Opera Buffa  Napoli 1797 - 1750
  
  
 Onore vince amore, Napoli, A spese di Nicola di Biase, 1736
 a cura di Salvatore Lorello
 
 
 
paratesto ATTO PRIMO ATTO SECONDO ATTO TERZO Apparato
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 FERNANDO con un Soldato dal bosco a sinistra; e poi ELMIRA dalla tenda co spada nuda nelle mani, e soldati con aste.
 
 FERNANDO
560Poiché viene il nemico ad assaltare
 Il maggior posto, e vi s’impegna; io penso
 Dissipare il suo campo; or và soldato
 Dal Capitano tuo, digli, che tosto
 Quì la sua gente meni.
565E tu con esso vieni. Alla sortita (parte il soldato.)
 Acconcio è ’l loro, dietro a quel Casino
 V’è un sentiero, per cui si giunge al campo;
 V’andrò improviso come il tuono, e ’l lampo.
 ELMIRA
 Fermati Cavalier, sei prigioniero,
570Dammi la spada.
 FERNANDO
                                  Oimè, che vedo, ahi sorte.
 ELMIRA
 Dammi la spada, udisti?
 FERNANDO
                                                Elmira ascolta;
 Sei Dama, e non s’offende l’onor mio
 Se a te lo cedo; a un Cavalier saprei
 La difesa mostrar de i dritti miei. (le dà la spada con sommissione.)
 ELMIRA
575Prendete voi questa mia, soldati,
 E ritornate al campo.
 FERNANDO
                                         Ah ria fortuna,
 E qual danno maggior potrai tu farmi?
 ELMIRA
 Non ti doler Fernando, eccoti l’arma.
 FERNANDO
 Son prigioniero, Elmira,
580Stà ben nelle tue mani.
 ELMIRA
                                             Io ti desio
 Prigioniero d’Amore, e non di Marte.
 FERNANDO
 Non lo sperare, che già rese vano
 Tal desio l’infido tuo germano.
 ELMIRA
 Non è sì reo, come lo fai, Giovanni,
585E te’l farò veder; prendi la spada,
 Ti lascio in libertà; non replicarmi;
 Sei valoroso, e ti convengon l’armi.
 FERNANDO
 O troppo generosa, e saggia Elmira,
 Di tant’onore io mi confondo, e spero
590Mostrarmi grato un dì, son Cavaliero.
 ELMIRA
 Tu guardi a terra? alza quegli occhi, e mira
 Quella, che un tempo fù tuo specchio, e sole.
 Quella, per cui versasti
 Tanti sopiri, e lagrime cocenti;
595Caro mio D. Fernando, quella io sono,
 Che t’adorai, che ti donai me stessa;
 Or come, e perché son da te lasciata,
 Così malvista, e tanto dispregiata?
 FERNANDO
 Né ti spregio, né t’odio; sol non debbo
600Amarti più.
 ELMIRA
                         Perché non devi?
 FERNANDO
                                                           Il dissi.
 ELMIRA
 Innocente son io, e niun ti sciolse
 Da giuramenti tuoi.
 FERNANDO
                                       Ascolta, Elmira.
 Se speri trarmi all’amor tuo primiero
 Col pormi in libertà, ripiglia il brando (sfodera la spada.)
605Pria, c’amare, voglio esser prigioniero.
 ELMIRA
 Così risolvi?
 FERNANDO
                          Si.
 ELMIRA
                                  Rimetti il ferro,
 E vanne a tuo piacere, ch’io non soglio
 Ripigliare i miei doni; sia tuo vanto
 Il donare ad altrui gli affetti tuoi.
610Ed incostante ripigliarli poi.
 
    Và perfido, crudele,
 Impara dal mio core
 Amar di vero amore;
 T’insegni esser fedele
615Questa mia fedeltà.
 
    Ingrato, mancatore,
 Con la ragion dell’armi
 Potrei ben vendicarmi;
 Ma vivi al tuo rossore
620Mostro d’infedeltà. (rientra nella tenda.)
 
 SCENA II
 
 FERNANDO, e ROCCHETTO dal Bosco.
 
 FERNANDO
 Ahi mente mia confusa, ahi cor trafitto
 Da mille spine, che faremo? Elmira
 Mi rinfaccia d’ingrato, d’infedele,
 Di mancator crudele;
625E generosa poi
 M’obbliga più co benefici suoi.
 ROCCHETTO
 Accorrete Signor presto, venite,
 Che ’l nemico fingendo d’assalire
 Il maggior posto, acciò vi si portassero
630Le difese da noi; s’è poi voltato
 Al debil muro, e molto s’è avanzato.
 FERNANDO
 Or vengo; tu fra tanto affretta il piede.
 E rincontra per via quel Capitano,
 Che vien quì con soldati; ivi lo porta,
635Che ad altra gente io sarò di scorta.
 ROCCHETTO
 Sì Signore (io desio farmi guerriero,
 E son fatto per grazia un bel corriero.) (parte.)
 FERNANDO
 O come io sento suscitarmi in seno
 L’antica fiamma, ed avvamparne tutto;
640Solito effetto de’ splendenti lumi,
 E de’ labri soavi, onde fui preso;
 O cara, bella, Elmira, io t’amo, ed ardo
 Ad onta del rigore,
 Che fingo in volto, mà non hò nel core.
 
