Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 La Matilde, Napoli, a spese di Nicola di Biase, 1739
 a cura di Nicola Ruotolo
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO II
 
 SCENA PRIMA
 
 Città.
 
 FLAVIO, e RINUCCIO.
 
 FLAVIO
 Mal facesti, Rinuccio, il tuo rifiuto
 Celia non meritava.
 RINUCCIO
                                       Amico, io vedo,
 Che dici ben, mal feci, il mio destino
760Volle così.
 FLAVIO
                      Quai scuse!
 RINUCCIO
 Dirò, se mi prometti,
 E segretezza, e fedeltà.
 FLAVIO
                                            Prometto.
 (Che dirà mai?)
 RINUCCIO
                                 Tu dei
 Saper, ch’amante un tempo in Mantua fui
765Di cotesta Matilde, per suo vero
 Nome Isabella.
 FLAVIO
                               (Oddio, che sento!)
 RINUCCIO
                                                                    Meco
 Piacquele di venir.
 FLAVIO
                                     (Fosse mai questi
 Arnaldo, ch’ella disse?)
 RINUCCIO
 In Pavìa la lasciai, dove dovea
770Riedere in brieve, e meco
 Condurla; quando un foglio
 D’un amico mi venne, e di costei
 Mi dipinse la vita,
 Disse, che non appena era io partito,
775Che a forestiero amante aveva dato
 Ricovero l’indegna.
 FLAVIO
 (Oh qual menzogna! oh come
 Ne inorridisco!)
 RINUCCIO
                                 Io ti confesso, tanta
 Fù l’ira, e la vergogna,
780Che abborrii la memoria
 D’averla amata, e pien di giusto sdegno,
 Più vederla non volli, son trè anni
 Già scorsi. Questa mane
 La rividi nell’atto
785D’impalmar Celia, e la presenza sua
 Mo rese irresoluto, e stupefatto.
 FLAVIO
 (Grand’intoppo è costui
 All’amor mio.)
 RINUCCIO
                              Che pensi?
 FLAVIO
                                                     (All’arte) Dimmi:
 In Mantua, Arnaldo allora
790Appellar ti facevi?
 RINUCCIO
 Per viaggiar ignoto
 Mi giovò di mentir la padria, e ’l nome:
 Ma come ciò ti è noto?
 FLAVIO
 Tutto Isabella istessa
795Mi fe’ palese, e l’odio,
 Che serba in sen per te.
 RINUCCIO
                                              Tanto tu sei
 Ad Isabella confidente?
 FLAVIO
                                              Amore
 Vicendevol frà noi s’infiamma antico
 (Fingo per disperarlo.)
 RINUCCIO
                                             (Oimè, che ascolto!)
 FLAVIO
800Dunque ti accheta, Amico,
 E riedi a Celia tua: nell’amorosa
 Battaglia sempre vince un cor leggiero,
 Ed è costanza il variar pensiero.
 
    Se spira in selva ombrosa
805Superbo irato vento,
 Il calamo, che cede,
 Illeso ognor si vede,
 Cade la quercia annosa,
 Che altiera se ne stà.
 
810   Chi a contrastare è intento
 All’amoroso orgoglio
 Tra gemiti languisce,
 Si nutre di cordoglio,
 E solo ognor gioisce,
815Chi amor cangiando và.
 
 SCENA II
 
 RINUCCIO, e poi CELIA.
 
 RINUCCIO
 Io veggio ben, che natural consiglio
 Non val contro il mio amore,
 Dura necessità dentro il suo artiglio
 Mi violenta, e spinge.
820Isabella infedele
 Già per più prove ora detesto, e a Celia
 Tutto amor torno. Oddio! ma con qual volto
 Io riederò a colei,
 Che audace ricusai non men, che stolto?
 CELIA
825Dunque di tanti, e tanti
 Pretensori, ed amanti
 Altro non ebbi, che rifiuti, e biasmi:
 E soffrir tanta ingiuria
 Io debbo? Ah nò, si aspetta.
830Dal deluso amor mio, qualche vendetta.
 RINUCCIO
 (Ma ecco Celia.) Anima mia (a Celia.)
 CELIA
                                                       (Che ascolto?)
 Perfido, io non comprendo,
 Se sei folle, o leggiero: ma sii pure
 Qualunque esser ti voglia, sappi indegno,
835Che per tè l’amor mio cangiossi in sdegno.
 
    Non più rammento
 La fiamma antica:
 Non vò più pace,
 Son tua nemica:
840Son tutta sdegno,
 Tutta rigor.
 
    Nell’alma io sento,
 Che spira Aletto
 Colla sua face,
845Odio, e dispetto.
 Ira, e furor.
 
 SCENA III
 
 RINUCCIO.
 
 RINUCCIO
 Misero, or che mi resta! In un momento
 Istesso io mi riveggio
 Divenuto d’Amor ludibrio, e scherno.
850Tradito da Isabella,
 Discacciato da Celia, e che far deggio?
 È sì debile il filo, onde si attiene
 Questa angosciosa vita,
 Ch’altra speme non hò, che mi conforte,
855Che da’ martir mi tragga amica morte.
 
