Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 La Matilde, Napoli, a spese di Nicola di Biase, 1739
 a cura di Nicola Ruotolo
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO III
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera.
 
 LISETTA, e DON SEMPRONIO.
 
 LISETTA
 Venite pure , signor Don Sempronio,
 Chi alla fin fine v’ha da dar timore
 In casa vostra?
 DON SEMPRONIO
                              Aje ditto a Nicolino.
1425Ed all’autri lacchee, che stiamo leste
 A scippà, quann’io strillo.
 LISETTA
 Non dubitate, vi dic’io.
 DON SEMPRONIO
                                             Sto cancaro
 Del sì Pannocchia è un mal piezzo di carne,
 Io creo, che mi postea.
 LISETTA
1430Signore, io vi consiglio
 A dire il tutto a Celia, e sgabellatevi
 Di tale affar.
 DON SEMPRONIO
                          Ti pare, ch’io le dica,
 Che il sì Pannocchia vo’ fà il matrimonio,
 E bole ch’io le faccia il porta polli?
 LISETTA
1435Appunto.
 DON SEMPRONIO
                     Dici bene
 
 SCENA II
 
 PANDOLFO, VANESIO, CELIA, MATILDE, e RINUCCIO, e li già detti.
 
 PANDOLFO
 Hò parlato abbastanza, e avrei creduto
 Essere stato inteso. (viene parlando da dentro, e sentendolo Don Sempronio si volta sbigottito.)
 DON SEMPRONIO
                                       Oh potta d’oje!
 Il sì Pannocchia. (e fugge verso l’altra parte.)
 PANDOLFO
                                  Signora Matilde
 Glielo faccia capir. Oh Don Sempronio
1440Appunto vi volea.
 DON SEMPRONIO
 Vengo chiamato, caro il sì Pannocchia
 Da signora cognata.
 PANDOLFO
                                       Alla signora. (a Lisetta.)
 Dite pur voi, ch’egli aveva fa commeco.
 Don Sempronio, mi senta (a Don Sempronio.)
1445Una parola. Torno a replicarvi (a Rinuccio.)
 Che andate via.
 LISETTA
                                (Potete dire adesso (Lisetta parte, e partendo dice questo a Don Sempronio.)
 Il tutto a Celia.)
 VANESIO
                                Cattera!
 Cotesta è una assai rozza villania
 Cacciare un Gentiluomo. (verso Pandolfo.)
 PANDOLFO
                                                 Oh il Barbagianni. (a Vanesio.)
1450E tù ancora con lui devi andar via.
 MATILDE
 Ve’ con qual tracotanza (verso Rinuccio.)
 Stà quì, né pur si parte.
 RINUCCIO
 (Dell’infida Isabella
 È ciò comando.)
 CELIA
                                 (Io son confusa!)
 PANDOLFO
                                                                  Io credo,
1455Che m’intendi una volta? (a Rinuccio.)
 RINUCCIO
 Io credo, che vi è noto
 Che quì è colei, che a tutti i patti è mia
 Onde partir non posso.
 DON SEMPRONIO
 Mi Signora , vi devo (a Celia.)
1460Pregare d’un servizio.
 CELIA
 Vi prego a pazientar.
 DON SEMPRONIO
                                         Bene, a suo sfizio.
 PANDOLFO
 Don Sempronio, da voi debbo promettermi
 Altro favor.
 DON SEMPRONIO
                        Mò sì Pannocchia mio.
 Signora, hò da pregarla. (a Celia.)
 CELIA
                                               In altro tempo,
1465Se vi aggrada. (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
                              Si serva
 A suo commodo (a Celia.)
 VANESIO
 Io quì sono a servirla
 Col più umile ossequio ossequiosissimo (a Celia.)
 CELIA
 Appresso parleremo. (a Vanesio.)
 VANESIO
                                          Usi il suo arbitrio,
1470Io taccio. (a Celia.)
 PANDOLFO
                     (Quasi Arrabbio!)
 RINUCCIO