645   Beve la Cerva al Fonte
 E mentre si ristora
 Viene ferita all’ora
 Nel fianco, ò nella fronte
 E in mezzo del piacere
650Cade spirando.
 
    Così questo mio core
 Mentre la gioja beva
 In te mio ben riceve
 Dallo spietato amore
655Quei colpi donde langue
 E more amando.
 
 SCENA III
 
 ARMINDA da guerriero con visiera dal suo casino, e CECELLA.
 
 ARMINDA
 Udisti bene? a chiunque ti domanda
 Di me, dirai, che non m’hai vista, pensa,
 C’ho voluto di te solo fidarmi,
660Averti a non tradirmi.
 CECELLA
                                           Arrasso sia,
 Voscellenza lo ssà s’io so’ fidata,
 Ca so’ bona mparata.
 ARMINDA
                                         Fra poc’ore
 Io sarò di ritorno; or tu m’attendi
 Nella medesma grotte del giardino.
665Dove mi sono armata;
 Che se ’ndovino è ’l core
 Verrò salva, perché non hò timore.
 CECELLA
 Ma puro è na gran cosa
 Che di, nò mme volite addove jate.
 ARMINDA
670Oh come sei ’mportuna; vò all’assalto.
 CECELLA
 Ah negra me, che sento, non sia maje,
 Mmiezo a le scoppettate, e le spatate
 Volite ire? E che, Signora mia.
 V’avissevo jocato lo cerviello
675Addo’ gegante d’uommene so’ accise.
 Che bò fà Voscellenza, giovanella
 Tanto gentile, e tanto dellecata?
 Trasimmo dinto, jammonce a spogliare,
 Ca nò moglio, che ghiate, ca si none
680Ve vengo semp’appriesso co li strille,
 E me scicco la facce, e li capille.
 ARMINDA
 Che baje son queste? và pur dentro, e aspettami,
 Ch’io non vado a combattere, da lungi
 Vedrò l’assalto, animarò la gente
685A dimostrar valore.
 CECELLA
 E pe chesto llà stace lo Signore.
 ARMINDA
 Egli non sà ciocche mi preme, io voglio.
 Se posso, far prigione un mio nemico.
 CECELLA
 Vi s’è comme dich’io, ca volito
690Fare la sordatessa? nuje, Signora,
 Co le ttrezze legammo,
 E nò ccò ffune chille, c’ancappammo.
 ARMINDA
 E talora con esiti felici
 Vinciam col ferro ancor nostri nemici.
 CECELLA
695Ma chesto è no spreposeto chiantuto
 Pe fà nascere ll’uommene nascimmo,
 E nuje stesse sternare le bolimmo?
 ARMINDA
 Non più ciarle, ubbidisci.
 CECELLA
                                                 Io vao Signora;
 Ma si maje ve soccede quà dammaggio,
700Io so’ scosata, c’avisata v’haggio. (entra nel casino.)
 ARMINDA
 Sieguane ciocche vuole, più che morte
 Dar non mi puote la spietata sorte.
 
    Infelice pecorella
 Non paventa di seguire
705Chi a morire la trasporta,
 Senz’haver di lei pietà.
 
    Tal son io, son io pur quella,
 Che vò dietro il mio destino,
 Né sò dir dov’ei mi porta,
710O ’ndovino, che farà. (và per lo bosco.)
 
 SCENA IV
 
 PENNACCHIO solo.
 
 PENNACCHIO
 E non so’ state accise tutte quante,
 Non haggio da far autro.
 Che farema strippà pe li corzare,
 E ghire pò contr’a la Patria mia,
715Lo piello, che le dia. Guatto, guatto
 Sonco sfelato pe na strettolella,
 E me venco a spassare cò Cecella.
 M’abbesogna mperò co sta fegliola
 De stare attiento a lo pparlà, ca si esco
720Na parolella schitto da lo sinco,
 Se ncepollesce, strilla, se ne fuje;
 E tornammo da capo n’auta vota,
 Ma ccà te voglio, a stare semp’attiento,
 M’hà da scappà qua ghieffola da vocca,
725E lassala scappà, ch’è morte d’ommo?
 E s’ella se stezzasse, io bello bello
 Tanto me mett’a fà lo cacciottiello.
 
    Lo cacciottiello, c’have abboscato
 Da lo patrone, s’agguatta, e chiagne,
730Ma si pò sente, ca t’ha chiammato
 Ci ccì, te tè, cchiù non se fragne,
 Le corre adduosso pe l’allegrezza
 Tutto prejezza se mette a zompà.
 