    Fiamme voraci all’alma
 Son l’aure, ch’io respiro:
 Altro non miro, e sento,
 Che note di spavento,
860Che immagini d’orror!
 
    Odio la vita, aborro!
 Quest’infelice salma,
 E da me stesso corro
 In braccio al mio dolor.
 
 SCENA IV
 
 Camera di DON SEMPRONIO.
 
 DON SEMPRONIO, e LISETTA.
 
 DON SEMPRONIO
865Cercame quanto vuoje, Lisetta mia,
 Ca l’avarrje.
 LISETTA
                          Illustrissimo,
 So quant’ella mi onora.
 DON SEMPRONIO
 Orsù, pe mmò fenisce
 D’essere Dammicella,
870E vo’, che passi a Segretariessa.
 LISETTA
 Faccia il vostro servigio,
 E sia in che si voglia.
 DON SEMPRONIO
 Segretariessa, e meza, e da mò voglio
 Incominciarti a segretarià.
875Sappi, Lisetta mia,
 Che da poche ore in qui son ghiettechito,
 Questa sia Celia quà con quelli occhietti.
 Che occhietti? due saetti, due schioppetti,
 Due cannoncetti mm’ave
880Cuoveto proprio quì.
 Se tratta tu mo cride
 Te chiacchiareo, e songo morto istinto.
 Sappi ma che buo’ sappi?
 La voglio pe mogliere,
885E tu nc’aje da penzà.
 LISETTA
 (Che sciocco!)
 DON SEMPRONIO
                             Comme dice?
 LISETTA
                                                         A dirvi il vero,
 Parmi, che fate affronto a Donn’Eufrasia,
 Che stando ella ammalata,
 Voi volete parlar di matrimonio.
 DON SEMPRONIO
890Si essa stà malata,
 Stà buono Don Sempronio,
 Ch’è quanto importa a fare il matrimonio.
 Và parla a Celia, e dille
 Ca l’unico rimpollo
895Della casa Sperlonga, che song’io
 Con essa lei vorria matrimoniare,
 E la farria chiamare
 La signa Donna Celia Sperlonghessa.
 LISETTA
 La servirò. Signore, (mentre si avvia, torna, e dice a Don Sempronio.)
900Il Cameriere dice, ch’è venuta
 Un imbasciata del signor Pandolfo,
 Che vuole riverirvi.
 DON SEMPRONIO
 Chi? quel zuco di zappa, che mò nnante
 M’hà fatto cchiù di mille
905Malecreanze?
 LISETTA
                            Appunto,
 Uno de’ pretensori
 Di Celia.
 DON SEMPRONIO
                    Eh, che non trasa. Eilà decite,
 Ca stongo in Gabinetto, e non do audienza.
 LISETTA
 Ma questo è un affrontarlo.
 DON SEMPRONIO
910Vuje decite ca stò infirmato in letto
 Col Pilagro.
 LISETTA
                        Ei già sà, che state bene.
 DON SEMPRONIO
 E buje decite, ca io non ce songo.
 LISETTA
 Ma se gli è stato detto,
 Che voi eravate in casa.
 DON SEMPRONIO
915Decite aspe’ decite
 LISETTA
 Che gli direm?
 DON SEMPRONIO
                               Che saccio.
 LISETTA
 Ch’entri in fin?
 DON SEMPRONIO
                                Non segnore.
 Che se nne vaga a ccancaro,
 E abbiam fornito.
 LISETTA
                                    Ma questa è mancanza.
 DON SEMPRONIO
920Mancanza, e meza.
 LISETTA
                                     Ei ne vorrà ragione.
 DON SEMPRONIO
 Basta che ccà non trasa, aggia ragione,
 Comme vo’ ello.
 LISETTA
                                Egli è capace a farlo.
 DON SEMPRONIO
 A fà che?
 LISETTA
                    Vi esponete ad un duello.
 DON SEMPRONIO
 Duello? Eilà decite alli lacchee, (verso dentro alla famiglia di servigio.)
925Che traseno ccà ddinto co le spate.
 State leste fegliule
 Coll’armature bianche, e co le bucche.
 Portatemi il ritacco.
 Chiammateme p’ajuto.
930Li pagge de Cainatema.
 LISETTA
 Intanto, che dirassi al ser Pandolfo?
 DON SEMPRONIO
 Mm’aje zucato il zucabile:
 Mme vuo’ trasì de chiatto
 Tu, e lo si Pannocchia,
935Lo si Pannocchia, e tù?
 Sà, che nce mecco, e a cchisso si Pannocchia
 LISETTA
 Il ser Pandolfo, il ser Pandolfo. (e parte vedendo entrare Pandolfo di botto.)
 
 SCENA V
 
 PANDOLFO, e DON SEMPRONIO.
 
