto.)
 Sù v’immergi quel ferro, e’l fier desio
 Spegni nel sangue mio.
 D. CICCIO
                                             (Numi, che veggio!)
 Aurelia?
 AURELIA
                   Mi ravvisi?
 D. CICCIO
 Voi viva, e qui!
 AURELIA
                               Per tuo
1390Rimprovero, infedele, e per mia pena.
 D. CICCIO
 Ah ch’io lo credo appena
 Agl’occhi miei: Perdona, il falso grido
 Della tua morte a te mi rese infido:
 Ora che sorte amica
1395Bella, e fedel, qual fosti un dì ti rende
 All’amor mio, ogn’altro fuoco spento,
 La bella fiamma antica
 In questo cor s’avviva, e più s’accende.
 AURELIA
 E crederti dovrò?
 D. CICCIO
                                   Se a me, non ai
1400Tanta fede, alma mia, credilo a queste,
 Che da dolenti rai
 Tragge fuori di pianto amare stille
 Il piacer di vederti, e’l pentimanto
 Di un delitto, di cui, se dritto miri,
1405Reo del tutto non sono,
 E pur...
 AURELIA
                 Basta amor mio, basta quel pianto
 A disarmarmi, hai vinto, io ti perdono.
 
    Ritorna al primo amor,
 E rendi a me quel cor
1410Che m’involasti.
 
    Ch’io ti perdonerò,
 Né più rammenterò
 Che mi lasciasti.
 
 SCENA VII
 
 D. CICCIO poi ELISA.
 
 D. CICCIO
 Misero, e con qual fronte
1415N’andrò avanti a Leonora,
 Reo d’averla tradita
 Benché...
 ELISA
                    D. Ciccio addio.
 D. CICCIO
                                                   (Quest’altra ancora
 Vi volea, per accrescermi il tormento.)
 ELISA
 D. Ciccio!
 D. CICCIO
                     Mia Signora.
 ELISA
1420Che nuovitade è questa!
 Con qual freddezza m’accogliete, e quale
 Atra nube funesta
 Turba il seren di quei bei rai, se lice
 A me il saperlo?
 D. CICCIO
                                 Elisa, se volete
1425Farmi piacer, tacete.
 ELISA
                                         Pecché?
 D. CICCIO
 Non so veder, per qual raggion dobbiate
 Interessarvi a mio favor.
 ELISA
                                                Per quella,
 Che serba amor su’ nostri petti.
 D. CICCIO
                                                            Amore?
 ELISA
 Amore sì, ch’al primo incontro rese
1430De dolci sguardi tuoi preda il mio core.
 D. CICCIO
 E ch’or non è tempo di scherzi: io sono
 D’una tal sorte indegno; onde non deggio
 In verun conto...
 ELISA
                                 No
 Non m’adular crudele,
1435Di più tosto, e dirai la verità,
 Ch’una rival di me
 Più fortunata sì, non più fedele
 Mi contrasta il possesso
 Del tuo gradito amor.
 D. CICCIO
                                          Non so negarlo.
 ELISA
1440E ardisci d’affermarlo
 Con sì libera fronte in mia presenza?
 D. CICCIO
 Non vuo’ celarti il ver.
 ELISA
                                           Dunque ricusi
 L’offerta del mio cor, dell’amor mio?
 D. CICCIO
 L’accettarla non è più in mio potere.
 ELISA
1445Sappj, ch’un tal rifiuto
 Mi darà morte, e tu crudele...
 D. CICCIO
                                                        Oh Dio,
 Se d’altri son, dimmi, che far poss’io?
 ELISA
 
    Non dovevi
 Innamorarmi,
1450Se volevi
 Poi sprezzarmi
 Dispietato, rio, crudele
 Infedele
 Ingrato cor.
 
1455   L’amor mio da te non chiede
 Premio eguale alla sua fede,
 Ma pietà di quel, ch’io sento
 Crudo, barbaro tormento
 Abbj almen, se non amor.
 
 SCENA VIII
 
 D. CICCIO solo.
 
 D. CICCIO
1460Lagnati pure a voglia tua, ch’io rido
 Dell’ingiuste querele, ha Leonora
 Per dolersi di me raggion più forte
 S’io l’abbandono, e vanta Aurelia ancora
 La sua non men possente, anzi più antica,
1465L’una, e l’altra mi piace,
 E l’una, o l’altra esser mi dee nemica.
 
    Io vo dicendo al core:
 Scegli qual più ti piace,
 Ei si confonde, e tace,
1470Sol bada a sospirar.
 
    Perduto già mi vedo
 In dubio sì funesto,
 M’avanzo, e poi m’arresto,
 Son presso a disperar.
 
 SCENA IX
 
 VOLPINO e NUCCETTA.
 