    Accossì boglio co Nenna fare,
735Si co pontiglie, si co schiattiglie,
 Io nò la lasso, ma me n’arrasso.
 Pò nche me mostra na bona cera,
 Le vago attuorno de na manera,
 Che me la scialo a pazzià. (entra, e sente lo sparo subito esce. Quì s’ode una batteria, e poi un rumore di spade.)
 
740Ah à, già s’accommenza lo festino,
 Siente le botte, e trovate llà mmiezo,
 Che ng’havesse la panza chi dich’io,
 C’affè me levarria no golio
 Mò venen’a le sferre, e quanta sonco,
745Già se sonco mmescate, e spartogliate,
 E ne veneno cierto a chesta via,
 Ccà nò nce stammo buono, jammoncenne,
 Ca decette Catone na matina:
 Fugge rommore, e curre a la cantina.
 
 SCENA V
 
 D. GIOVANNI, ed ARMINDA dal bosco, battendosi, e poi una comparsa.
 
 GIOVANNI
750Cedimi, Cavaliero, a miglior sorte
 Serba tua vita.
 ARMINDA
                              Vincer dunque stimi?
 GIOVANNI
 Tua destra indebbolita
 Ne’ suoi colpi l’addita.
 ARMINDA
 Pugna pure, c’hò core
755Perder la vita sì, ma non l’onore. (qui D. Giovanni passa al guadagno della spada.)
 GIOVANNI
 Lascia la spada, prigionier ti rendi,
 Se brami respirar.
 ARMINDA
                                     Barbaro fato. (gli dà la spada.)
 A che più m’hai serbato? ahi che per duolo (siede sopra un sasso.)
 Io vengo meno.
 GIOVANNI
                               Povero Guerriero
760Il rossor d’esser vinto
 Lo fà svenire, vò veder chi sia, (le toglie il Cimiero.)
 Se pur m’è noto... O Cielo,
 Che veggo! Olà soldati? Arminda, Oddio. (quì dalla tenda esce un soldato.)
 Vola a chiamare D. Elmira, e dille,
765Che tosto venga. O coraggiosa Arminda,
 Perché tanto avvilirti? di che temi?
 Fà cuor; perché non sei
 In poter di nemici, ma d’un fido
 Cavalier, che t’adora.
 ARMINDA
                                         E pur son viva?
 
 SCENA VI
 
 ELMIRA dalla tenda, e detti.
 
 ELMIRA
770Eccomi quì, german, che tanta fretta?
 GIOVANNI
 Questo Guerriero è la mi cara Arminda,
 Quì svenuta; da lei udrai suoi casi;
 Io ritorno all’assalto, e fra qualc’ora
 Sarò con voi, per tanto
775Habbi di lei quell’attenta cura:
 Che di te stess’avresti; benché sia
 Mia prigioniera, è mia Sovrana, e Diva
 Per comando d’Amore;
 Pensa, ch’io fido a te la vita, e ’l core. (le dà la spada d’Arminda.)
 ELMIRA
780Per compiacervi; e per servire al merto
 Di sì bella guerriera, quanto intendo.
 Le farò servitù
 ARMINDA
                              Grazie le rendo.
 GIOVANNI
 
    Care luci, non temete,
 Che vedrete umiliato,
785Anzi vinto il vincitore
 Sempre a voi cercar pietà.
 
    Vaghe stelle del mio core,
 Voi sarete il mio bel Fato;
 Reggerete la mia vita,
790Se gradita vi sarà. (parte per lo bosco.)
 
 ARMINDA
 Elmira, s’hai pietà di mie sventure,
 E se amica mi sei, dammi quel ferro,
 O pur m’uccidi, e toglimi pietosa
 All’ire di mia sorte ingiuriosa.
 ELMIRA
795O cara Arminda, tu disperi, e chiedi
 Da chi t’ama sì barbato soccorso?
 Di chi temi, e che temi?
 ARMINDA
                                               Aimè, pavento
 Il mio destino, e ’l tuo german.
 ELMIRA
                                                          Serenati;
 Che sei in guardia mia.
 ARMINDA
                                              Nò, dammi il brando.
 ELMIRA
800Non te ’l darò giammai, t’accheta, e dimmi
 Come del mio german sei nelle mani?
 ARMINDA
 Andiam, che ti ditò miei casi strani. (entrano nel casino d’Elmira.)
 
 SCENA VII
 
 Giardino.
 CECELLA con una pertica, e ROCCHETTO dietro una quinta in alto, come fusse sopra un arbore.
 