 DON SEMPRONIO
                                                           Oh Caro
 Il sì Pannocchia, signor mio. Portate
 Sedie. Non te partì (al servidore che porta due sedie.)
 PANDOLFO
                                       Da un pezzo fuora
940Sono stato aspettando
 Vostri ordini: alla fine
 Sono entrato da mè, senza licenza.
 DON SEMPRONIO
 Ha fatto molto ben, con confidenza. (siedono.)
 PANDOLFO
 Son venuto per dirvi
945Cosa di gran premura; ma dobbiamo
 Esser soli.
 DON SEMPRONIO
                      E siam soli.
 PANDOLFO
                                              Ma quel servo? (additando il servidore.)
 DON SEMPRONIO
 Chi? quillo? È muto, e sordo,
 Voi potete parlar (non te partisse?)
 PANDOLFO
 Non è luogo per lui.
950Non voglio, che ci ascolti;
 Vanne via di quà tù. (al servo.)
 DON SEMPRONIO
                                         Andate. (statte.) (al servo il quale non parte.)
 PANDOLFO
 Non parti? A chi dic’io?
 Ah baron temerario (il servo accenna bruscamente che non vuol partire.)
 DON SEMPRONIO
 Piano, il faccio andar’io. Eh bel zitello (al servo.)
955Và stipatevi (Eh cano, statte lloco (il servo si ritira.)
 Ddereto.) Se nn’è ghiuto ora decite. (a Pandolfo.)
 PANDOLFO
 Vi dico brevemente, come soglio:
 Avete a fare in modo,
 Che Celia sia mia sposa
960Senz,altro.
 DON SEMPRONIO
                       (Don Sempronio,
 Scinnete sso sceruppo!)
 PANDOLFO
 Senz’altro, dico.
 DON SEMPRONIO
                                Signorsì, senz’altro.
 Il fatto stà
 PANDOLFO
                      Il fatto stà, che voi
 Dovete darmi in mano questa sera
965Celia.
 DON SEMPRONIO
              Vorrei servirvi,
 Qualor ne avrebbi il modo
 PANDOLFO
                                                   Il modo è questo:
 Io con mie genti farò ritrovarmi
 Dalla parte di dietro
 Di questa casa, dove
970Sono quelli edificj ruinati,
 Onde si ascende per scala scoverta
 Ad alcune segrete stanzoline
 Del vostro appartamento;
 Di là mi date Celia, ed in quell’ora
975In compagnia de’ miei
 Porterolla a sposare in Monterupoli.
 DON SEMPRONIO
 (Un cosello di nulla!) lei dovete
 PANDOLFO
 Dovete ricordarvi ll’osservanza,
 Di ciò che s’è promesso.
 DON SEMPRONIO
980Promissio boni viri
 È debito, già il sò, ma quando Celia
 Fosse la mia; ma non è la mia;
 Fosse la mia, direbbe benissimo
 Il sì Pannocchia.
 PANDOLFO
                                 Il signor Don Sempronio,
985M’intenda omai benissimo: o stà sera (con asprezza.)
 Mi darà Celia, o ch’io
 DON SEMPRONIO
 Nicolino (verso dentro.)
 PANDOLFO
                    Chi chiamate?
 DON SEMPRONIO
                                                 Volea
 Veder, sì quel frabutto fusse stato
 A sentir nostri fatti.
 PANDOLFO
                                       Or che mi dite?
 DON SEMPRONIO
990Vi dico, che non posso
 PANDOLFO
 Piuttosto vorrai dirmi, che non vuoi,
 ma giuro al Cielo. (con ira.)
 DON SEMPRONIO
                                    (E Nicolino è surdo.) (verso dentro, come sopra.)
 
 SCENA VI
 
 VANESIO, che sopraviene, ed osserva, e detti.
 
 PANDOLFO
 Soverchia sofferenza hò con te avuta.
 VANESIO
 A me pare soverchio, (che vedendo soprafatto Don Sempronio da Pandolfo si fà avanti.)
995(Sia con buona licenza)
 Insultare in sua casa un Gentiluomo
 Contro ogni civiltade?
 DON SEMPRONIO
 (Uh, e becco Donn’ Alesio)
 PANDOLFO
 Oh vuoi tù daddovero, ser Vanesio,
1000Ch’io ti facci arrivar la civiltà
 Sopra d’un legno?
 VANESIO
                                    Ho molto più abbondanza
 Di legna per provederne
 E voi, e chi che sia.
 Ma ciò lo dico citra præjudicium
1005Della civiltà mia.
 DON SEMPRONIO
 Viva la civiltà di Ussignoria. (a Vanesio.)
 PANDOLFO
 Senti, ribaldo, sai (a Vanesio.)
 VANESIO
                                    Ribaldo, indegno
 Sei tù Lice defendersi
 A i creanzati ancora. (Pandolfo s’alza furiosamente per offendere Vanesio, il quale si pone in difesa, cavando nell’istesso tempo ambedue le spade.)
 DON SEMPRONIO
1010Diavolo, mò è peo. (s’alza.)
 PANDOLFO
                                      Ah temerario (a Vanesio.)
 DON SEMPRONIO
 Addio si civiltà juta pell’ario.
 VANESIO
 Vedi, ch’io mi protesto. (a Pandolfo.)
 PANDOLFO
 Non debbo più soffrirti. (si battono, e Don Sempronio si ritira timoroso gridando.)
 DON SEMPRONIO
 Creati, paggi, staffieri, cocchieri,
1015Masti di casa, masti
 Di cerimonie, Segretarj, muzze
 Di stalla, e tutta la Corte alta, e bassa,
 Corrite ccà, tenite llà. (escono servi, e si pongono in mezo a dividere i due, che si battono, esce Lisetta ancora, la quale dice a Pandolfo.)
 