                                                        (In quali estremi
 Ridotto è questo core.)
 CELIA
                                            (Qual pena, Oddio!)
 MATILDE
 (Qual dur’affanno!)
 DON SEMPRONIO
                                       (Hò fatto
 Un pajo di premmoni
 Ch’à bedereli è proprio un bituperio.)
 PANDOLFO
1475Signore Don Sempronio,
 Rimediate, o ch’io do nelle streghe.
 DON SEMPRONIO
 Chi è strega? Ussignoria vo’ pazziare? (a Pandolfo.)
 Signora si vuol farsi supplicare? (a Celia.)
 CELIA
 C’è tempo. (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
                        Aspetto un mese.
 VANESIO
1480Mi vuol sentire adesso. (a Celia.)
 CELIA
 Sentirovvi in altr’ora (a Vanesio.)
 VANESIO
                                          Aspetto un anno.
 PANDOLFO
 Risolva, Don Sempronio, ò mi cimento.
 DON SEMPRONIO
 Si Panno’ gioja mia, mò, ch’aggio io pure
 Li guaje mieje.
 MATILDE
                               Ma Signore, (a Don Sempronio.)
1485Se voi non comandate, che colui (additando Rinuccio.)
 Vada via, certamente
 Succederà alcun danno. (Il traditore
 Si punisca così.)
 DON SEMPRONIO
                                 Chi? il sì Carluccio?
 PANDOLFO
 Appunto, ei vuole quì fermarsi a forza.
 DON SEMPRONIO
1490Comme pe fforza? oh questa è meglio; veda
 Lei il mio si Carluccio,
 Se ci hà da suppricare
 Avirrà udienza un’altra volta: Intanto
 Vada ello.
 RINUCCIO
                     Non voglio cos’alcuna,
1495eccetto quel ch’è mio.
 DON SEMPRONIO
 Non vuole cos’alcuna, sio Pannocchia.
 PANDOLFO
 Fate, che di là parta, col Diavolo.
 DON SEMPRONIO
 (Tuorce.)
 CELIA
                     (O cordoglio!)
 VANESIO
                                                 (O gran discortesia!)
 DON SEMPRONIO
 Eh ci facci il servizio
1500Di filarsela un poco ussignoria. (a Rinuccio.)
 VANESIO
 Ma questo parmi un grave pregiudizio
 Dell’essere civile, un Cavaliere
 S’hà da cacciar di casa in questo modo?
 Dove si vide mai? (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
                                     E dice bene
1505Colà il si Donn’Alesio. (a Pandolfo.)
 PANDOLFO
 Io vo’ che parta. (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
                                 Parti. (a Rinuccio.)
 RINUCCIO
 Io partir non mi voglio. (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
 E lei si stia.
 MATILDE
                         Che ardir! (contro Rinuccio.)
 CELIA
                                               Che rustichezza! (contro Pandolfo.)
 VANESIO
 Ve’ che rozzo villano!
1510Più comportar nol posso. (e parte.)
 PANDOLFO
 Fà, che colui sen vada in tutti i conti,
 Presto, olà. (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
                        Patron mio, che vuol ch’io faccia?
 Oscia vol che si parta,
 Quisso non si vol movere.
1515Aghiustatevi voi, ch’io faccio piovere.
 PANDOLFO
 
    Non vuol partirsi?
 Partirò io;
 Ma tornerò,
 Con tanta rabbia,
1520Con tanta furia,
 Che senti aspetta
 Egli colei
 Così si offendono
 I pari miei?
1525Oh che vendetta,
 Che ne farò.
 
    Io tornerò
 Qual’uomo offeso,
 qual vilipeso,
1530E a sangue, e fuoco
 Cotesto luoco
 In un incendio
 Rovinerò.
 
 SCENA III
 
 DON SEMPRONIO, RINUCCIO, MATILDE, e CELIA.
 
 DON SEMPRONIO
 Ora veda ossoria, chi me l’hà mmiso
1535Ncasa questo ziferno! Io so’ il Padrone,
 E isso stace a commannà le ffeste,
 Vo’ accidere, abbrusciare.
 Nò, si mme salta il mingrio
 All’ultimo le manno lo cartello,
1540E le ntimo a mmalora no duello.
 