 CECELLA
 Te ng’ haggio cuoveto già, mpiso forfante,
 Mo te voglio acconciare tutte ll’ossa,
805E scontarme lo biecchio co lo nnuovo,
 Zompa nterra.
 ROCCHETTO
                              Ch’è stato? morte d’uomo?
 Ora vi son salito, e non ancora
 N’hò preso un frutto.
 CECELLA
                                         O funa, che t’affoca,
 Tu haje fatto no solaro d’ossa dure,
810E toccato no ll’haje? scinne bosciardo,
 O te rompo la capo. (batte dentro la quinta come battesso sù l’arbore.)
 ROCCHETTO
                                       Non mi battere,
 Che scendo, e con lo stile io t’ammazzo.
 CECELLA
 Chesto lo bedarrimmo; marionciello. (batte.)
 ROCCHETTO
 Oimmè la mano, ajuto, ajuto.
 CECELLA
                                                        Zitto,
815Ca faccio peo; ne lupo chi m’arrobba?
 Li nnammorate mieje, o tu allancato? (batte.)
 ROCCHETTO
 Lo dissi, per non essere accusato.
 CECELLA
 E nò te sbrighe cchiù? zomp’a mmalanno.
 ROCCHETTO
 Via scostati che salto... Oimè son morto.
820Oddio, Oddio, la gamba mi si è rotta
 CECELLA
 Uh janca me, l’hà fatta già la botta.
 ROCCHETTO
 Oimmè, che adesso moro.
 CECELLA
                                                  Hagge pazienza.
 ROCCHETTO
 Chiam’alcun, che m’ajuti.
 CECELLA
                                                  Mo mmò vedo,
 Si passasse carcuno pe la via.
 ROCCHETTO
825Ah à, resta beffata; o gnocca mia. (qui s’alza, e fugge, Cecella l’attraversa, e lo seguita per la Scena.)
 CECELLA
 Ah fauzo, no me scappe... Uh malatenca,
 Cogliere no le pozzo na mazzata;
 E che sonco cecata?
 ROCCHETTO
 Che ti rompi una spalla;
830Facciam pace, o ch’io fò come la palla.
 CECELLA
 Che d’è ssa palla?
 ROCCHETTO
                                   Se lo vuoje sentire,
 Vanne in quel canto, e non te ne partire.
 ROCCHETTO
 
    La palla da mano,
 Più forte battuta,
835Da terra più s’alza,
 Più sbalza lontano;
 Villana cocciuta,
 Così ti vò far.
 
    Tu spesso mi stizzi
840Con onte, e disprezzi;
 Ma se più m’attizzi,
 Con questi miei vezzi
 Ti voglio pagar. (Finita l’aria fugge nel bosco, e Cecella gli tira una pietra.)
 
 CECELLA
 E puro m’è scappato, che demonio!
845Quanta malizia tene,
 Sto mmarditto non è pe ffa maje bene.
 
 SCENA VIII
 
 PENNACCHIO, e CECELLA.
 
 PENNACCHIO
 Veccoce ccà bellezza.
 CECELLA
                                        Bemmenuto,
 Vruoccolo mio scioruto; che bò dire
 Ca no staje a l’assauto?
 PENNACCHIO
850So’ benuto a guardarte.
 CECELLA
                                             Uh gioja mia.
 PENNACCHIO
 E pò sonco stofato
 D’uccidere cchiù gente;
 Già vao cagnanno omore;
 Bon’è la pace, e meglio a fà l’ammore.
 CECELLA
855Oh, c’haje puosto jodizio na vota,
 Accossì te vogl’io, buono fegliulo
 Co la capo a cetrulo.
 PENNACCHIO
                                       Sì, a cocozza;
 Che te scenna la vozza.
 CECELLA
 Si vuò ridere, siente; saje Crespano?
 PENNACCHIO
860Non saccio autro.
 CECELLA
                                  Me vole pe mogliere,
 E m’hà cercato a mamma.
 PENNACCHIO
                                                  Ah à, che rrisa,
 Chillo voje retrubeco, mpazzuto.
 Vò mogliere, e bò a tte? c’hà ditto mammeta?
 CECELLA
 Hà ditto sì, pe cocoffejarlo; ed io
865Lo vorria repassà , si ll’haje a gusto.
 PENNACCHIO
 Fà comme vuoje; scippale carcosa,
 Ca cchiù pognente le sarrà lo chiovo,
 Ca è llesena, e pezzente.
 CECELLA
                                              Mence provo.
 PENNACCHIO
 Oh, teccotillo te, mo me nce spasso
870Co ll’ecco, che le faccio llà dereto,
 Non ce lo fà venì, ca jammo nfieto. (si nasconde.)
 
 SCENA IX
 
 CRESPANO, CECELLA, che si ritira, e PENNACCHIO.
 