 SCENA VII
 
 LISETTA, e detti.
 
 LISETTA
                                           Signore, (a Pandolfo.)
 Vi chiama Donn’Eufrasia
1020Nella camera sua, e vuol parlarvi
 Cosa di vostro gusto.
 Intanto vaglia la vostra prudenza. (e si ritira.)
 PANDOLFO
 Adesso da lei vengo. (a Lisetta mentre quella parte.)
 DON SEMPRONIO
 (Via acqua, e biento, e furia
1025Di sassi.)
 PANDOLFO
                     Io mi trattengo,
 Ma sol per mia bontà.
 PANDOLFO
                                           Mi ascolti un poco
 Il Signor Don Sempronio, ò Semprasino.
 DON SEMPRONIO
 Discorriate col si Don Alesio,
 Lui sà risponner colla civiltà,
1030Ch’io vi starraggio ad ascordar di quà.
 PANDOLFO
 
    Corre talora un rio
 Umile, e cheto al Mare,
 Che di nuove acque il seno
 Sentendosi gravare
1035Rompe a se stesso il freno,
 E simile a’ torrenti
 E case, e selve, e armenti
 Allaga, e porta giù.
 
    Penza, che tal son’io:
1040Non voglio dirti più.
 
    Umile, e mansueto
 Pacifico, e discreto
 Parlai ti supplicai,
 Io credo, che farai
1045Ciocche vorrò; se nò,
 M’intendi il resto tù.
 
 SCENA VIII
 
 DON SEMPRONIO, e VANESIO.
 
 DON SEMPRONIO
 Se nn’è ghiuto. Oh amicone mio del core (a Vanesio.)
 Puozze campà mill’anne. (lo bacia.)
 Te, justo nfronte. Vi che buoje, commanna.
1050Quà stò pe ttene, spacca, e fà quant’eje,
 Io t’aggio obbrico eterno.
 VANESIO
 Ho creduto adempire
 All’essere civile.
 DON SEMPRONIO
                                E si non era
 Pe st’essere civile benedetto.
1055Imparato li avrei il cataletto.
 VANESIO
 In segno dunque, ond’io possa vantarmi
 D’essere il di lei servo più obligato,
 Posso da lei promettermi un favore
 Con tutta quanta l’ossequiosità?
 DON SEMPRONIO
1060Lei sete il Padronissimo.
 VANESIO
 Vorrei, che ’l mio onorato Don Sempronio
 (Mi sia lecito dirlo
 Coll’ossequio dovuto.)
 DON SEMPRONIO
                                           Senz’assequia,
 Si mme vuo’ bene.
 VANESIO
                                     E con tutti quei debiti,
1065Che son richiesti.
 DON SEMPRONIO
                                   Oh, quando semo a’ debiti
 Sono più i miei.
 VANESIO
                                 La supplico.
 DON SEMPRONIO
                                                         Mi prega.
 VANESIO
 Di far, che Celia sia mia sposa.
 DON SEMPRONIO
                                                          Comme! (restando sorpreso alla richiesta di Vanesio.)
 VANESIO
 Il che sarebbe il contento maggiore,
 Ch’aver potessi.
 DON SEMPRONIO
                                (E una, e una a doje.)
1070Signor, benché, quantunque,
 Dico al si Donn’Alesio mi Signore,
 Con tutte assequie, civiltade, debiti,
 Crediti, ed esigenze, che quantunque
 VANESIO
 Intendo intendo già,
1075La sua gran cortesia vuol favorirmi
 In risposta.
 DON SEMPRONIO
                        Siento, favorisco;
 Ma vo’ dir, che quantunque
 VANESIO
 Gliel’ho richiesta in grazia; e questa grazia
 Non mi sarà negata.
 DON SEMPRONIO
                                        Non Signore.
1080Ma si puol sottoponer, che quantunque
 VANESIO
 Sottoponere, e a chi? Mi sono a lei
 Sottoposto abbastanza
 Con prieghi, con modestia, e con creanza.
 DON SEMPRONIO
 Lei dice bene, ma però, quantunque
 VANESIO
1085Amico, io non son uso a comportare,
 Che mi si venga meno di parola,
 Io gli parlo alla schietta:
 M’ha promesso, e mancare
 Sarebbe una assai brutta inciviltà.
 DON SEMPRONIO
1090M’ha frosciato se’ corde
 Chisto co sta mmalor de civiltà.
 VANESIO
 
    Ella è pien di cortesia,
 Io son tutto convenienza;
 Ma del resto, io mi protesto,
1095Sò che dire, e sò che far.
 
    Se mi fa poi villania,
 Se poi perdo la pazienza,
 Scusi lei, i pari miei
 Non son usi a sopportar.
 
 SCENA IX
 
 DON SEMPRONIO.
 