 VOLPINO
1475Oh questa è la maniera
 Per acquistarsi più, e più d’un amante,
 E farla (come qui suol dirsi) nera.
 NUCCETTA
 Che amanti! vuoi burlare,
 Vi vuol altro mostaccio
1480Di questo mio, Volpin, per farsi amare.
 VOLPINO
 No no, sei troppo buona, e quando ancora
 Nol fosti, in porre il piè su quelle tavole,
 Potresti esser un canchero un pasticcio,
 Non te ne mancheranno, lo vedrai.
1485Come si sà che reciti, averai
 Il medico, e’l cerusico alla casa,
 Che l’assistenza lor gratis, e amore
 T’offeriran nell’occorrenze.
 NUCCETTA
                                                   Bravo.
 VOLPINO
 E non potrà mancarti un Protettore.
 NUCCETTA
1490Ma spenderà costui?
 VOLPINO
 Senza risparmio: questa
 È usanza del Paese:
 Per una Cantarina
 Vi spenderiano gl’occhi della testa:
1495Fagli delle finezze...
 NUCCETTA
                                       È cura mia.
 VOLPINO
 Non tralasciar però
 Di mostrarti con tutti
 Cortese, e disinvolta.
 NUCCETTA
 È mio costume.
 VOLPINO
                                Ascolta:
1500Nel giunger al Teatro,
 Alle compagne virtuose prima
 Fà riverenza, e poi
 Alla bocca del palco t’avvicina,
 E dà una guardatina
1505All’udienza; ma pria d’ogn’altra cosa
 Saluta gl’appaltati delle sedie,
 E procura, si aver applauso vuoi
 Di tenerteli amici più, che puoi,
 Altrimenti sei a terra.
 NUCCETTA
1510Da ver!
 VOLPINO
                 Non v’è riparo.
 Sai perché spendon questi il lor denaro?
 NUCCETTA
 Per sentir la comedia.
 VOLPINO
                                           Oibò, per fare
 Una chiacchieratina
 Con voi altre Signore,
1515E perciò fanno a gara,
 A chi può aver la sedia più vicina
 Al banco dell’orchesta.
 Oh a proposito, questa
 Dei cattivarti.
 NUCCETTA
                             Chi!
 VOLPINO
                                        Li suonatori,
1520Che i primi sono a udire, e giudicare
 La musica, le voci, e le parole,
 E a rivederci poi
 A Fontana Medina a criticare.
 NUCCETTA
 Ti son molto obligata dell’avviso.
 VOLPINO
1525Di noi creati non ti parlo.
 NUCCETTA
                                                 E voi
 Come c’entrate?
 VOLPINO
                                 E chi vi mette poi
 In grazia de Padroni?
 Sta nelle nostre mani
 La sorte vostra, e i primi siam talvolta
1530A prevalerci noi dell’occasioni.
 
    Noi creati della notte
 Confidenti del Padrone
 Tanti cuochi appunto siamo,
 Che cercando sempre andiamo
1535Un buon taglio, un buon boccone
 Da potergli apparecchiar.
 
    Il veder, se son ben cotte,
 E se ben condite sono
 Le vivande, tocca al cuoco,
1540Ei, pria, ch’escano dal fuoco
 L’a più volte d’assaggiar.
 
 SCENA X
 
 NUCCETTA sola.
 
 NUCCETTA
 Quant’è bagiano! io così vil non sono
 Da comprar la mia sorte a questo prezzo:
 O ben il core avezzo
1545A non temer d’amor lo strale, e soglio,
 Nemica dell’orgoglio
 Proprio del fragil sesso
 All’uso di quel nostro gran Paese
 Di un dolce sguardo, e d’un soave accento
1550Con tutti esser cortese,
 Finger, e simulare,
 (Senta taccia però dell’onestade)
 Tutto a fin di carpire, e di Pelate.
 
    Io non sono come certe
1555Bocche strette, scrupolose
 Chi ci fanno le ritrose
 Far l’amore! uh non sia mai
 Io co gl’uomini? oh son guai
 E poi... basta ogn’un lo sà.
 
1560   Ch’un mi guardi, e poi sospiri,
 Che mi tocchi un po’ la mano,
 E mi dica piano piano:
 Bella io l’amo non si adiri,
 Che cos’è! che mal mi fa?
 
 SCENA XI
 
 LEONORA, e D. CICCIO.
 