 CRESPANO
 So’ scappato sta vota
 De fà la guardia; bene mio so’ muorto.
 Vedenno canta porva, palle, e micce,
875Che stanno apparecchiate pe l’assauto;
 O storie belle meje, ncuorpo a buje
 La guerra se po leggere comm’eje,
 Ma non quanno se face, ca scorrutto
 Se trova chi la vede, e nfuso tutto.
 CECELLA
880Miscia mia, Miscia, te pinto, pinto,
 Addo’ è ghiuta sta gatta?
 CRESPANO
                                                O te, che sciorte!
 C’adesso incontro, la fata mia;
 A piè di lei m’incrinarebbe, o bella.
 CECELLA
 Schiava toja, si Crespa’, che baje facenno?
 CRESPANO
885O cara, io venco a farti omaggio.
 PENNACCHIO
                                                             Maggio. (a forma di Eco.)
 CRESPANO
 Che nc’è ll’eco ccà dinto, che me lebreca?
 CECELLA
 No ll’haggio ntiso maje, che nne saccio?
 CRESPANO
 Fuorz’io sbagliò.
 PENNACCHIO
                                 Sbagliò.
 CECELLA
 Uh si, è lo vero, hà lebbrecato ll’Ecco.
 CRESPANO
890Dunqu’io non mi nzognò?
 PENNACCHIO
 Nzonnaje, guattascio.
 CRESPANO
 Questo non è cchiù ll’eco, perché dice
 Quelch’io non disse, e manco lo direbbe.
 PENNACCHIO
 Derria, caulecchione; e non direbbe.
 CRESPANO
895Chisto è carcuno, che me fà la baja;
 Lassamillo trovare addove stace,
 Pe le fà no carizzo.
 CECELLA
                                    Lassa ire.
 Ca sarrà chillo pazzo,
 Che stace a lo palazzo. Comme staje?
 CRESPANO
900Per servirla coll’arma, e co lo core,
 Si be per lei m’hà conzomato amore.
 Non manciò, non dormì, non ricettò...
 CRESPANO
 Non pisciò, nò spuzzò, nò sbodellò!
 CECELLA
 Che finché strascenato, statte zitto.
 CRESPANO
905Sempe stò a lei penzanno, e chesta notte
 N’haggio dormuto niente pe te fare
 Na povesia co li rimme.
 CECELLA
                                              Ammene?
 Na polezia co no rimmo? bravo.
 E me vuo’ pe mogliere?
 CRESPANO
                                              O gemma, o gioja,
910Povesia haggio ditto, na canzona
 A sse bellizze toje; nch’è fenuta,
 Te la venc’a cantà nnante la porta
 Na sera co na cedola famosa,
 Ch’io comprò da no piezzo.
 CECELLA
                                                    Bella cosa!
915E faje vierze porzì?
 CRESPANO
                                      Verzeggio al quanto,
 E ti direbbe chiste, c’haggio fatto;
 Senza lei.
 CECELLA
                     (Pe la risa io mo schiatto.)
 CRESPANO
 
 Nennella cenciosa...
 
 PENNACCHIO
 
 Cianciosa; ciuccio, ciuccio,
 
 CRESPANO
 
920Bellezza squamosa
 
 PENNACCHIO
 
 Squasosa; puorco, puorco,
 
 CRESPANO
 
 Lei parmi una rosa.
 Pomposa, addorosa.
 Che stace sfarzosa
925In siepe spinosa,
 Per farsi pigliar.
 
 PENNACCHIO
                                 E crisce la ddosa,
 Callosa, ncocciosa, schiattosa,
 Vavosa, moccosa, zellosa,
 Rogrosa, fratosa, picciosa,
930E crisce la ddosa, che puozze schiattar.
 CRESPANO
 Costui mi fa scappar la continenza.
 CECELLA
 Co li pazze abbesogna havè pacienza.
 CRESPANO
 
 Se amor mi facesse
 Un apa di quesse
935C’attuorno te stesse;
 Sse sfrunne me desse.
 Acciò mi pascesse
 Che... Che... mo me mbroglio,
 Che miele com’oglio
940Starebbe per far.
 
 PENNACCHIO
 Che uoglio, Sammucchione?
 Di sceruppo, e geleppo animalone. (Quì Crespano replica la prima parte, che finisca senza ritornello fugge dicendo.)
 CRESPANO
 Io stò pe crepar bisogna scappar.
 Arre, arre, ar; vi comme fuje. (vien fuora.)
 CECELLA
945Comme corre marisso, ah à che risa.
 PENNACCHIO
 E ll’have havuta propio contrassisa.
 
 SCENA X
 
 PENNACCHIO, e CECELLA.
 
 PENNACCHIO
 Facce de milo diece,che te pare?
 Saccio ngarbà le ccose?
 CECELLA
                                             Tanto bello.
 PENNACCHIO
 E tu mo, che me daje?
 CECELLA
                                            Non haggio niente
950Zincaro bello mio,si volisse
 La marennella, che t’haggio io prommessa,
 Torn’a ccà n’autro ppoco guappo mio,
 Ca cocino, e te levo lo golio.
 PENNACCHIO
 Si non te fosse scommeto...
 CECELLA
                                                    Nò, gioja;
955Tanto cchiù, ca m’haje posta nn’allegria;
 E ammore sempe porta ppocontria.
 