 DON SEMPRONIO
1100Che borrà gnefecà sto parlà muzzo,
 Che mmò mm’ha fatto sto sio Perucchella!
 Io me lo ssonno, ca nce abbusco. Via
 Abbesogna, che scrasta da sto pietto
 Celia: e no la scrastà, ca chisti duje
1105Screstano a ttene; orsù, che se la piglia
 Chi vo’ và chia’, ccà stà ll’auto arravuoglio.
 Sì la cedo a Pannocchia: chisto lloco
 Po’ se nne venerrà,
 E mme le sona co la civiltà.
1110Dammola a Don Alesio ò ppotta d’oje
 E chi mme sarva po da chillo pesta?
 Io so’ confuso! vi che ghioja è chesta!
 
    So’ storduto, so’ mpazzuto!
 Che resorvo? addove stò?
1115Ammenaccia chillo llà;
 Perolea chisto da ccà,
 Mme stroppea pe ttierzo Ammore:
 Tutto nziemme dalle dalle
 No conzierto de ferrare
1120Tengo mpietto nzanetà!
 
    Via lassammola e lo core
 Maro mè, no lo ppò fare.
 Nuje ammammola, e sti duje
 Cojetare chi le bo’?
1125Io mo faccio che? che ssaccio.
 Lo cerviello, comm’a strummolo
 Già mme sento rociolà.
 
 SCENA X
 
 FLAVIO, e MATILDE.
 
 MATILDE
 Dunque Arnaldo ti disse,
 Che m’odia tanto?
 FLAVIO
                                     Appunto.
1130(Così mi giovi d’irritar costei
 Contro Rinuccio)
 MATILDE
                                  Ah perfido!
 FLAVIO
                                                          E soggiunse,
 Che mai per te nel seno
 Fiamma d’amor l’accese, e se in quel tempo
 Ei parve, che t’amò, fu solo un sfogo
1135D’un giovenil furore.
 MATILDE
 Ah, che moro in sentirlo! ah traditore!
 FLAVIO
 Parto, o bella, e sol penza,
 Se merita un malvaggio
 L’onor dell’amor tuo, se rigor tanto
1140Merta mia fedeltà, mio lungo pianto. (parte.)
 MATILDE
 Che nera infedeltà! Giurarmi amore,
 Dalla padria rapirmi,
 Portarmi altrove, e poi così tradirmi!
 E vantarsene ancor! ed io pur l’amo!
1145Ed io così trattata
 Pur fremo irresoluta, e invendicata.
 
    Che affanno crudele,
 Che pena spietata
 È amare fedele
1150Un anima ingrata,
 Che offende l’amore,
 Che fede non ha!
 
    Sia grande il contento,
 Che amando si provi,
1155Maggiore è il tormento,
 Se avvien, che si trovi,
 Chi un vil tradimento
 Per premio ti da.
 
 SCENA XI
 
 LISETTA, e VANESIO.
 
 LISETTA
 Venite, ser Vanesio,
1160Donn’Eufrasia vi chiama,
 E vuol, che in ogni conto
 Voi per suo amor vi rappacificate,
 Con il Signor Pandolfo; ed ancor io
 Vi prego, anzi vi supplico
1165Rappattumarci insieme,
 Se dell’offesa, ch’io vi ho fatta, causa
 Fu Amore.
 VANESIO
                       Oh mia Signora, anzi, e per quella,
 E per voi sono pronto, e lesto a fare
 Pace con chi che sia.
 LISETTA
                                        E a tale effetto
1170La mia Padrona ora ha fatto ordinare
 Nel Giardin tra voi tutti
 Belli divertimenti,
 Con varie sorti ancor di complimenti.
 VANESIO
 Opera da sua pari. La creanza
1175Vuol, che vada a inchinarla. (vuol partire.)
 LISETTA
                                                      Ma fermate,
 Sì presto mi lasciate? questo è segno,
 Che voi con me sete turbato ancora.
 VANESIO
 Anzi nò, mia Signora,
 Io sono d’un cuor tenero,
1180Mi adiro, e placo subito. (vuol partir come sopra.)
 LISETTA
 Pur volete lasciarmi?
 E nemmen vi degnate di mirarmi?
 VANESIO
 Permettami, che dica
 Con tutta libertà,
1185Nulla offendendo la sua civiltà:
 Lo star vicino a voi
 È un po’ pernicioso,
 LISETTA
                                       E la cagione?
 VANESIO
 E la cagione è nota:
 Se si sognasse alcuno
1190Mirarvi per amore, o per diletto
 Alcuna di voi femmine.
 È gito il poveretto;
 Perché, o li fate spendere
 I denari, ed il tempo senza frutto,
1195O senz’altro trasporto,
 L’abbandonate, esanimato, e smorto.
 LISETTA
 Ma io non son di queste.
 VANESIO
 Come nò? Se stamane
 Appena vi ho guardata,
1200E parlatovi un po’, che me l’avete
 Rinfacciato in presenza
 Di Celia, e quel ch’è peggio
 Volevate osservata la promessa,
 Che non vi ho fatta, e parvi,
1205Che sia dover, che sia civiltà questa?
 LISETTA
 Ma vi ho detto, che Amor
 VANESIO
                                                 Che Amor, che Amore?
 Queste son scuse in vano,
 Amor non è cagion d’atto villano. (parte.)
 LISETTA
 Questo Signor Vanesio
1210Vuol tentar di scapparmi, ma s’inganna.
 Ei non si vanterà,
 D’aver meco parlato,
 E non ci aver lasciato
 Fin le penne maestre. Io son Lisetta,
1215Sò quel che dire, e fare,
 E sò con ogni vento navigare.
 