    Chisto le ffemmene
 Le bo’ co isso,
 Chisto coll’uommene
 Vo’ fà l’aggrisso,
1545Chisto è Patrone
 De quà ncredenza,
 Vi s’è pacienza,
 Che se pò avè!
 
    Non è neozio
1550Da sopportare,
 La cosa a sanco
 Vace a parare
 Mme guarde a mmè.
 
 SCENA IV
 
 MATILDE, CELIA, e RINUCCIO.
 
 CELIA
 Dunque tanto contrasto
1555Si fa, perché Rinuccio non sia mio?
 MATILDE
 Celia, quanto si oppone
 Il Cielo a queste nozze
 È per tuo ben, ma cieca non ti avvedi,
 Che tu dietro al tuo mal, misera, corri.
 CELIA
1560E perché?
 RINUCCIO
                      (Che dirà!)
 MATILDE
                                             Questi, che credi
 Di fedeltade essempio,
 È tra’ malvaggi il più malvaggio, ed empio.
 CELIA
 E fia ver?
 RINUCCIO
                     Ah Matilde, ah taci.
 MATILDE
                                                           Indegno, (a Rinuccio.)
 Non è più tempo di tacer. Costui (a Celia.)
1565Dopo aver con promessa
 Di casto amore seco dalla Padria
 Portata una Donzella
 Non men d’altra gentile,
 Lasciolla in strania parte,
1570E l’amore, e ’l dover pose in non cale:
 Udisti alma più rea, più disleale?
 CELIA
 Rinuccio, che rispondi?
 È ver, che tal donzella
 Amasti un tempo, e poi
1575Lasciasti in abbandono?
 RINUCCIO
 Quella Oddìo Che dirò? confuso sono!
 CELIA
 Taci, non parlar più, ti leggo in volto
 A carattere espresso
 L’empio delitto, il tradimento istesso.
 
1580Quanto è difficile
 Or fra gli amanti
 Sperare un segno.
 Di vero Amore
 Trovar un Raggio
1585Di fedeltà.
 Tutti si vantano
 Esser costanti,
 E la costanza,
 Non v’è, chi sà.
 
 SCENA V
 
 MATILDE, e RINUCCIO.
 
 RINUCCIO
1590Lasciar dunque non vuoi di più insultarmi,
 Dispietata Isabella?
 MATILDE
 E così parli a quella,
 Che tanto orribilmente
 Offendesti, tradisti?
 RINUCCIO
1595O audacia estrema!
 E rinfacci a me stesso
 Quello, che a te dovrei ben giustamente
 Io dire, e taccio.
 MATILDE
                                Attorto da me dunque
 Calunniato sei?
 RINUCCIO
1600E pur tentarmi vuoi, perché tu chiuda
 La bocca, e vegga i tuoi rossori, e insieme
 Le offese, che m’ai fatte: Eccoti. Leggi?... (le dà un foglio.)
 E poiché di mie ingiurie
 Avrai gl’occhi pasciuti in quella carta,
1605Da me ten’ fuggirai,
 Né sperar più di rivedermi mai.
 MATILDE (legge.)
 Insiem con Isabella da due giorni
 Abita un forestiero, e seco vive
 Con poca buona fama Oimè, che leggo!
1610Quali orribili note? Arnaldo ai lassa
 Or veggo, ch’ai ragione?
 Ma sappi.
 RINUCCIO
                      Il labro chiudi,
 Che di pari mi offendono
 Le vane scuse, e le perfidie tue.
 MATILDE
1615Non ho mancato. Credi
 A detti miei veraci.
 RINUCCIO
 Sei falza, e quando parli, e quando taci.
 MATILDE
 Quel che venne in mia casa
 RINUCCIO
                                                    Era l’indegno
 Cui tu vendesti con mercato infame
1620Tuoi disonori, e miei.
 MATILDE
 T’ingannasti.
 RINUCCIO
                           Sì certo.
 Allor, che diedi orecchio all’empio incanto
 Di Sirena bugiarda, e lusinghiera.
 MATILDE
 Fu calunnia
 RINUCCIO
                         Nol niego
1625Fu calunnia, ed inganno
 La tua fede, il tuo amor, che mi abbagliaro
 I senzi, e più la mente.
 Ma ti conobbi poi.
 MATILDE
 Sono innocente.
 