    Si penzassemo a li guaje,
 Che patimmo pe st’ammore,
 Stò pe ddire, ca maje, maje
960Avarriamo tanto core
 De volerce nnammorare:
 Ed ogn’una lo bò fare;
 Pò le ssiente peccià.
 
    Ah lo core, mamma, ah à. (sospiri.)
965Non dormimmo, no magnammo,
 Non ce dammo maje recietto;
 Lo sospetto nce fà stare
 Nzallanute, tormentate,
 E parimmo attarantate
970Quann’è tiempo d’abballà. Larallara, llarallà. (entra a sinistra.)
 
 PENNACCHIO
 Zitto, ca co no juorno de contiento
 Ve scontate diece anne dè tormiento. (entra a destra.)
 
 SCENA XI
 
 Camera.
 ARMINDA, GIOVANNI, ed ELMIRA, che siedono.
 
 ARMINDA
 Restringi il tuo discorso, che pretendi
 Dalla mia prigionia?
 GIOVANNI
                                         Bramo l’istesso,
975Che voi vorreste, se caduto lo fossi
 In poter vostro.
 ARMINDA
                               Io preteso avrei;
 Che si levasse quest’assedio.
 GIOVANNI
                                                      E questo
 Anch’io cerco di far; Mi dia Fernando
 L’Isola dunque, e ’l toglierò.
 ARMINDA
                                                     Da lui
980La vorresti? e del Rè, dal Rè l’impetra.
 GIOVANNI
 Nulla chieggio a nemici.
 ARMINDA
                                               E Ferdinando
 Giocch’è del Rè, non cede altrui; ma fido
 Sino all’ultimo fiato
 Lo sostien, se in custodia ad esso è dato.
985Elmira, che ti dissi?
 ELMIRA
                                        Odimi, Arminda,
 Ti spiegarò ciocché vuol dir Giovanni;
 Ma non ancor si scopre: egli desia
 Te per sua sposa, e di pretesto vuole,
 Che l’Isola gli serva con Fernando.
 ARMINDA
990Se mi vuole in consorte, a lui mi chiegga.
 GIOVANNI
 Il fei più volte, e mai non volle udirmi.
 L’amicizia col Rè sordo lo rese,
 E non consente l’onor suo sposarmi
 A nemici del Rè.
 GIOVANNI
                                 Non è Ferrante
995Né mio, né vostro Rè.
 ARMINDA
                                          Molto ci onora.
 GIOVANNI
 Valenza è nostra Padria, che ci aspetta.
 ARMINDA
 V’andremo, ma con decoro.
 ELMIRA
 Il questionar sù questo a nulla giova
 Si conchiuda il trattato.
 ARMINDA
                                             Si conchiuda.
1000Chiedete la ranzon di mia persona.
 GIOVANNI
 Tu stessa, o cara, la ranzon sarai
 Per la tua libertà, se prigioniera
 Mia sposa ti farai.
 ARMINDA
                                    Togli l’assedio,
 T’accorda con Ferrante; e mio Fratello
1005A te m’accoppierà.
 GIOVANNI
                                     Non fà mestieri
 Il tuo consenso; il Mondo, e ’l Cielo istesso
 Fè libere le nozze; e ’l Genitore
 Né men le può impedir.
 ARMINDA
                                               Le puote onore.
 GIOVANNI
 Arminda, s’io potessi palesarti
1010Un gran segreto, or ti faresti mia;
 Ti direi la cagion, per cui mi sono
 Dal Rè diviso, ancor ignota al Mondo;
 Ma l’onor mi costringe
 A tacere, ed a viver disperato.
 ARMINDA
1015Dunque lasciam di ciò la cura al Fato.
 GIOVANNI
 Compiacer non mi vuoi?
 ARMINDA
                                                Non so, né posso.
 GIOVANNI
 Né temi il mio furor?
 ARMINDA
                                          Fà ciocchè vuoi.
 La vita, e non l’onor toglier mi puoi.
 GIOVANNI
 S’è così, vann’Elmira, in una stanza
1020La restringi, con te resti la chiave,
 E solo il Moro mio v’entri a servirla.
 ELMIRA
 Or vado a preparar la stanza. (Oddio;
 Più non posso frenare il pianto mio.) (parte, e ritorna mentre si canta la seconda volta la prima parte del duetto.)
 GIOVANNI
 O bella, o cara, o generosa Arminda,
1025Non ostinarti più, non far ti prego,
 Che da fedele amante io sia Tiranno.
 ARMINDA
 Fà ciocché vuoi, e tutto sia mio danno.
 GIOVANNI
 
 Và superba.
 
 ARMINDA
 
                         Resta indegno.
 