    Ogni Donzella
 Del mio mestiero
 Vegga il Nocchiero,
1220Come fa in Mare:
 Se favorevole il vento spira
 Tutte le vele fa dispiegare,
 Ma se contrario si và mutando,
 Le vele accoglie,
1225E bordeggiando
 Per l’onde và.
 
    Così cogli uomini
 De’ fare anch’ella,
 finché in lor durano
1230L’ardenti voglie,
 Li faccia spendere denari a furia;
 Se poi si mutano,
 Faccia carezze, lusinghe, e vezzi
 Finché il buon tempo ritornerà.
 
 SCENA XII
 
 Giardino.
 
 DON SEMPRONIO, e VANESIO in un canto giocando insieme a’ scacchi. MATILDE, e FLAVIO seduti in altra parte discorrendo tra loro. CELIA e PANDOLFO seduti in altra parte discorrendo tra loro, e poi RINUCCIO. Cembalo.
 
 DON SEMPRONIO
1235(Lei sa far de’ bei tratti (a Vanesio giocando tra loro.)
 Si Donn’Alesio.)
 VANESIO
                                 (Sono (a Don Sempronio.)
 Discepolo di lei.)
 MATILDE
 (D’ogni mio affronto
 Vendicarmi saprò) (a Flavio.)
 FLAVIO
1240(Colla prudenza
 Si vince il tutto.) (a Matilde.)
 PANDOLFO
                                   (Io voglio,
 Che voi vi dichiarate, o sì, o nò.) (a Celia.)
 CELIA
 (Mi spiegai abbastanza.) (a Pandolfo.)
 DON SEMPRONIO
                                                 (Oh potta d’oje!
 Vi’ comme s’è piantato Rocco
1245Sopra quella Petina.) (guardando Pandolfo che discorre con Celia.)
 VANESIO
 (Movete.) (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
                       (E che buo’ movere?
 Nc’è chi move pe mme.)
 FLAVIO
 Il Cavaliere, Signora sorella,
 Ecco già vien.
 CELIA
                            Rinuccio!
 PANDOLFO - VANESIO
                                                (Il Cavaliere!)
 MATILDE
1250(Ve’ con qual fasto vien, ve’ con qual fronte!)
 DON SEMPRONIO
 (E bengace pe ttierzo Rodomonte.) (tutti guardano con mal occhio il venir di Rinuccio, eccetto Flavio, e Celia, la quale lo va ad incontrare.)
 RINUCCIO
 (È somma mia ventura,
 Potervi dedicare
 Miei riverenti ossequj.) (a Celia.)
 CELIA
                                               (Ah quanto debbo
1255Esser teco sdegnata; ma mia zia
 Vuol, ch’io mi rappacifichi con teco.) (a Rinuccio.)
 DON SEMPRONIO
 (M’ho sarvato dal Rocco,
 Ed è venuto attempo
 Sto cancaro d’Arfiero
1260Per darmi schiacco matto.) (guardando Rinuccio, e Celia.)
 PANDOLFO
 (Mi lascia quà colei, come una bestia.
 E poi dicono, ch’io
 Non ho creanza: eh adesso
 Saprei che far.) (s’alza, e và dove giocano Vanesio e Don Sempronio.)
 MATILDE
                                 (La gelosia mi uccide.) (a Flavio vedendo insieme Celia, e Rinuccio.)
 FLAVIO
1265(È gran follia, Matilde,
 Penar per un ingrato.) (a Matilde.)
 DON SEMPRONIO
 Si vuol spassare un poco
 Il sì Pannocchia? (a Pandolfo invitandolo a giocare.)
 PANDOLFO
                                   Attenda,
 Goderò di vedere.
 VANESIO
                                    Io cedo, veda, (a Pandolfo con cerimonie.)
1270Il luogo, se comanda.
 PANDOLFO
                                         Attenda. (a Vanesio.)
 VANESIO
                                                           Senza
 Esagerazione. (come sopra.)
 PANDOLFO
                              Attenda (a Vanesio con flemma.)
 VANESIO
                                               Il dico
 Dal miglior senno.
 PANDOLFO
                                     Attenda. (come sopra.)
 VANESIO
                                                       E mio favore
 Sommo sarà
 PANDOLFO
                          Attenda col diavolo. (con ira.)
 Non vò giocar, messer mio nò, m’intende?
 VANESIO
1275Bene, mi tacerò.
 DON SEMPRONIO
                                 (Vide, che spasso
 Trà un cerimonioso, e un scrianzato (Ed avvedendosi di Rinuccio, che tuttavia parla segretamente con Celia dice.)
 E intanto il cavaliere colla Dama
 Songo arrivate nzi’ a le nuce vecchie.)
 RINUCCIO
 (Vi replico, che a ttorto
1280Sete con me sdegnata.) (a Celia.)
 CELIA
 Come nò, se da voi fui rifiutata?
 MATILDE
 (Qual novello tormento, oddio, mi affligge!)
 PANDOLFO
 (La rabbia mi trafigge!)
 VANESIO
 (Il fistol mi divora!)
 DON SEMPRONIO
1285(Il gioco hà preso papera
 A rrivederci a giorno.)
 MATILDE
 (Io l’interromperò.) Signor Rinuccio,
 Si seda un poco al cembalo. Vogliamo
 Sentire qualche cosa
1290Di bello.
 RINUCCIO