1630Sì, che innocente io sono
 Deh placati ben mio,
 Da te non vo’ perdono
 Ma un atto di pietà.
 
 RINUCCIO
 
 Nò, che infedel tu sei
1635Deh parti dal cor mio
 Da me sperar non dei,
 Che sdegno, e crudeltà.
 
 MATILDE
 
 Sol ti ricorda almeno
 Del nostro primo amore.
 
 RINUCCIO
 
1640Sol penza come in seno
 Penò per te il mio core.
 
 MATILDE
 
 Perché poi m’abborristi?
 
 RINUCCIO
 
 Perché poi mi tradisti?
 
 MATILDE
 
 Ah ch’un eccesso è questo.
 
 RINUCCIO
 
1645Di barbara empietà!
 
 MATILDE - RINUCCIO
 
 Mi scorre nelle vene
 Gelato orror di morte.
 La sorte ad altre pene
 Serbando ancor mi và.
 
 SCENA VI
 
 VANESIO, e FLAVIO.
 
 VANESIO
1650Dunque mi dici, Flavio,
 Che poca speme resta all’amor mio
 Di Celia?
 FLAVIO
                     Amico, io credo esser dovuto
 Alla nostra amistade
 Cotesto disinganno.
 VANESIO
1655Dunque sia d’altri Celia?
 FLAVIO
 Certo, da che il suo core
 Per altri stà nell’amoroso ardore.
 VANESIO
 Oh pene! oh gelosia!
 FLAVIO
 Puoi consolarti, ch’a penar non sei
1660Solo però: infinita
 La turba ell’è degl’infelici amanti,
 Che in doglie, in pene, in pianti
 Vivono, dal tiranno lor Signore
 Lasciati in abbandono,
1665Ed un di questi anch’io, misero, sono.
 
    Nel Regno dell’Amore
 Ogni ragion si fugge,
 In mille guise un core
 Ivi si offende, e strugge,
1670È pronto ogni martire,
 È incerto ogni gioire,
 E vanno sempre insieme
 La speme, ed il timor.
 
    Un barbaro governo
1675Nell’alma ognor ti fanno,
 Con il sospetto interno
 L’affanno, ed il dolor.
 
 SCENA VII
 
 VANESIO, e LISETTA.
 
 VANESIO
 (O Mia amorosa servitude indarno
 Da me sofferta, e come
1680Sei mal guiderdonata!) (viene Lisetta.)
 LISETTA
                                              (Ecco Vanesio
 Par, che turbato stia: forse avrà inteso,
 Che Celia non lo vuol.)
 VANESIO
                                            (Così il mio amore
 Vien schernito.)
 LISETTA
                                 (Già il dissi, è tempo omai
 Di parlarti di nuovo
1685Dell’amor mio.)
 VANESIO
                                (E tal pena nojosa.
 Soffrire io debbo privo della sposa?)
 LISETTA
 
    Io son tua sposa, (a Vanesio facendosi avanti.)
 Io son tua moglie,
 Né altro affanno,
1690Né altre doglie,
 Se non l’amore,
 Se non il core
 Signor mio caro
 Ti porterò.
 
 VANESIO
 
1695   Non vo’ più sposa, (a Lisetta con ira.)
 Non vo’ più moglie,
 Non mi verranno,
 Più queste voglie,
 Tutte le femine
1700Da ora avanti
 Come le furie
 Io fuggirò.
 
 LISETTA
 In questo modo adunque
 Accogliete una sposa?
 VANESIO
                                          Chi è la sposa?
 LISETTA
1705Son io.
 VANESIO
                E chi è lo sposo?
 LISETTA
                                                Siete voi.
 VANESIO
 Rider mi fai, e pure
 Voglia non ho di ridere.
 LISETTA
 Anzi ridete, gioite, scherzate,
 Che ben è tempo.
 VANESIO
                                   Tempo
1710Sarebbe omai, che lei
 Mi lasci stare in pace.
 LISETTA
 E pace, e triegua, e tutto
 Vengo a portarvi, come vostra sposa.
 VANESIO
 E pure colla sposa? Io ve ne prego
1715Con tutta la modestia
 Lasciate questi termini.
 LISETTA
 Oddio! così parlate ad una sposa?
 VANESIO
 Che sposa! Sposa il fistolo.
 Orsì, che rompo il freno, e mando a monte
1720Tutta la Civiltade.
 LISETTA
 Sempre vostra sarò
 Dolce ben mio, o vi adirate, o no.
 