 LEONORA
1565No non fuggirmi ingrato
 Che più da te non chiede
 Amor Leonora ma sospira solo
 Il vanto di morir fida al tuo piede.
 D. CICCIO
 (Oh troppo a’ danni miei
1570Ingegnosa costanza!)
 LEONORA
 Sì giacché il mio dolore
 Non ha forza bastante
 A togliermi di vita, e in un d’affanno
 Da quel ferro trafitta
1575Spirar voglio al tuo piè l’anima amante.
 D. CICCIO
 Ah cessa...
 LEONORA
                      No crudele
 Non contrastarmi questa
 Che in premio a un fido amore,
 Ti chiedo ultima grazia;
1580Eccomi genuflessa a piedi tuoi,
 Eccoti il petto, il core
 Trafiggilo, e m’invola al rio tormento
 Di rimirarti alla rivale accanto
 Ah che in pensarvi sol sveller mi sento
1585L’alma dal sen e’l cor si stempra in pianto.
 D. CICCIO
 Sorgi bell’Idol mio sorgi, e, se m’ami
 Affrena il corso all’aspro tuo martire
 O mi vedrai di puro duol morire.
 
    Tergi le belle lagrime,
1590Se vuoi, che siegua a vivere
 Ch’io già da me dividere,
 Pel duol, mi sento l’anima,
 Già il cor si strugge in sen.
 
    Spera, chi sa, la sorte
1595Suole cangiar d’aspetto
 Dal duol nasce il diletto,
 Figlio della procella,
 E un placido seren.
 
 SCENA XII
 
 LEONORA, poi VOLPINO.
 
 LEONORA
 Ah ch’è per me perduta ogni speranza.
 VOLPINO
1600Signora Leonora voi piangete?
 Che forse già sapete,
 Che il Signor Silvio...
 LEONORA
                                         Come! ha già condotta
 La mia rivale a queste soglie? parla.
 VOLPINO
 Che condotta? egli è Aurelia, e v’è opinione,
1605Che orror di verità sposa al mio Padrone.
 LEONORA
 Che mi dici Volpino? ahi disperate
 Speranze mie.
 
 SCENA XIII
 
 AURELIA con un stile alla mano, GIBERTO D. CICCIO, e Tutti.
 
 SCARTAFFIO
 Tienela tie’.
 GIBERTO
                         Fremmate.
 Non sia chi a me s’appressi
1610O di D. Ciccio: io voglio
 O la tua destra o la mia morte fia
 Questo solo momento
 Arbitro del mio fato
 O fido a me ti rendi, o ch’io per sempre,
1615In seno al nuovo amor, ti lascio ingrato.
 SCARTAFFIO
 Ha raggione D. Ci’ dalle la mano.
 AURELIA
 Risolviti, o mi sveno.
 SIMONE
                                         Chiano, chiano.
 D. CICCIO
 Perdona Leonora, il Ciel dispose
 Altrimenti di noi.
 LEONORA
1620Resta infedel, godrai
 In braccio al tuo dolce, gradito amore
 Di mia morte, non già del mio dolore.
 
    Tu resta a godere
 In seno al tuo bene
1625Che dolce piacere
 Che duolo, che pene!
 Tiranno, crudele
 Io vado a morir.
 
    Ah donami almeno
1630Un guardo pietoso,
 E rendi fastoso
 Mio fiero martir.
 
 GIBERTO
 Sieguo i suoi passi. (entra.)
 SCARTAFFIO
                                       Sì tienela mente
 Non s’havesse d’accidere.
 SIMONE
                                                 N’è niente.
1635Addonca sso Signore
 È femmena?
 SCARTAFFIO
                           Sicuro, e si sapisse
 Che borpa ch’eje! fatte contà la storia,
 Che te porrà servire pe soggetto.
 SIMONE
 Pe n’autro libbretto,
1640Ca chisto ntra di juorne sarrà lesto.
 SCARTAFFIO
 Buono; ’nche ll’haje fenuto
 Portalo a lo copista.
 SIMONE
 A lo copista?
 SCARTAFFIO
                          Sine, che te cride
 Che fosse quà anomale?
1645Isso è lo revisore cennerale,
 Sape de Poesia, de contrapunto,
 D’abballo, e che sacc’io?
 SIMONE
                                              Ma li denare?
 SCARTAFFIO
 So’ prunte: mo me nguadio
 Ssa peccerella, e po no dobbetate,
1650Ve voglio fà scialare,
 Ecco cca che me preggia.
 D. CICCIO
                                                Volontieri:
 Di quel poco contante,
 Ch’io tengo, ella è il Padrone.
 SCARTAFFIO
 Lo ssentite (e non dice
1655Ca jarrimmo pe debbete presone.)
 NUCCETTA
 Signora allegramente (ad Elisa.)
 ELISA
 Taci non tormentarmi.
 VOLPINO
                                            Con salute
 Signora Aurelia.
 SCARTAFFIO
                                 Alliegre, ca chiss’anno,
 Si puro non fa arrore lo Lunario,
1660A cuofane le doppie
 Farrimmo.
 TUTTI
 
    Viva, viva l’Impressario
 A i voti nostri arrida
 Il Ciel, la sorte, e amor.
 
1665   Placido scherzi, e nda
 Entro del petto il cor.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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