                   Ubbidirò. (Sedete meco
 E il tutto sentirete.) (a Celia.)
 CELIA
 (Mentre toccate il Cembalo (a Rinuccio.)
 Parlarem con più agio
 Senza soggezzione.)
 RINUCCIO
1295(Peni così l’infida.) (Verso Matilde, sedendo al Cembalo, ed al suo lato siede Celia, e mentre tocca il cembalo, egli stà tutto distratto in parlar con Celia.)
 MATILDE
 (Oddio, morir mi sento!) (a Flavio.)
 FLAVIO
 (Vedi se hò detto il ver.) (a Matilde.)
 VANESIO
                                                (Questo è tormento.) (vedendo i due al cembalo.)
 PANDOLFO
 (Oimè che capogiri.)
 DON SEMPRONIO
 (E in somma sto mmalor di Cavaliero
1300Se la vo’ magnà propio chella Dama.) (Giocando, e guardando i due al Cembalo.)
 MATILDE
 (Mi si avvanza il furor. Datemi luogo, (a Flavio.)
 Ch’io parlar possa col Signor Pandolfo.)
 FLAVIO
 Farò, com’ella vuol. (a Matilde.) (Godo, che Arnaldo
 Si divertisca a favellar con Celia.) (S’alza da lato a Matilde.)
 MATILDE
1305(Eh, mio Signor Pandolfo,
 Un po’ del suo Rapè.)
 PANDOLFO
                                          (Mio favor sommo.) (Si accosta a Matilde, e le dà del tabacco.)
 CELIA
 (Questa sera a dispetto
 Di chi si vuol, sarà conchiuso il tutto) (a Rinuccio.)
 RINUCCIO
 (Ne sospiro il momento.) (a Celia come sopra.)
 DON SEMPRONIO
1310(Starem sino a sta sera ad infettarci
 In questo gioco, e intanto
 Quel Signore ave fatto un ritornello (a Vanesio additando Rinuccio al Cembalo.)
 Di ducento battute, e nò spapura
 Un cancaro dinota.)
 VANESIO
1315Accostiamoci, e in tal modo
 Si canterà.
 DON SEMPRONIO
                       Dici assai ben. (Lasciano di giocare, accostandosi ambedue al Cembalo.)
 MATILDE
                                                    Signore (a Pandolfo.)
 Perché all’impiedi? favorisca.
 PANDOLFO
                                                        Ho gusto
 Star così.
 MATILDE
                    (Devo dirli
 Cosa di suo contento: vuol ch’io m’alzi?)
 PANDOLFO
1320Eccomi son seduto. (siede, e parla con Matilde segretamente.)
 DON SEMPRONIO
                                       Mi Signora,
 ci canti una rietta. (a Celia.)
 VANESIO
                                     Vel pregamo
 Con i termini tutti (a Celia.)
 Di civiltade.
 DON SEMPRONIO
                          Si c’intende già
 Con tutta civiltà.
 CELIA
                                 La servirei,
1325ma non mi fido, un raffreddor di petto
 non mi fà respirare.
 VANESIO
 Queta è la scusa d’ogni Virtuosa,
 Quando non vuol cantare.
 RINUCCIO
 Il Signor Don Sempronio
1330Favorirà cantarci
 Qualche cosa del suo.
 DON SEMPRONIO
                                         Compatiranno,
 Mi dole il zizzinello.
 CELIA
                                       Eh, quel Signore,
 Vuole in tal modo far desiderabile (a Don Sempronio.)
 La sua virtù.
 DON SEMPRONIO
                          Signora
1335Giacché così comanda, ubbidirò!
 Ma non creda sentire
 Canto simile a quello,
 Che facea Orfeo al suon del violino
 In quella gran barriera d’animali,
1340Dove entrò in un sol ballo
 L’Asino colla Scimia, e il Pappagallo.
 MATILDE
 (Ed io vi torno a dire
 Da senno, che se voi qui non usate
 La vostra violenza, Celia d’altri
1345Senza dubio sarà!) (a Pandolfo.)
 FLAVIO
 (A qual stretto discorso (tra se guardando i due.)
 Son Pandolfo, e Matilde!)
 PANDOLFO
 (Adunque voi mi dite,
 Che qui faccia rumor?) (a Matilde.)
 MATILDE
                                              (No questo; udite.) (e seguitano a discorrer segreto.)
 RINUCCIO
1350Sieda, Signor Vanesio, ed accompagni
 Lei, ch’è più virtuoso Don Sempronio.
 VANESIO
 Come comanda, sedo. (Rinuccio s’alza, e siede con Celia in un lato, mentre Vanesio siede al cembalo.)
 DON SEMPRONIO
 (Eccole a sciato a sciato un altra volta,
 Io mò nne vottarria
1355Lo juorno quanno nacque Marcantonio!)
 VANESIO
 Ch’è questo? (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
 Una Cantata, che compose
 Poeta Pipistrello al Pipistrello
 Per essere egli simile
1360E di fatti, e di nome al detto uccello. (Vanesio suona.)
 DON SEMPRONIO
 
 (canta.) \DPipistrello innamorato \D(Incominciando Don Sempronio a cantare s’interrompe da se stesso, vedendo Rinuccio favellare con Celia, e non seguitando. Vanesio che suona si volge, e dice a Don Sempronio.)
 