 Corre la pastorella a la montagna
 Per ritrovar l’amato suo pastore;
1725Al fin dal monte scende a la campagna
 Lo trova, e così sfoga il suo dolore:
 Mio caro pastorello
 Se sei così gentile,
 Come sei vago, e bello,
1730Deh non avere a vile
 Il mio sincero amore,
 Tua pastorella io son, tu mio pastore.
 
 SCENA VIII
 
 VANESIO.
 
 VANESIO
 Tu mio pastore, e bà
 Costei pian pian ficcando me la và.
1735Stà in te Vanesio vedi
 Di non restar preso, qual pesce all’amo,
 Penza, che amante sei
 Di Celia: sii costante: e se contraria
 La vedi all’amor tuo,
1740Non ti sgomenti ciò. Suole la donna
 A momenti mutarsi, e suole spesso
 Gioire un cor, che più si crede oppresso.
 
    Bello apparirne suole
 Dal sen di nube ombrosa,
1745Più risplendente il Sole
 A rallegrare il dì.
 
    Placato il caro bene
 Le mie amorose pene
 Liete farà così.
 
 SCENA IX
 
 Edificj diruti à canto il Palaggio di Don Sempronio, a gli appartamenti del quale si ascende per una scala scoverta, e meza ruvinata in cima della quale vi è una porticella, che conduce a detti appartamenti.
 
 PANDOLFO parlando verso dentro.
 
 PANDOLFO
1750Assediate intorno
 Tutto il palaggio, entarte nella camera,
 Che mostrata saravvi da Matilde,
 Ivi prendete Celia,
 Per quella porticella
1755A me la portarete,
 Dove ascoso io starò.
 Voi altri andate ad Arno, e state pronti
 Col Navicello. Intanto
 Salgo, e dentro la porta
1760Vò a celarmi in un canto. (sale per la scala, ed entra nella porticella suddetta.)
 
 SCENA X
 
 DON SEMPRONIO, e LISETTA da dentro.
 
 LISETTA
 Oh signor Don Sempronio (da dentro.)
 DON SEMPRONIO
                                                    Che cos’aje? (fuori.)
 LISETTA
 Accorrete accorrete
 Il palaggio và tutto a sangue, e a fuoco.
 DON SEMPRONIO
 Oimene, e che sarrà? Saglimmo ncoppa
1765Pe sta porta segreta
 E bedimmo, ched’è (sale alla scala, va per entrare alla porticella; e n’esce Pandolfo, e l’impedisce.)
 
 SCENA XI
 
 PANDOLFO in cima alla scala, DON SEMPRONIO in mezo alla scala in atto di salire, e poi VANESIO, FLAVIO, e RINUCCIO, ed altri di famiglia con spade nude per difendere la scala, e la porticella. Finalmente donne, che gridano da dentro.)
 