 GIOVANNI
 
 Del mio sdegno proverai
1030La più fiera crudeltà.
 
 ARMINDA
 
 Col tuo sdegno non potrai
 Soggettar mia libertà.
 
 GIOVANNI - ARMINDA
 
 Chi ’ndovina si vedrà.
 
 GIOVANNI
 
 Tra li ceppi, e le catene
1035Spirerai quell’Alma audace.
 
 ARMINDA
 
 La mia pace turberanno
 I tuoi ceppi, e le catene,
 Ma domar non mi potranno.
 
 GIOVANNI - ARMINDA
 
 Bel duello, che sarà. (partono ambedue, ma subito ritorna Arminda.)
 
 ELMIRA
1040O cieli, e che farò per dare aita
 Alla mia cara amica?
 
 SCENA XII
 
 ARMINDA, ed ELMIRA.
 
 ARMINDA
                                         Elmira io riedo
 Per chiederti pietà, non di mia vita,
 Ma dell’onore, udisti
 Il tuo German?
 ELMIRA
                               L’udii.
 ARMINDA
1045Dammi dunque un velen, dammi uno stilo,
 Per sottrarmi da lui.
 ELMIRA
                                        Ben puoi ciò chiedermi,
 Che disperata sei; ma io c’hò il sonno,
 Altr’aita t’appresto; vanne dunque
 Alla mia stanza, ivi ti vesti in fretta
1050Dell’abito, che v’è d’uomo, e và via.
 ARMINDA
 E al tuo German come dirai?
 ELMIRA
                                                       Và presto,
 C’hò ben pensato a tutto.
 ARMINDA
                                                Or vado, o cara,
 Ti tolga il Cielo d’ogni sorte amara. (s’abbracciano, e parte.)
 ELMIRA
 Importuna pietà, tu sei cagione
1055C’a danno mio m’impegno; a che fò io,
 Così ti perdo più, Fernando mio.
 
    Col pensier contemplo, e miro
 Chi mi alletta, e m’innamora,
 Ma sospiro,
1060E dico allora
 Ahi che lungi stà da me.
 
    Io mi lagno, che il mio Sole
 A quest’occhi ancor non splende,
 Ed il sonno, che dar suole
1065Ad ogni alma
 Dolce calma
 Vien per altri, e non per me.
 
 SCENA XIII
 
 Giardino.
 CRESPANO da man dritta del teatro, poi PENNACCHIO per l’istessa via, e poi CECELLA da man sinistra, che anticipa un poco prima di parlare.
 