 VANESIO
 Cos’è?
 DON SEMPRONIO
                Non se ne fà nota deritta,
 Ca il Cembalo è scordato.
 VANESIO
 Che dite? Egli va bene.
 DON SEMPRONIO
 Io dico, ca và male. Seguitammo
1365Via, comme jammo jammo.
 
 Pipistrello innamorato (canta come sopra.)
 
 (N’è pioppita, è diluvio!)
 VANESIO
                                                Seguitate. (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
 Non vedo ben da quà, vedesse meglio
 Dà llà. (E passa dall’altra parte del Cembalo, dove son seduti Celia, e Rinuccio, i quali s’alzano, ed uniti s’avvian passeggiando insieme verso l’altra parte della scena.)
 RINUCCIO
                 Come vi aggrada (a Don Sempronio.)
1370Vieni mia Celia, favellar ti deggio. (a Celia.)
 DON SEMPRONIO
 (Abbiamo fatto peggio)
 RINUCCIO
 (Fingiam giocari a scacchi, e in questo modo
 Ragionaremo senza impedimento.) (a Celia. Celia, e Rinuccio si pongono a giocare a scacchi.)
 MATILDE
 (Andate con i modi (a Pandolfo.)
1375E portatevi Celia passeggiando
 Con voi.) (a Rinuccio.)
 PANDOLFO
                     (Così farò.) (a Matilde.)
 DON SEMPRONIO
 (Quelli fanno a commare
 Datemi la setella.) (a Vanesio guardando Celia, e Rinuccio.)
 VANESIO
                                     Non cantate?
 DON SEMPRONIO
 Signore, ora canto. (a Vanesio.) (Auh che frate!)
 
1380Pipistrello innamo (viene interrotto da Pandolfo, che accostandosi con ira dove Celia, e Rinuccio giocano, prende lo scacchiere con empito, e lo butta via, prendendo Celia per mano per condurla seco, e nell’istesso tempo s’alzano tutti.)
 
 PANDOLFO
 Eh vadano in malora
 I scacchi, e lo scacchier. Venga Signora. (a Celia.)
 RINUCCIO
 Olà, signor Pandolfo, dove s’usano
 Questi rustici modi?
 PANDOLFO
                                         In quel paese
1385Dove s’usa la vostra gran creanza.
 Andiamo. (a Celia come sopra.)
 CELIA
                       Anima vile,
 Trà bruti, o trà simile
 Turba nato sarai
 Non osar più di favellarmi mai. (a Pandolfo e parte sdegnata.)
 MATILDE
1390Ovunque vadi indegno
 Sarai bersaglio del mio giusto sdegno. (a Rinuccio, e parte.)
 FLAVIO
 Spargesti, amico, ogni arroganza invano. (a Pandolfo e parte.)
 RINUCCIO
 Gli è teco cortesia l’esser villano. (a Pandolfo, e parte.)
 DON SEMPRONIO
 (Or’io frà st’arravuoglio
1395Zitto zitto sbignare me la voglio.) (mentre Don Sempronio vuol partire di nascosto, se li fà avanti Pandolfo, e l’arresta.)
 PANDOLFO
 
 Dove vai?
 
 DON SEMPRONIO
 
                      Vao passeanno,
 Non potesse passeà?
 
 PANDOLFO
 
 Vanne pur, dove tu vuoi,
 Però penza à casi tuoi,
1400Che se Celia non è mia,
 Tu sei morto in verità.
 
 DON SEMPRONIO
 
 Non s’incommiti Usseria,
 Quel che vole si farrà. (ciò detto vuol partire per altra parte, e se li fà incontro Vanesio.)
 
 VANESIO
 
 Dove và? (a Don Sempronio.)
 
 DON SEMPRONIO
 
                      Vao cammenanno,
1405Non Potesse cammenà?
 
 VANESIO
 
 Vadi pur dove vuol lei,
 Però badi a mali miei.
 Or gliel dico in cortesia,
 Non sò poi, che ne sarà.
 
 DON SEMPRONIO
 
1410Non si appletti, gioia mia,
 Quel ch’io fò lo bederrà. (si fa in disparte, e trà se dice.)
 (Ora vi, che betoperio,
 Si mme mpesto, si mme nfurio,
 No sconquasso, no streverio
1415Mo te faccio)
 
 PANDOLFO
 
                           Che?
 
 VANESIO
 
                                       Che dici? (a Don Sempronio.)
 
 DON SEMPRONIO
 
 Niente, niente, sto parlanno
 Comm’à ppazzo sulo sulo.
 Manco chesto pozzo fà?
 
 PANDOLFO
 
 Quel che hò detto ai nteso già. (parte.)
 
 VANESIO
 
1420La mia mente già la sà. (parte.)
 
 DON SEMPRONIO
 
 Vi’ che ghioja è chesta ccà? (parte.)
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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