 PANDOLFO
 Fermate, Don Sempronio.
 DON SEMPRONIO
 (Ajemmè, da dov’è sciuto sto Demmonio!)
 PANDOLFO
 Andate, andate giuso
1770Sgombrate questa scala. (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
 Gnorsì, mò mme ne vago. (il quale sbigottito và per scendere, ed è impedito da quelli di giù, che sopravengono, al che egli si arresta timoroso in mezo alla scaletta.)
 RINUCCIO
 Olà nessuno scenda
 Da costì, che sarete tutti morti.
 DON SEMPRONIO
 Chisto è n’autro diascange!
1775Nò scenno, signornò. (a Rinuccio.)
 PANDOLFO
                                          Sgombrate dico,
 La scala, o ch’io vi uccido. (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
 Nò, non v’incomodate, ca mò scenno. (a Pandolfo.)
 VANESIO
 Fermate. (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
                     Signorine. (a Vanesio.)
 PANDOLFO
 E ancora qui dimori? (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
1780Signornone.
 FLAVIO
                          Se non salite sopra
 Celia è rapita. (a Don Sempronio.)
 DON SEMPRONIO
                              Io saglio
 PANDOLFO
 Se non discendi giuso (a Don Sempronio.)
 Sarai morto.
 DON SEMPRONIO
                          Mò scendo.
 CELIA
 Oddio, chi mi soccorre! (da dentro.)
 MATILDE
1785Difendete. (da dentro.)
 LISETTA
                        Accorrete. (da dentro.)
 DON SEMPRONIO
 Oimè, che ghiuorno è chisto! (si precipita per la scala, vedendo, ch’escono dalla porticella una quantità di Barri travestiti da schiavi armati di sciabla.)
 RINUCCIO
 Corro a difender celia. (entra.)
 FLAVIO
 Difendiam la cugina. (entrano.)
 VANESIO
 Addio, mia civiltà
1790Non è più tempo d’adoprarti quà. (entrano tutti, e segue la zuffa tra li Bari di Pandolfo, con i famigli portati da Rinuccio, e finalmente sono incalzati i Bari da i famigli.)
 
 SCENA Ultima
 
 Tutti in Iscena.
 
 PANDOLFO
 Vieni Celia. (portando a forza Celia per un braccio.)
 RINUCCIO
                          Costei
 Lascia Pandolfo, o che sei morto.
 FLAVIO
                                                             Indegno,
 Lascia, o ti sveno.
 DON SEMPRONIO
                                   Eilà datemi loco,
 Ca il voglio sfeccagliare. (tutti addosso a Pandolfo, e Matilde si pone in mezo, e dice.)
 MATILDE
1795Signori, Oddio, fermate,
 Io son la rea, Pandolfo
 Persuaso da mè fè l’attentato.
 DON SEMPRONIO
 E comme?
 MATILDE
                       Io, che lasciata
 Da Arnaldo fui, che quì Rinuccio hà nome,
1800Vedendo, che colui
 Era di Celia, ad impedir tai nozze,
 Fei, che Pandolfo usasse
 La violenza. Io sono
 L’innocente Isabella
1805Calunniata a ttorto. Arnaldo amato
 Sappi, che il forestier, che questo foglio
 Dice, che fù con mè, quell’era appunto
 Il mio German, che avendomi in Pavia
 Trovata, era contento
1810A tè darmi, se ’l mio destin spietato
 Non congiurava a danno mio.
 FLAVIO
                                                        Del tutto
 Son informato io già, disse Isabella
 Il tutto a me.
 DON SEMPRONIO
                           Che smatamorfia è chesta!
 VANESIO
 Quali accidenti!
 PANDOLFO
                                Io ne stupisco!
 RINUCCIO
                                                             Dunque
1815Se innocente tu sei
 Eccomi a tè tutto fedele. (dandosi la destra.)
 MATILDE
                                                Oh giorno
 Per mè felice, oh ben patiti affanni!
 PANDOLFO
 Celia, che dici?
 CELIA
                               A te libero dono (si danno la mano Pandolfo, e Celia.)
 Fò di mia destra.
 PANDOLFO
                                  Ed io l’accetto
 DON SEMPRONIO
1820Ma co ppatto,
 Che lasci quelle furie, amico caro.
 LISETTA
 Signor Vanesio, voi
 Sete placato ancor?
 VANESIO
                                      Vieni, ti sposo. (si danno la mano.)
 DON SEMPRONIO
 Ched’è cchesso, Lisetta?
 LISETTA
1825Patron mio caro, sono sposa anch’io.
 DON SEMPRONIO
 A biell’anne a biell’anne.
 VANESIO
 Io questo matrimonio
 Lo fò per civiltà.
 DON SEMPRONIO
 All’utemo dell’utemo
1830Quanto pozzo comprennere, (a Vanesio.)
 Tu pe ssa civiltà te farraje mpennere.
 TUTTI
 
    Ogni atro velo
 Di oscura nebbia
 Già per Matilde
1835Si dileguò.
 
    Di pace l’Iride
 Si vide in Cielo,
 Ed in un subito
 Si serenò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

Valid XHTML 1.0 Transitional