 CRESPANO
 Io mi comprò na canna de fittuccia,
 Pe la dare a Cecella, e ncannarirla;
1070Con le donne diceva zi Pascale:
 L’ammore non se fà senza riale... (mentre guarda intorno per veder Cecella, vede venir Pennacchio.)
 O scajenza zeffonnalo, tiemente
 Da dove vene sto sordato?
 PENNACCHIO
                                                  (Attiempo,
 Crespano è ccà tornato per lo riesto,
1075E dammoncillo) ne? che buoje zi viecchio?
 CRESPANO
 (Zi cuorno, che te ceca, addo’ è sto viecchio.)
 PENNACCHIO
 Sarrà surdo, strillammole a l’arecchia.
 Oje zi viecchio, che buoje da sto ciardino?
 CRESPANO
 E chiano, Patron mio, co ssi strille;
1080Che mme vuo’ fa percotere? me voglio
 Accattà quatto pera. (Quì viene Cecella, che vedendo Crespano e Pennacchio si ritira.)
 PENNACCHIO
 Và torna, ca non c’è la ciardenera.
 CRESPANO
 L’aspetto, ca tornar non si potrebbe.
 PENNACCHIO
 Tu me schiude coll’uocchie; che bò dire?
 CECELLA
1085Lo vi guardò perchè v’assemegliate
 A no cierto Pennacchio, ch’era d’Isca.
 PENNACCHIO
 E le guajo, che te fiocca, mo si’ n’aseno;
 Che Pennacchio, e Pennicchio, e Isca, e Proceta?
 So’ Capitan Don Ciullo Branca d’orso,
1090E so’ Napoletano.
 CRESPANO
                                   Me n’allegro.
 CRESPANO
 (Sù dammoce da fare, c’haggio ntiso.) (si fanno segni di voler burlare Crespano.)
 Un tè, zi Capitanio, vuje ccà state,
 Trasite, ch’è già llesto lo mmagnare.
 PENNACCHIO
 Vorria magnà ccà fora.
 CECELLA
                                            A gusto vuosto.
1095Fegliu’ caccia ssa tavola, e na seggia. (così s’eseguisce.)
 PENNACCHIO
 Lecenzia primmo chisto, vi che bole.
 CECELLA
 Si Crespa’, che t’accorre?
 CRESPANO
                                                Quatto pera.
 CECELLA
 Aspetta dint’all’uorto, ca mo vengo.
 PENNACCHIO
 E lassalo stà ccane, ca me dice
1100Quatto chiacchiare mente sto magnanno.
 CECELLA
 Co llecienza, mo venco.
 PENNACCHIO
                                             E be’ pajesano,
 De dove si’?
 CRESPANO
                          Llostrissemo, de Proceta,
 Ma trapassò da parecchi anni ad Isca.
 PENNACCHIO
 (Oh bon’ora, a Pennacchio lo llostrissemo
1105Co lo Donne a la moda.)
 CECELLA
                                              Accommenzate;
 Vecco ccà la fellata.
 PENNACCHIO
                                     Te piacesse? (a Crespano.)
 CRESPANO
 Ben prodeggi Signore (è assaje garbato
 Sto Capitanio Donno Brana d’urzo. (Vien Cecella con una canestra coverta, dalla quale caccia piatti coperti ad uno, ad uno, e mette in tavola, e mentre Pennacchio magna, Crespano di dietro fà atti muti con Cecella e le mostra la carta, dove sta la fettuccia, ed essa gli accenna, che la metta in terra.)
 PENNACCHIO
 Ed accossì, pajesano, di’ ccaccosa.
 CRESPANO
1110Signor D.Capitanio, io non saprebbe
 Che dire; Oscia llostrissem’addimmanna.
 PENNACCHIO
 Cecella addove si’?
 CECELLA
                                     Veccome ccane.
 PENNACCHIO
 Ch’è chesto?
 CECELLA
                          No lo ssaccio, stea ccà nterra.
 PENNACCHIO
 Vide ched’è.
 CECELLA
                          Na ziarella.
 PENNACCHIO
1115Mostra; dalla ccà, ch’è la mia.
 CECELLA
                                                        Donatemella.
 PENNACCHIO
 L’haggio da dà mo propio a na Commare. (se la mette in sacca.)
 CRESPANO
 (A ppoffa d’oje, mannà chi t’hà fegliato,
 O carreniello mio derropato.)
 PENNACCHIO
 Ched’è tu si ammossata? leva ccane.
 CECELLA
1120Da ll’Ossoria non se pò havè na cosa.
 PENNACCHIO
 E zitto presentosa;
 Meglio faje, si te mpare a cocenare,
 E razza de magnare?
 CECELLA
                                         Che nce stace?
 PENNACCHIO
 Chi salato, chi nzipeto, chi crudo,
1125Chi scuotto, chi abbrosciato.
 CECELLA
                                                      Jesce ccà ffora,
 Fegliulo, e sfratta ccà.
 PENNACCHIO
                                          Dallo a sto viecchio.
 CRESPANO
 Obbrecato ossoria, nò moglio niente, (il ragazzo porta via ogni cosa.)
 Ca non sonco né biecchio, né pezzente.
 PENNACCHIO
 Nò lo buoje? e tu statte;
1130Vi che chillo non rompa li piatte. (a Cecella alquanto sdegnato.)
 CECELLA
 Vuje state propio accuoncio a fa na fera,
 E s’accommenzo io puro, bona sera.
 
 Fà l’alluorgio cammenare
 Chi le dà la corda attiempo;
1135Ca mesura pò lo tiempo,
 Mostra ll’ora, e co ntinnare
 Nce le ddice: ntì, ntì, ntì.
 
 PENNACCHIO
 
 La campana fà sonare
 Chi la tira, e la martella,
1140Tanno fà na romanella,
 Che te siente addecreare:
 Ntirentò, ntinterentò.
 
 CRESPANO
 
 Lo tammurro fà ntronare...
 
 PENNACCHIO
 Paesà, non haje creanza,
1145Che buò metterte mmiezo?
 CRESPANO
                                                     Uscia, me scusa,
 Vuje lloco ve sfocate li malanne,
 Ed io li mieje ccà sulo, che ve mporta?
 CECELLA
 Sfocate, c’haje ragione.
 CRESPANO
                                             Oh chesta è bella!
 (Quanto te chiagniarraggio, o ziarella.)
 
1150Lo tammurro fà ntronare
 Chi le stira la cordella,
 Ca na voce assaje cchiù bella,
 Quanno vatte fà cacciare:
 Tiritappa, ttappa ttà.
 
 CECELLA
 
1155Accossì me face Oscia,
 Che me stizze, e faje strellare,
 Ma pò ride, e faje ah à. (ride schiattosa.)
 
 PENNACCHIO
 
 Accossì, bellezza mia,
 Me faje spisso ntossecare;
1160Ma pò rido, e faccio Oh o. (ride forte.)
 
 CRESPANO
 
 Lo malanno, che ve dia;
 Mme volite coffiare,
 Ed io piglio a ghiastemmà. (à à affirmativa.)
 
 
 
 

 

 

Trimestrale elettronico 2016-1

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2016

 

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